Interessante sentenza della CEDU, la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, emessa il 16 maggio 2024, con la quale è stato ribadito che il diritto alla reputazione dell’ente pubblico è molto limitato, poiché, essendo al servizio del cittadino, deve essere aperto a critiche.
La sentenza CEDU (la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), famosa anche per essere stata confusa con la CGUE (Corte di Giustizia dell’Unione Europea) dal Ministro della Giustizia Nordio in occasione delle critiche alla sentenza dei Giudici di Roma che avevano riportato i migranti dall’Albania all’Italia, sentenza che quasi tutti i giuristi hanno dichiarato ineccepibile, seppur non abbia efficacia esecutiva diretta all’interno degli Stati membri, inclusa l’Italia, tuttavia, li obbliga a conformarsi e ad adottare le misure necessarie per porre fine alla violazione e, ove possibile, ripristinare la situazione del ricorrente come se la violazione non fosse avvenuta.
La sentenza si basa sull’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che protegge il diritto di esprimere le proprie opinioni che incontrano sostanzialmente poche eccezioni, tra le quali proteggere la sicurezza nazionale, prevenire disordine o crimine, proteggere la salute e la morale, proteggere i diritti e la reputazione di altre persone, impedire la divulgazione di informazioni ricevute in via riservata e mantenere l’autorità e l’imparzialità dei giudici.
Il diritto di critica, come il diritto di cronaca, è disciplinato anche dalla nostra Costituzione all’art 21 il quale, nel primo comma, recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Entrambe comunque sovvengono alla medesima conclusione. I cittadini (e ancora di più i consiglieri comunali che godono di un margine nettamente più largo), devono essere liberi di criticare il governo e le nostre istituzioni pubbliche senza timore di essere perseguiti – questa è una caratteristica vitale di una società democratica.
Ma cosa riporta la sentenza?
La Corte ha a lungo sostenuto che il diritto alla protezione della reputazione è un diritto tutelato dall’Articolo 8 della Convenzione come parte del diritto al rispetto della vita privata. Il concetto di “vita privata” è un termine ampio non suscettibile di definizione esaustiva, che copre anche l’integrità fisica e psicologica di una persona. Tuttavia, affinché l’Articolo 8 entri in gioco, un attacco alla reputazione di una persona deve raggiungere un certo livello di gravità e [essere stato compiuto] in modo tale da pregiudicare il godimento personale del diritto al rispetto della vita privata.
Tuttavia sebbene l’ambito della clausola “protezione della reputazione … degli altri” sebbene non è limitato alle persone fisiche, che potrebbero avere ripercussioni sulla dignità di una persona, può essere applicata anche alle persone giuridiche ma, a differenza dei primi soggetti, queste sono comunque prive di quella dimensione morale.
Quindi seppur esiste un legittimo “interesse a proteggere il successo commerciale e la vitalità delle aziende, a beneficio degli azionisti e dei dipendenti, ma anche per il bene economico generale“, tuttavia, per quanto riguarda gli enti pubblici che cercano protezione legale della loro reputazione, ha dichiarato che “le autorità locali, le società a partecipazione pubblica e i partiti politici … [non possono] citare in giudizio per diffamazione, a causa dell’interesse pubblico che un’organizzazione eletta democraticamente, o un ente controllato da tale organizzazione, debba essere aperto a critiche pubbliche senza restrizioni“.
Nel caso di specie, nel contesto delle pubblicazioni da parte dei media (ma anche dei singoli cittadini ivi compreso i consiglieri comunali), la Corte ha ritenuto che gli enti del ramo esecutivo del potere statale hanno la capacità di rispondere a eventuali accuse negative nel “tribunale dell’opinione pubblica” attraverso le loro capacità di relazioni pubbliche … e che se si accorda loro anche la protezione della loro “reputazione commerciale” questa potrebbe seriamente ostacolare la libertà di critica. Consentire agli organi esecutivi di intentare cause per diffamazione … comporta un onere eccessivo e sproporzionato … e potrebbe avere un inevitabile effetto dissuasivo … nell’esercizio del loro ruolo di fornitori di informazioni e guardiani pubblici (privati quindi della loro libertà di critica politica).
La Corte ha considerato che gli enti dell’esecutivo investiti di poteri statali sono essenzialmente diversi dalle entità giuridiche impegnate in attività competitive sul mercato, in quanto queste ultime fanno affidamento sulla loro buona reputazione per attirare clienti con l’obiettivo di realizzare un profitto, mentre le prime esistono per servire il pubblico e sono finanziate dai contribuenti. In virtù del loro ruolo in una società democratica, gli interessi di un ente dell’esecutivo investito di poteri statali nel mantenere una buona reputazione sono essenzialmente diversi sia dal diritto alla reputazione delle persone fisiche che dagli interessi reputazionali delle entità giuridiche, private o pubbliche, che competono sul mercato.
Riassumendo
La Corte ha ritenuto che i procedimenti per diffamazione civile avviati da un’entità giuridica che esercita poteri pubblici non possono, come regola generale, essere considerati come finalizzati al perseguimento dell’obiettivo legittimo della “protezione della reputazione … degli altri” ai sensi dell’Articolo 10 comma 2 della Convenzione, in quanto questi enti esistono per servire il pubblico e non per competere sul mercato e devono essere aperti alle critiche alle quali dovrebbero rispondere attraverso le loro capacità di relazioni pubbliche, ovvero rispondere ad un articolo che contiene una critica, anche accentuata con parole “forti”, con un altro articolo e non con una denuncia.
Ed inevitabilmente anche la Segen S.p.A. è considerata un ente pubblico in considerazione del fatto che la giurisprudenza italiana ha riconosciuto che, anche se formalmente una società per azioni con partecipazione pubblica è un soggetto di diritto privato, assume la natura di ente pubblico se svolge la maggior parte delle sue attività in favore di un ente pubblico e non ha una vocazione commerciale che possa compromettere il controllo pubblico.
La Cassazione
Ed in ultima analisi si inserisce anche la Corte di Cassazione, con sentenza n. 17326 del 26 aprile 2024, la quale ha chiarito che, in tema di diffamazione, il diritto di critica politica deve basarsi su fatti reali, in caso contrario non potrà applicarsi l’esimente ex art. 51 cod. pen. “L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità).”
“Occorre ricordare che, in tema di delitti contro l’onore, costituisce legittimo esercizio del diritto di critica politica la diffusione di giudizi negativi circa condotte biasimevoli poste in essere da amministratori pubblici, purché la critica prenda spunto da una notizia vera, si connoti di pubblico interesse e non trascenda in un attacco personale (cfr. Sez. 5, n. 4530 del 10/11/2022, dep. 2023, Alloro, Rv. 283964 – 02; Sez. 5 n. 41.767 del 21/07/2009, Z., Rv. 245430 – 01).”
In conclusione
Nonostante gli anni trascorsi, ancora non comprendo come sia stato possibile avvallare questa assurda denuncia visto che è fuori di dubbio che nel famoso post ho descritto il contenuto di un accordo transattivo “a saldo e stralcio”, anche se sostanzialmente la rinuncia di rivalsa è stata quasi a senso unico, che andava a sanare una situazione illegittima protrattasi per decenni, e anche oltre, che ormai è un dato acquisito.
Eppure le mie richieste di chiusura “bonaria” del contenzioso, sono state tutte rispedite al mittente. Tanto finché pagano i cittadini e non di tasca loro, non si faranno alcun problema.
Ancora più fiducioso di una sentenza che non potrà che dimostrarne l’assoluta verità dei fatti contestati, il loro 1° motivo di ricorso “Quanto all’aspetto della verità”, nella costatazione che gli stessi soggetti querelanti, non avevano nemmeno l’autorità di procedere alla querela essendo enti pubblici, soggetti giuridici e non fisici, come tale privi di dimensione morale e non fanno affidamento sulla loro buona reputazione per attirare clienti con l’obiettivo di realizzare un profitto, ma sono chiamati a servire il pubblico e sono finanziati dagli stessi contribuenti/cittadini, ovvero il 2° motivo “Quanto alla continenza espositiva ed alle conseguenze civili del reato”,
- che per la Segen “Le dette espressioni appaiono tanto più lesive in quanto rivolte ad un soggetto che è a partecipazione integralmente pubblica, operante nel sistema dei servizi pubblici e che si propone come gestore unico del servizio integrato dei rifiuti per i suoi 13 comuni consorziati e che ad oggi serve 40.000 abitanti oltre i residenti stagionali.
Per cui ed essendo il settore contraddistinto da serrata competitività, sarà chiaro che il buon nome della Società costituisca un requisito essenziale alla sua stessa sopravvivenza 🤣 “; - mentre per il Comune, “Le dette espressioni appaiono tanto più lesive in quanto rivolte ad anche un ente pubblico, la cui azione dovrebbe improntarsi a trasparenza, legalità ed i canoni del buon andamento 🤣 e che quindi si è visto gravemente leso nella propria immagine.”
Peccato che la Corte Europea, non sia dello stesso avviso.
Articolo scritto e pubblicato da Giuseppe Pea in data 25.10.2024.
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