Civitella Roveto, un disastro senza precedenti e le prime verità sul BIM (prima parte)

Di 13 Giugno, 2024 0 0
Tempo di lettura: 7 Minuti

Una bella “sorpresa” per i nuovi amministratori.

Non ho potuto ignorare il piano di rientro approvato lo scorso 7 giugno 2024 (il giorno prima delle elezioni), con deliberazione del commissario prefettizio n. 4, pubblicata il 10 giugno (il giorno dopo le elezioni), partito dai rilievi della Corte dei Conti sollevati nel 2020 e ribaditi nel 2022, a partire dal mancato accantonamento del FAL (Fondo anticipazioni liquidità), in gran parte sembra non restituito, fino ad arrivare al FCDE (Fondo Crediti di dubbia esigibilità), particolarmente ridotto, a fronte di residui attivi di svariati milioni di euro.

Nell’ultimo rendiconto (2023) le cifre esplodono. A fronte di un risultato di amministrazione di +1.285.957,14 euro (ridotto dalla cancellazione di quasi 1 milioni di entrate in conto capitale, tra cui la vendita dell’hotel River per 671 mila euro mai concretizzata, e oltre 400 mila di entrate correnti evidentemente irrealizzabili), il Comune registra:

  • il FAL (l’anticipazione di cassa non restituita) a 1.267.390,11 euro;
  • il Fondo contenzioso passato da 80.000 euro del 2022 a 500,000,00 euro nel 2023, che ricordo è un accantonamento prudenziale relativo alle cause pendenti con alto indice di soccombenza ed elevati controvalori – che andrebbe ridotto con accordi transattivi quando è elevata la probabilità di soccombenza (notizia di oggi 18.06.2024, trattasi di insoluti di bollette non pagate dal 2011 al 2015 oltre a interessi e spese varie riconosciute tramite un decreto ingiuntivo opposto e confermato dal Tribunale);
  • il FCDE (Fondo Crediti di Dubbia Esigibilità) ridotto a 535.831,20 euro (dagli oltre 1 milione di euro del 2022, riduzione dovuta alla cancellazione di 1,4 milioni di residui attivi, circa 1 milione in quota capitale (di cui 671 mila derivati dalla mancata vendita dell’Hotel River) e oltre 400 mila in quota corrente, ovvero crediti da entrate tariffarie, evidentemente considerati impossibili da riscuotere o non realistici),

accantonamenti che, con altri, portano l’ente in disavanzo di oltre 1 milione di euro (-1.348.728,09 €).

La delibera del commissario prevede il ripianano del disavanzo nei successivi 3 esercizi con misure di razionalizzazione delle spese (poche a dir la verità), e misure di incremento delle entrate (tante), in particolare prevede il seguente piano di rientro:

  • anno 2024 € 449.576,00;
  • anno 2025 € 449.576,00;
  • anno 2026 € 449.576,00.

Salta all’occhio comunque l’incremento esplosivo dei fondi accantonati, a partire dal FAL, senza ignorare il FCDE che è stato ridicolo negli anni fino al 2020, stesso problema avuto dal nostro Comune, con la Corte dei Conti che ha fatto però finta di niente, pur avendo certificato 2 bilanci fortemente negativi (-300.000 euro, pur con numeri di favore).

Premesso che, per me, è sbagliato che un commissario prefettizio, in scadenza di mandato, possa approvare un piano che mette in ginocchio un’intera collettività, visto che sarebbe stato più opportuno, alla prima verifica di cassa, obbligatoria per i nuovi amministratori, lasciare a questi ultimi l’incombente piano di rientro concedendo ad esempio più tempo per il rientro scegliendo un piano di durata quinquennale al posto di uno triennale (difficile se non impossibile da realizzare, a meno di miracoli). Infatti l’art. 118, comma 1, del TUEL dispone che “l’eventuale disavanzo di amministrazione è immediatamente applicato all’esercizio in corso di gestione contestualmente alla delibera di approvazione del rendiconto. (…) Il disavanzo di amministrazione può anche essere ripianato negli esercizi successivi considerati nel bilancio di previsione, in ogni caso non oltre la durata della consiliatura, contestualmente all’adozione di una delibera consiliare avente ad oggetto il piano di rientro dal disavanzo nel quale siano individuati i provvedimenti necessari a ripristinare il pareggio (…)”.

Compito della nuova amministrazione sarà, eventualmente, quello di riapprovare un nuovo piano di rientro allungandone i tempi prendendo alla lettera il testo dell’art. 188 “non oltre la durata della consiliatura” che in questo caso è di 5 anni, (anche qualora l’interpretazione maggioritaria dell’art 188 preveda che il piano di rientro non possa superare il bilancio triennale, la soluzione è inserire la vendita degli immobili e del bosco che da soli valgono il 50% del disavanzo per poi aggiornare il bilancio triennale in seguito ai risultati raggiunti nel primo anno di applicazione, e così negli anni successivi), per renderlo più credibile visto che spesso le previsioni di entrata sono molto ottimistiche, anche sull’esperienza di Civita d’Antino che, reduce dallo stesso identico problema (mancato accantonamento del FAL) non riesce a risalire la china, o qualora non sia sufficiente, ricorrere ad altre misure previste dalla legge quali il ricorso al piano di riequilibrio finanziario (che può avere durata da 4 a 20 anni) o la dichiarazione di dissesto, che comunque non peggiorerebbero la situazione prospettata per il rientro (visto che prevede il massimo di ogni tariffa), ricevendo in cambio fondi statali per la copertura immediata del disavanzo.

Comunque, la situazione è talmente grave che per recuperare questo disavanzo, invece di procedere ad una revisione delle spese, ci si è concentrato quasi esclusivamente sull’aumento delle tariffe, in particolare,

  • maggiori incassi da accertamento del recupero dell’IMU e TASI per opere idrauliche pertinenziali a centrali idroelettriche, Enel, che evidentemente hanno il vizio di non pagare (350.000 euro con decorrenza 2017 fino al 2026 anche se considerate ipotetiche);
  • incremento dell’aliquota IMU, al massimo consentivo dalla normativa, quindi dal 10,1 ‰ si passerà al 10,6 ‰, con un maggior gettito previsto di 21.287 euro annui a partire dal 2025;
  • incremento dell’aliquota IRPEF, al massimo consentivo dalla normativa, quindi da 0,7 % si passerà allo 0,8 % con un maggior gettito previsto compreso tra i 31.000 e i 37.000 euro annui a partire dal 2025;
  • vendita del patrimonio boschivo (340.000 € nel triennio);
  • incasso di parte dei sovracanoni BIM (nonostante con la delibera di consiglio e l’ingresso nel Consorzio BIM, abbiano rinunciato a questi incassi che sono ormai di competenza del BIM), per un importo 16.000 € annui per un totale complessivo di 80.000€ (2022-2026);
  • incremento del canone unico (occupazione suolo pubblico etc., ad esempio quello richiesto per le festività come il tradizionale “Lungo le antiche Rue”), con tariffe che saliranno fino al raddopio, per un gettito previsto ulteriore di circa 17.000 € annui (54.000 nel triennio 2024-2026);
  • riduzione delle spese a carico dell’ente per la mensa scolastica e contestuale aumento delle tariffe a carico dei cittadini, per circa 20.000 euro l’anno (riduzione di 40.00 nel biennio 2025-2026);
  • riduzione delle spese per il trasporto scolastico e contestuale aumento delle tariffe a carico dei cittadini, per circa 9.000 euro l’anno (riduzione di 18.00 nel biennio 2025-2026);
  • chiusura dei condoni edilizi ancora aperti o eventuali nuovi, per un’entrata stimata di 40.000 euro l’anno (120.000 nel triennio 2024-2026);
  • maggiori tariffe per il servizio idrico integrato per circa 96.577 € annuo (importo previsto 193.154 € nel biennio 2025-2026), operazione garantita dall’installazione dei contatori presso le utenze ancora prive (quindi è un’entrata ipotetica). È comunque interessante quando si dichiara “Nell’ipotesi di passaggio a gestore esterno (ndr CAM), ci sarà una importante diminuzione della spesa, poiché l’Ente sarà totalmente sollevato dalla manutenzione della rete idrica e fognaria nonché dalla gestione dell’impianto di depurazione”, dimenticando però che non avrà più entrate di alcun genere, comprese le 200 mila euro extra inserite nel piano di rientro che evidentemente saranno destinate esclusivamente al CAM;
  • vendita di parte del patrimonio immobiliare per circa 250.000 euro complessivi.

In tutto questo sfracello, si inserisce anche la TARI che letteralmente esplode, passando dai 417.054 del 2023, ai 457.092 del 2024, ulteriormente incrementati a 500.973 nel 2025 (+20% in 2 anni, per me ingiustificabili). Il tutto ovviamente grazie anche alla lungimirante scelta di non ricorrere al mercato e affidarsi alla Segen.

La nuova amministrazione parte quindi zoppa a causa di una gestione finanziaria che dal 2013, anno della prima richiesta di anticipazione di cassa poi restituita in parte, ulteriormente aumentata negli anni, fa acqua da tutte le parti e le precedenti amministrazioni sono state evidentemente incapaci di affrontare il problema. O avranno sperato in un trattamento simile a quello che è stato riservato al nostro Comune.

Tuttavia è importante constatare che il grosso del disavanzo è sostanzialmente sulle spalle dei cittadini e le attività di Civitella Roveto, che tra aumenti dell’IMU (al massimo), dell’IRPEF (al massimo), del Canone Unico (fino al raddoppio delle tariffe), delle maggiori spese per il trasporto scolastico, delle maggiori spese per la mensa, delle maggiori spese per il servizio idrico, dell’aumento della TARI, pagheranno oltre 250 mila euro in più nel 2024 e 300 mila euro in più nel 2025 e nel 2026  (oltre 200 euro a famiglia). Il restante è previsto dalla vendita dei boschi (100 mila euro annui), e dalle entrate dovute ai mancati pagamenti dell’IMU da parte dei proprietari delle centrali elettriche, considerate comunque ipotetiche (che nonostante ricavi miliardari, evidentemente hanno difficoltà a pagare le tasse locali), e da quota parte degli incassi dei canoni BIM, una volta di esclusiva competenza del Comune.

Tuttavia bisogna tenere in considerazione che l’aumento della pressione fiscale così corposo porta ad un effettivo aumento dell’incassato, solo in presenza di sistemi di riscossione efficienti e a un comportamento collaborativo dei contribuenti.
Tuttavia considerando che l’indicatore concernente l’effettiva capacità di riscossione registrato dal Comune è inferiore al 47% dell’accertato (vuol dire che il comune non è in grado di incassare nemmeno il 50% delle imposte), l’aumento delle tasse potrebbe avere un impatto ulteriormente negativo sull’incassato (in particolare l’IMU e la TARI, ovvero i crediti più corposi), tale da ridurre inevitabilmente le entrate previste proprio in un contesto che vede l’inflazione colpire beni di prima necessità (ivi compresi i consumi elettrici), che riduce la capacità di spesa dei cittadini.

Vi aspetto domani, per la seconda ed interessantissima ultima parte.

Articolo scritto e pubblicato da Giuseppe Pea in data 13.06.2024 alle ore 6.00

0 Commenti

Rispondi