La recente decisione del Comune di Tagliacozzo di avviare un’azione risarcitoria contro l’ex assessore Alfonso Gargano, rappresenta un caso giuridico e politico che non può essere ignorato. La richiesta di risarcimento danni patrimoniali e non patrimoniali per 80 mila euro nei confronti di chi denunciò “presunti” illeciti amministrativi, solleva numerosi dubbi, sia dal punto di vista giuridico che etico.
Per comprendere la portata della questione, è necessario ripercorrere i fatti. Nel 2015, Gargano, da poco estromesso dalla giunta comunale, presentò un esposto che portò all’apertura di un’inchiesta giudiziaria. L’indagine sfociò nel 2016 nell’arresto dell’allora sindaco Maurizio Di Marco Testa e nel coinvolgimento di vari amministratori e tecnici comunali per reati legati alla turbativa d’asta (molti neanche andati a giudizio). Il processo, purtroppo, si è trascinato fino alla prescrizione, ma non senza condanne. In primo grado, il sindaco Di Marco Testa è stato condannato a 3 anni e 2 mesi e 800 euro di multa oltre all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni per il reato di turbativa d’asta, così come è stato condannato l’ex vice sindaco e consigliere comunale Angelo Di Marco ad una pena di 2 anni e 2 mesi e 800 euro di multa oltre all’interdizione dai pubblici uffici, così come era stato condannato a 1 anno all’imprenditore Giancarlo Bonifaci, con multa di 600 euro ed interdizione, con pena sospesa.
Ora un concetto importate. La prescrizione non è un’assoluzione: è l’estinzione di un reato per il decorso del tempo, un’opzione che gli imputati possono decidere di non far valere se vogliono ottenere un’assoluzione piena nel merito. Chiunque fosse convinto della propria innocenza avrebbe potuto rinunciare alla prescrizione e affrontare il processo fino in fondo per ottenere una sentenza di assoluzione con formula piena. Così non è stato. Anzi, resta il fatto che vi è una condanna passata in giudicato, pur se solo di primo grado, con un processo d’appello mai giunto a conclusione. Ed è ormai risaputo che la strategia adottata da molti avvocati, quando si trovano in difficoltà, è puntare alla prescrizione piuttosto che all’assoluzione, due cose ben distinte.
“Sul punto, va ricordato l’uniforme orientamento del Giudice amministrativo, che ha chiarito che la sentenza dichiarativa dell’avvenuta prescrizione non si può qualificare come sentenza esecutiva di condanna per fatti commessi con dolo o colpa grave, ma non rientra nemmeno nella categoria delle pronunce assolutorie con formula piena, poiché il giudice penale si limita a constatare gli effetti preclusivi del decorso del tempo sull’accertamento delle responsabilità penali. Non si verifica quindi alcun effetto pregiudizievole involontario per l’indagato, il quale può decidere di rinunciare a tale beneficio e ottenere una sentenza di merito (Consiglio di Stato – Sezione IV, sentenza n. 913 del 23 novembre 2004, Consiglio di Stato – Sezione V, sentenza n. 6041 del 15 novembre 2010).”
“Nel caso di conclusione favorevole dei procedimenti … e, nell’ambito di un procedimento penale con sentenza definitiva di assoluzione o decreto di archiviazione per infondatezza della notizia di reato o perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, l’Ente procede al rimborso delle spese legali e di consulenza nel limite massimo dei costi a suo carico … che comunque, non potrà essere inferiore, relativamente al legale, ai parametri minimi ministeriali forensi”.
Questa precisazione, anche se premetto non sono un legale e potrei sbagliare, rafforza ulteriormente la tesi secondo cui la prescrizione è una scelta strategica e non una certificazione di innocenza. Nessuno ha imposto agli imputati di avvalersene: se volevano un’assoluzione nel merito, potevano percorrere quella strada fino in fondo. Invece, si è preferito chiudere il procedimento senza affrontare il giudizio definitivo. Molti avrebbero fatto la stessa scelta, ma io personalmente non mi sentirei di dire che c’è un’assoluzione nel merito, ma una condanna di primo grado non arrivata in secondo per intervenuta prescrizione.
È invero evidente che la richiesta di risarcimento avanzata dal Comune nei confronti di Gargano sembra avere motivazioni più politiche che giuridiche. La giunta ha deliberato questa iniziativa sostenendo che l’inchiesta avrebbe causato un danno economico e un “grave pregiudizio reputazionale” all’ente comunale.
Ma se questo principio fosse valido, allora ogni causa persa dal Comune dovrebbe comportare una richiesta di rimborso nei confronti di chi ha scelto di procedere per vie legali anziché, ad esempio, “conciliare”, nel caso le possibilità di successo siano residuali se non addirittura nulle.
Un caso emblematico è quello delle sentenze amministrative recenti (47/2025, 48/2025 e 52/2025), dove il Comune di Tagliacozzo è stato condannato al pagamento delle spese legali per un totale di 4.500 euro oltre accessori di legge e refusione del contributo unificato. La sentenza evidenzia che il Comune ha annullato il provvedimento impugnato solo dopo l’avvio del ricorso, portando comunque alla condanna per le spese. Non sarebbe stato più sensato conciliare prima, evitando un esborso inutile o limitare l’esborso con un accordo extra-giudiziale? E credetemi che questo non è un caso isolato.
In Italia, per quanto riguarda gli incarichi legali, non esiste un vero e proprio “principio di risultato”. Gli avvocati sono tenuti a fornire una prestazione professionale diligente, ma non possono garantire un esito favorevole per il cliente. L’eventuale responsabilità professionale dell’avvocato può sorgere solo in caso di colpa grave, negligenza o errore di fatto particolarmente evidente.
Così non esiste un vero è proprio reato di “falsa denuncia” per quelli che sono ipotesi di reati collegati ad un’amministrazione comunale (in caso di evidente infondatezza si potrebbe formulare reati quali calunnia, diffamazione o simulazione di reato, tutti esclusi vista la condanna di primo grado). Ogni denuncia è infatti per definizione “presunta” e viene presentata “contro ignoti”, anche se chi la presenta fornisce nomi e ricostruzioni dettagliate. Nella stragrande maggioranza dei casi, viene archiviata se infondata o non sopportata da riscontri, e il soggetto “chiamata in causa” non viene nemmeno informato, non essendo formalmente indagato di alcun reato. Spetta alla magistratura verificare la fondatezza delle accuse. Nel caso in esame, presumo che ci sia stato un Pubblico Ministero che ha ritenuto fondate le ipotesi di reato, un Giudice per le Indagini Preliminari che le ha confermate, un Giudice dell’Udienza Preliminare che ha disposto il rinvio a giudizio, e infine un Tribunale che ha emesso una condanna in primo grado.
Se si dovesse applicare il principio seguito dal Comune di Tagliacozzo, allora parte dei rimborsi delle spese legali dovrebbero essere richiesti anche e soprattutto al P.M., oltre che al GIP e al GUP, alcuni si sono fermati all’udienza preliminare, altri al tribunale di Avezzano, quindi hanno superato il GIP, se ci sono state misure cautelari, e il GUP che ha disposto il rinvio a giudizio, mentre per l’ex sindaco si è arrivati alla Corte d’Appello che non ha chiuso il processo in tempo utile per evitare la prescrizione, perché è bene ricordare questa segue delle condanne e non delle assoluzioni.
Poi è bene evidenziare che il reato di calunnia, previsto dall’art. 368 c.p., si configura solo se una persona accusa falsamente qualcuno di un reato presentando una denuncia, querela o altra dichiarazione all’Autorità, avendo però la consapevolezza dell’innocenza dell’accusato e la volontà di provocare ingiustamente un procedimento penale a suo carico. Questo significa che, se una persona fa una denuncia in buona fede, ritenendo che l’accusato sia colpevole, ma poi si scopre che non lo è, non si può parlare di calunnia. Perché vi sia reato, deve essere provata l’intenzione di mentire e di attribuire consapevolmente un fatto falso a un innocente, poiché non basta che l’accusa si riveli infondata o che il procedimento venga archiviato o assolva l’imputato. L’elemento essenziale è il dolo specifico, ossia la volontà di falsificare la realtà con lo scopo di danneggiare l’accusato.
La vera questione che emerge da questa iniziativa è il pericoloso precedente che si sta creando. Se chi denuncia un illecito, anche quando porta a condanne (pur non definitive ma con una base valida), rischia di essere citato per danni, chi avrà più il coraggio di segnalare malversazioni o reati all’interno delle amministrazioni pubbliche?
Questa richiesta di risarcimento rischia di essere un avvertimento mascherato per chiunque in futuro voglia denunciare irregolarità nella gestione della cosa pubblica. Un atteggiamento del genere mina il principio stesso di legalità e trasparenza nella pubblica amministrazione, trasformando chi segnala reati in un potenziale bersaglio di ritorsioni legali.
Gargano ha tutta la mia solidarietà. Tutti dovrebbero seguire il suo coraggio. Ma altra cosa che “dimentica” l’amministrazione, è che Gargano si è limitato a segnalare ipotesi di reato, non ha ricoperto il ruolo di P.M. (che ha condotto le indagini), né G.I.P. (che a eventualmente convalidato le misure cautelari), né G.U.P. (che ha disposto il rinvio a giudizio), né Giudice di prime cure (che ha emesso le tre condanne e cinque assoluzioni). E la veridicità delle sue affermazioni, anche se molte ipotesi sono decadute subito, la conferma la prima condanna e il fatto che, per uscirne fuori, i tre imputati si sono avvalsi della prescrizione e non di un’assoluzione nel merito.
Ora da quelli che oggi si sentono dei novelli “moralisti”, come gli amministratori comunali di Tagliacozzo che hanno portato in giunta comunale questa assurda delibera, mi aspetto che abbiano fatto da tempo una segnalazione relativa all’affidamento decennale concesso alla Segen per il servizio integrale di gestione dei rifiuti, un atto che appare viziato almeno da un falso documentale, che continua ancora oggi a produrre effetti giuridici. Nella delibera si giustifica l’affidamento dichiarando che il costo è inferiore alla media regionale e nazionale, fissandolo a 138,84 €/ab (con la media pari rispettivamente a circa 167,90 €/ab e 174,65 €/ab), quando in realtà i costi effettivi ammontano a 234,69 €/ab, per stessa ammissione del gestore, successivamente confermato dall’ente stesso. Se l’amministrazione si erge a baluardo di moralità e correttezza, mi aspetto che abbia denunciato il tecnico comunale responsabile di questa incongruenza presente nella relazione ex art. 34 comma 20 DL 179/2012 da lui stesso istruita per verificare eventuale reati e le relative conseguenze. Se volete leggere l’articolo completo andate su questo link.
Se è pur vero che la delibera della Giunta Comunale non è più visibile sull’albo pretorio, quindi non mi è possibile analizzarla nel merito, la stessa, come citata dal quotidiano locale “il centro”, sembra per il sottoscritto estremamente presuntuosa con scarse, se non nulle, possibilità di successo. È un’intimidazione vera e propria.
Tutta questa vicenda merita attenzione e critica. Il diritto di denunciare possibili illeciti deve essere tutelato, non punito con azioni risarcitorie che hanno il sapore della rappresaglia politica. Un’azione simile rischia di scoraggiare chiunque voglia contribuire alla legalità, lasciando campo libero a chiunque voglia abusare del proprio potere senza timore di essere chiamato a rispondere delle proprie azioni.
Dubito che avremo a breve risposte alle tante domande che mi sono fatto, soprattutto alla possibilità dei 3 soggetti non assolti nel merito, ma prescritti (come l’inter in sostanza 😂), possano ottenere il rimborso delle spese legali, almeno da quello che ho avuto modo di intendere il significato della prescrizione del reato. Se lo avessero avuto, mi aspetterei sinceramente un annullamento in autotutela da parte dell’Amministrazione comunale perché è chiaro ed evidente come anche un solo euro speso per questa causa costituisca un danno erariale palese. Se l’amministrazione comunale deciderà di proseguire su questa strada, sarebbe moralmente ed eticamente corretto che siano loro stessi a farsi carico dei costi di questa rivalsa e intimidazione, piuttosto che gravare sulle casse pubbliche con un’azione tanto pretestuosa quanto insostenibile.
Articolo scritto e pubblicato da Giuseppe Pea in data 20.02.2025
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