Ultimo articolo dell’anno. Sottotitolo. La crisi delle partecipate.
Aciam
Si avvia inesorabilmente la conversione dell’Aciam da una società a partecipazione pubblico-privata, con socio maggioritario la parte pubblica (51,38 % detenuto da 48 amministrazioni), ad una società ormai sotto il controllo del socio privato (Tekneko già potenzialmente al 66,70%), dopo l’inevitabile uscita dei Comuni di Carsoli (uno dei comuni che fin dall’inizio ha sostenuto la quasi impossibilità di mantenere la partecipazione, non a caso ben consigliato dal Segretario Comunale), Pereto, Oricola e Rocca di Botte, che hanno avviato la gara pubblica che vede la partecipazione di 4 società private a contendersi l’appalto da 6.086.200,00 €, e Celano con la gara da 6.559.053,20 € che vede la partecipazione di 3 società private, oltreché del Comune di Avezzano.
L’Aciam ha infatti registrato nell’ultimo bilancio 2023 un debito di 2.440.636,41 euro, ridotto successivamente a 2.115.043,00 euro. Per risanare il debito il socio privato era chiamato ad un aumento di capitare pari a 1.027.910,90 euro, mentre i comuni soci erano chiamati a versare 1.086.709,09 euro, con la parte più cospicua proveniente dal Comune di Avezzano, chiamato ad un aumento di capitale di 258.035,24 euro.
Ma l’aumento di capitale, non ostacolato in nessuna maniera al socio privato, era vietato alla parte pubblica. I soci pubblici, infatti, anche secondo il parere legale acquisito da Aciam il 26.02.2024, non potrebbero sottoscrivere la ricostituzione del capitale sociale perché non legittimati a conservare le partecipazioni in una società il cui socio privato non è stato selezionato con gara a “doppio oggetto”, ovvero che non proveda la sola partecipazione all’assemblea del privato, ma comprenda anche l’appalto o la concessione del servizio, sia per la “non strumentalità della società”, ovvero la non necessarietà della stessa per i comuni che non hanno affidato il servizio all’Aciam ma sono andati in gara (come Avezzano).
L’assemblea dei soci Aciam aveva però proposto esclusivamente l’aumento di capitale da parte del socio privato, senza proposte alternative.
Questo comporta che la maggior parte dei comuni che non hanno affidato il servizio all’Aciam, tra cui Avezzano, una volta approvato l’aumento da parte del socio privato, sarebbero chiamati nell’immediatezza a dismettere le quote societarie, mentre i restanti comuni che hanno affidato all’Aciam la gestione dei rifiuti, sarebbero chiamati anche ad avviare la procedura di evidenza pubblica per l’assegnazione del servizio di gestione dei rifiuti sottraendo quindi il servizio all’Aciam (come fatto da Carsoli, Pereto, Oricola e Rocca di Botte).
Infatti benché l’art. 12 della l. n. 498/1992 permette in una società mista pubblico-privata una partecipazione maggioritaria del socio privato che dovrebbe assumersi il “rischio di impresa” e contestualmente limiterebbe il socio pubblico ad intervenire nella gestione ed esercitare i controlli per la tutela di interessi pubblici, è obbligatorio che il socio privato sia scelto mediante una procedura pubblica che preveda anche l’affidamento del contratto di appalto o di concessione oggetto esclusivo dell’attività della società mista.
Tuttavia il socio privato è entrato nella compagine Aciam con un bando del 2005 che non prevedeva la concessione dei servizi pubblici, ma la sola partecipazione all’assemblea della società con le stesse prerogative dei soci pubblici, avendo quindi un’influenza significativa sulle decisioni strategiche, ma essendo impossibilitata a svolgere i relativi servizi.
Con questi presupposti, la società mista Aciam non può (neanche poteva ma evidentemente nessuno se ne era accorto) ricevere dai comuni soci affidamenti diretti del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, poiché non è una società in house e non può partecipare alle gare indette dagli stessi in quanto lo statuto non lo permette e la modifica dello stesso comporterebbe un giudizio di non strumentalità della società ai sensi del d.lgs. 175/2016.
Tuttavia, benché si potevano proporre altre soluzioni, tra cui l’uscita del socio privato con le sue quote rimesse di nuovo in gara ma questa volta “a doppio oggetto” prevedendo quindi oltre alla partecipazione all’assemblea anche l’affidamento del servizio per un tempo limitato o la conversione in una società “in house”, istituto spesso abusato come fatto dai Comuni Segen molti dei quali obbligati a dichiarare il falso pur di mantenere in piedi la partecipazione utile ad altri scopi, alla quale affidare poi eventualmente il servizio di gestione per i comuni ancora serviti dall’Aciam (seppur in aperto contrasto con la normativa europea e nazionale compresa la Corte dei Conti Abruzzo che recentemente ha dichiarato che “l’affidamento tramite gara pubblica rappresenta la normalità mentre l’affidamento diretto all’in-house è strumento eccezionale”), l’assemblea non ha permesso ai comuni nessuna delle alternative, di fatti portando l’Aciam nelle mani del socio privato, probabilmente chiamato a rispondere dei debiti e a liquidare contestualmente i soci pubblici.
Cogesa
La recente approvazione, tardiva, del bilancio consuntivo 2023 da parte di Cogesa, già coinvolta in un piano di ristrutturazione del debito approvato dal tribunale per evitare il fallimento, registra un buco di bilancio di quasi 1,4 milioni di euro coperto con le riserve di capitale, senza richiedere esborsi aggiuntivi ai Comuni soci.
La scelta di ricorrere alle riserve di capitale però non è priva di conseguenze perché svaluta l’azienda portando ad una sua possibile dismissione a condizioni svantaggiose, eventualità tutt’altro che remota secondo l’amministratore unico Nicola Sposetti, che non ha nascosto le criticità legate al piano di ristrutturazione.
Tra l’altro il piano di ristrutturazione prevede una ricapitalizzazione di 480mila euro che secondo il Tusp (Testo unico sulle società partecipate) è una procedura vietata per società che abbiano utilizzato riserve disponibili per coprire perdite di bilancio, a meno che non si riscontri un imminente pericolo dell’ordine pubblico o previa un’autorizzazione del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Per questi motivi il bilancio è stato respinto anche dal socio maggioritario, il Comune di Sulmona che sembra (sembrava visto che è stato appena fatto decadere il Sindaco), intenzionato ad uscire dal consorzio e a mettere a gara il servizio, con l’inevitabile fine della gestione che ha portato oltre ad una ristrutturazione del debito e a qualcosa come 53 vertenze sindacali, anche, in considerazione del fatto che il contratto è in dirittura d’arrivo con un’eventuale proroga tecnica in attesa di una probabile gara pubblica (salvo stratagemmi particolari, al limite del falso ideologico, come avvenuto per gli affidamenti diretti di molti comuni Segen, con “costi” particolarmente accomodanti).
La Segen e la matematica che diventa un’opinione.
Dopo aver falsificato per anni molti dati inviati all’ISPRA, come da tradizione la Segen ha falsificato anche l’ultimo dato relativo ai costi pro-capite assegnati per l’annualità 2023 al nostro comune indicando una spesa pro-capite di appena 136,19 €, dato palesemente falso visto che porterebbe ad un costo complessivo di “soli” 442 mila euro a fronte di un costo “calmierato” di 507 mila euro, tenendo ben in considerazione che per fare questa sforbiciata il comune di Balsorano ha dovuto sottrarre alla tariffa 41 mila euro dei propri costi, passati da 97 mila a 56 mila, di cui 46 mila necessari a coprire la sola iva dovuta per le fatture emesse dalla Segen, e ha dovuto rinunciare ad ulteriori 19.233,24 euro che secondo il PEF la Segen deve versare al Comune come parte del ricavato della vendita del materiale (58.490,00), ma che questa non ha mai versato. Parliamo di un “ritocchino” pari del 15,8 % dei costi.
Basta solo pensare che secondo i geni della Segen il costo è rimasto invariato dal 2018 quando dichiarava 135,57 quasi identico al 2023 visti i 136,19 dichiarati, nonostante un aumento costante del 5% annuo delle tariffe e un costo salito da 414 mila a 558 mila. I miracoli di Natale.
Ad ulteriore dimostrazione del fallimento continuativo della gestione pubblica, basta fare il confronto tra i costi “Segen” e i costi “standard”, valore che deve essere preso obbligatoriamente a confronto per valutare la convenienza economica della gestione. In base al servizio svolto e alle risorse locali, il costo del servizio dovrebbe essere di soli 428 mila euro, mentre siamo a 507 mila euro cifra raggiunta dopo una più che evidente sforbiciata ai costi reali di 588 mila euro per sembrare competitivi e giustificare la presenza della Segen.
E la differenza è destinata ad esplodere quando si dovrà considerare la presenza del centro di raccolta che dovrebbe comportare una riduzione dei costi standard destinati a scendere a 394 mila euro.
Ma un falso tira l’altro e non siamo soli:
- San Vincenzo V.R. è a 190,83 €/ab ma dichiara 164,24 €/ab (396 mila euro di costi reali a fronte dei 323 mila standard);
- Morino è a 180,25 €/ab ma dichiara 162,85 €/ab (235 mila euro di costi reali a fronte dei 179 mila standard);
- Civita d’Antino è a 207,75 €/ab ma omette di dichiarare i costi all’ISPRA (197 mila euro di costi reali a fronte dei 147 mila standard);
- Civitella Roveto è a 165,28 €/ab ma dichiara 157,75 €/ab (496 mila euro di costi reali a fronte dei 419 mila standard);
- Canistro è a 273,38 €/ab ma omette di dichiarare i costi all’ISPRA (244 mila euro di costi reali a fronte dei 171 mila standard);
- Capistrello è a 167,22 €/ab ma omette di dichiarare i costi all’ISPRA (793 mila euro di costi reali a fronte dei 687 mila standard);
- Castellafiume non pervenuto;
- Luco dei Marsi non pervenuto;
- Tagliacozzo che dichiara ufficialmente qualcosa come 250,91 €/ab cifra che probabilmente lo rende il comune sotto i 15.000 abitanti con le tariffe più alte d’Italia (1,7 milioni euro di costi reali a fronte degli 1,4 milioni di euro standard)
e molti comuni sono stati obbligati a tagliare le loro spese per limitare il caro tariffa, arrivando a coprire con le loro entrate, a mala pena l’iva delle fatture Segen da versare allo Stato (i ricavi di Balsorano sono destinati per oltre l’80% a coprire l’iva, con il record raggiunto da Civitella Roveto che ne destina oltre il 90%).
La cosa curiosa è che la maggior parte di questi comuni ha indicato negli anni scorsi, in occasione dell’affidamento del servizio, un costo “farlocco” di soli 138,84 €/ab, per dare una valenza giuridica all’affidamento alla Segen, palesemente illegittimo.
Se prendiamo a paragone il Comune di Avezzano, quest’ultimo ha dichiarato nel 2023 un costo pro-capite di 163,76 euro pari a complessivi 6,7 milioni a fronte di costo reale di 6,75 milioni di euro con uno scostamento di un -0,81%, indicando la precisione nei calcoli, rispecchiata anche nei costi standard che prevedono un costo di 6,83 milioni di euro. Le singole voci relative al servizio di spazzamento e raccolta sono pari a 4,7 milioni sul sito ISPRA e 4,6 sul PEF.
Il nostro comune invece a fronte di 370 mila euro indicati nel PEF, ha comunicato all’ISPRA un costo ridotto a soli 304 mila euro, dimostrazione più che lampante del falso dato necessario per sembrare quello che non è, una società efficiente. Senza dimenticare che il Comune di Avezzano incassa il 53% dei ricavi per la vendita dei materiali (416 mila euro di 783 mila euro) contro lo 0% del Comune di Balsorano (0 euro di 58.490 euro), nonostante quando scritto sul PEF opportunamente ritoccato per tenere bassi i costi pro-capite.
Ma per l’amor di Dio, mai toccare la Segen o dipendenti pubblici capaci di dichiarare consapevolmente cifre abbondantemente più basse di quelle reali, pur di non uscire dalla Segen.
Un plauso ai Comuni di Celano, Carsoli, Pereto, Oricola e Rocca di Botte che hanno deciso di mettere a gara il servizio, gare alle quali la Segen non potrebbe mai partecipare perché priva di requisiti ed anche qualora si procedesse ad una modifica statutaria, incapace, nella maniera più assoluta, di offrire gli stessi servizi ad un prezzo concorrenziale.
Articolo scritto da Giuseppe Pea il 31.12.2024.
Rispondi