SmartLand: 8 anni in gabbia dorata (con 8,8 milioni di euro garantiti)

Di 24 Settembre, 2025 0 0
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Lo scorso 7 agosto il Comune di Balsorano ha convocato il Consiglio Comunale per approvare la “dichiarazione di pubblica utilità della proposta presentata da CISA Consulting Srl avente ad oggetto laffidamento in concessione per laffidamento, realizzazione e gestione del progetto strutturale integrato smartland Valle Roveto“. Qui la Delibera recentemente pubblicata e incredibilmene il parere negativo del tecnico comunale (che condivido). Da notare il parere negativo del Consigliere Fantauzzi e quello positivo di Tuzi (quando si tratta di esternalizzare non si tira mai indietro).

No, non ho sbagliatao a scrivere. Gli altri comuni hanno avuto la stessa proposta e molti fatto lo stesso errore sul refuso della parola laffidamento senza apostrofo, sintomo che si vota senza leggere un rigo di quello che c’è scritto e soprattutto senza capire cosa si vota. Il top. Ma i competenti sanno sempre distinguersi.

Tuttavia io mi sto seriamente domandando se a gestire il nostro comune sono quelli che hanno vinto le elezioni, o se è il Comune di Morino & Company a dettar legge, con tutti i soliti personaggi che ci ronzano intorno.

Allora se non sbaglio.

  • La Segen SpA: nata lì, gestisce la raccolta rifiuti per tutti i comuni soci. Ogni anno utili garantiti (solo Balsorano gli garantisce 70 Mila euro ogni anno);
  • La AST Azienda di Sviluppo Territoriale Srl: costituita dai Comuni mentre ancora esisteva il Consorzio, con lo stesso oggetto sociale, tanto che i due enti sono stati definiti “conflittuali”. Già nel 2015 era prevista la confluenza del Consorzio in Segen Holding Srl, con conseguente coincidenza delle finalità. Ha una sola dipendente part-time (16 ore), assunta dopo aver preso il servizio di pulizie a Sante Marie (quando non aveva personale: un assurdo!). Con la stessa fa le pulizie anche a Civitella Roveto e ovviamente a Morino, ma per pulire il suo ufficio si è avvalso del personale della Segen. Sempre con la stessa addetta alle pulizie si è preso pure la gestione dei boschi di Canistro, San Vincenzo e ovviamente Morino.
    Non a caso la AST detiene una quota della DMC Marsica, presieduta fino al 2023 sempre da un certo Giovanni D’Amico, che è stato anche presidente dell’Associazione Foresta Marsica (con sede… nella stessa struttura della Segen);
  • La Segen Holding Srl: soldi dei rifiuti spesi un po’ ovunque. Ad esempio in consulenze “top secret” affidate – tanto per fare un nome – proprio a D’Amico, che dal 2018 al 2023 ha incassato oltre 70 mila euro di consulenze/progettazioni, o la progettazione di 3 centrali idroelettriche ovviamente per il Comune di Morino (mai autorizzate). Eppure la Holding dovrebbe limitarsi a gestire solo le quote della Segen SpA e non dovrebbe fare concorrenza a nessuno tantomeno avere “progetti segreti”.
  • Il Consorzio BIM Liri-Garigliano: nato promettendo 250 milioni di incassi, ridotti poi a circa 4 milioni… ma solo dopo il maxi-sconto alle aziende energetiche, che hanno guadagnato centinaia di volte più degli spicci che ogni anno finiscono ai comuni grazie allo sfruttamento delle acque dai nostri territori. Il Comune ci è entrato anni fa rinunciando a tutti gli arretrati (150 mila euro e 100 mila di “sconto”) e a tutti gli incassi futuri (per differenza circa 25 mila euro), e se li vuole indietro dovrà chiederlo per favore, ovviamente dopo che sono stati decurtati da quelli che avranno speso per altro. Un ente pubblico che ad oggi non ha mai pubblicato un bilancio: nessuno sa dove siano finiti i milioni incassati.

E adesso l’ultima gallina dalle uova d’oro, l’iniziativa SmartLand Valle Roveto che non poteva essere proposta che da …………….. suspance …………….. Morino & company, iniziativa alla quale il nostro comune ha goiosamente deciso di aderire per la felicità dei soliti noti (e di una parte della minoranza, sempre legata ai consorzi), iniziativa promossa da una sconosciuta Cisa Consulting che si presenta come un grande piano di rigenerazione e sviluppo territoriale, ma nella pratica, un’operazione fortemente rischiosa sotto il profilo economico, amministrativo e strategico.

Il progetto SmartLand è strutturato come un ITI (Investimento Territoriale Integrato), non viene presentato solo come una cornice di sviluppo, ma come una vera e propria gabbia che imbriglia i Comuni per otto anni. L’ampiezza smisurata del perimetro – che ingloba energia, rigenerazione urbana, mobilità, turismo, digitalizzazione, servizi scolastici e sociali – significa che praticamente qualsiasi iniziativa dovrà passare attraverso il promotore. In questo modo gli uffici tecnici comunali perdono la loro funzione naturale, ridotti a semplici esecutori, e la capacità progettuale interna viene svuotata. Non si tratta più di collaborare con un supporto esterno, ma di dipendere strutturalmente da esso.

La gravità del meccanismo sta nel modello economico: non è un project financing classico, dove il privato rischia e guadagna in base al successo dell’operazione, ma un sistema di percentuali fisse garantite su qualunque investimento, anche su progetti già pronti e approvati. È sufficiente che il Comune metta in moto un’opera perché scattino le quote automatiche:

  • 1,5% su ogni progetto per la semplice “pianificazione” (planning), anche se il progetto è già pronto;
  • 4% su tutte le opere per attività di “coordinamento e supervisione” (project management), indipendentemente dalla loro complessità;
  • 2,5% su ogni finanziamento ottenuto, chiamato success fee, che scatta anche se l’apporto è minimo;
  • fino al 5% del valore dei Titoli di Efficienza Energetica (TEE) generati, anche senza interventi tecnici diretti.

In totale il promotore può arrivare a percepire fino all’8% del valore delle opere, senza assumersi alcun rischio reale e senza dover dimostrare di avere apportato un valore tecnico concreto.

Un business mostruoso da almeno 8,8 milioni di euro in 8 anni: altro che bruscolini, qui si banchetta a caviale e champagne.

Ragà, ma c’è modo di averne una fetta, se tante volte avanza? Lo chiedo per un amico.

Per comprendere meglio come è stato studiato questo business … ad esempio dovete sapere che un progetto già esecutivo da un milione di euro produrrebbe comunque 15.000 euro di ricavo per il promotore, anche se non avesse redatto un solo elaborato tecnico.

Ma non finisce qui. Sulla stessa opera da un milione di euro, già completa di progettazione e con cronoprogramma definito, il promotore incasserebbe ulteriori 40.000 euro solo per “gestire” il progetto: una cifra enorme che non tiene conto della reale complessità dell’opera, visto che la maggior parte delle verifiche e dei controlli sono comunque affidati a RUP e direttori lavori comunali.

Sempre per lo stesso intervento, anche se tutta la documentazione fosse stata predisposta dagli uffici tecnici comunali, il promotore si vedrebbe riconosciuti ulteriori 25.000 euro di “success fee” soltanto per la pratica amministrativa, senza che la sua presenza abbia fatto la differenza.

Questo significa che, su un singolo progetto da un milione di euro già pronto e cantierabile, il promotore riuscirebbe a mettere insieme circa 80.000 euro complessivi, sommando le varie percentuali (planning, project management e success fee), il tutto con il minimo sforzo e senza aver prodotto alcun valore tecnico aggiuntivo.

Non si tratta di un’ipotesi teorica: il parere tecnico comunale ha segnalato che la proposta SmartLand include la gestione di opere già progettate e approvate dal Comune di Balsorano, come la Casa della Salute, la riqualificazione dell’ex scuola media di via Madonna dell’Orto e le aree mercatali. In pratica, anche su progetti già pronti e finanziati, il promotore pretenderebbe le sue percentuali, trasformando attività già concluse dagli uffici comunali in una rendita aggiuntiva per il soggetto esterno.

In altre parole, mentre il Comune si accolla la fatica della progettazione, della gestione e dei controlli, il promotore incassa una rendita automatica solo perché il progetto rientra nel perimetro dell’ITI. Un meccanismo che premia la posizione di rendita e penalizza il lavoro reale, trasformando ogni investimento comunale in una fonte di guadagno sicuro per un soggetto esterno.

Ma non paghi di questa rendita, il promotore guadagna anche su qualsiasi intervento di efficientamento energetico. Se un impianto comunale producesse Titoli di Efficienza Energetica per 300.000 euro, il promotore otterrebbe 7.500 euro semplicemente per aver rivendicato la sua quota, pur senza aver investito un centesimo né assunto rischi tecnici.

In sintesi, più il Comune investe, più il promotore incassa, indipendentemente dalla difficoltà del lavoro o dal suo contributo effettivo. È un sistema che trasforma la progettazione comunale in una rendita garantita per otto anni, scollegata dal merito e dal risultato.

A ciò si aggiunge un ulteriore elemento critico: la previsione di una cosiddetta “fondazione eticaalla quale verrebbero affidati beni e immobili comunali.

No, non sto scherzando. Dietro una denominazione rassicurante si cela il rischio di una cessione mascherata di tutto il patrimonio pubblico, con perdita di controllo diretto sugli immobili, possibilità di affitto o valorizzazione senza reali passaggi democratici, e vincoli difficili da invertire anche in caso di cambio di amministrazione. Qui non è più solo in gioco la progettualità: è la stessa sovranità politica e patrimoniale del Comune che rischia di scivolare fuori dalle mani degli amministratori eletti.

Questo rischio è stato messo nero su bianco anche dal responsabile dell’Ufficio Tecnico comunale, che ha definito la fondazione etica “non assolutamente consigliabile”, poiché ridurrebbe il controllo diretto del Comune sui beni e potrebbe condurre a decisioni basate sulla redditività immediata piuttosto che sul beneficio sociale a lungo termine.

Il tutto appare ancora più allarmante se si considera che il promotore, Cisa Consulting, è una società con appena 10.000 euro di capitale sociale e un fatturato minimo, sproporzionato rispetto all’enorme mole di investimenti ipotizzati. In teoria la legge prevede che il rischio operativo gravi sul privato, ma in pratica un soggetto così sottocapitalizzato non offre alcuna garanzia reale. Se qualcosa va storto – ritardi, varianti, mancanza di partner finanziari – a pagare saranno i Comuni, mentre il promotore continuerà comunque a incassare le sue percentuali. È un modello che trasferisce il rischio al pubblico e la rendita al privato.

Questa situazione non può non richiamare i precedenti già vissuti nel territorio: le centrali idroelettriche mai realizzate a Morino, finanziate con soldi della tassa rifiuti e rimaste sulla carta; la gestione fallimentare dei boschi con la AST, incapace di generare benefici reali (in un capolavoro di paradosso, è riuscita persino a ottenere la pulizia degli uffici a Sante Marie senza disporre di un solo operaio tanto che per pulire il suo, ha dovuto “prendere in prestito” quelli della Segen: insomma, neppure per spazzare i propri locali è stata autonoma); i consorzi inutili e le partecipate costose e improduttive. È come se si riproponesse lo stesso schema: grandi promesse, costi certi, benefici incerti.

In definitiva, SmartLand non è solo un piano operativo, ma una ridefinizione della governance locale che consegna per otto anni la cabina di regia a un soggetto esterno, poco solido e molto interessato a garantirsi percentuali sicure. I Comuni rischiano così di perdere autonomia progettuale, patrimonio e capacità decisionale, in cambio di un modello che ha il sapore della privatizzazione della politica di sviluppo locale. Una volta ceduto questo ruolo, recuperarlo sarà estremamente difficile.

Ancora più grave è la contraddizione istituzionale: la delibera consiliare ha approvato il progetto dichiarandolo di pubblico interesse nonostante il parere tecnico contrario. Nella delibera si legge che non vi sarebbero costi per il Comune e che il rischio operativo resterebbe in capo alla società, ma il parere evidenzia l’opposto: costi percentuali automatici su ogni progetto, duplicazioni di funzioni, svuotamento degli uffici, mancanza di documentazione a supporto del piano finanziario, fino al rischio di rilievi da ANAC, Corte dei conti e TAR.

È arrivato il momento di dire basta.

  • basta con i consorzi ai quali il Comune ha “regalato” le proprie legittime entrate;
  • basta con le partecipate costose e improduttive come la Segen, e con i disastri conclamati come il CAM;
  • basta con la svendita del patrimonio comunale a soggetti esterni;
  • basta con lo svuotamento degli uffici tecnici, ridotti a semplici esecutori senza alcuna autonomia;
  • basta con gli accordi-capestro che legano per anni le mani agli amministratori, ipotecando il futuro delle comunità locali;
  • basta con il dire sempre “sì” per pura inadeguatezza ad amministrare.

Con questi amministratori, questo è probabilmente il massimo che possiamo aspettarci. Ma il territorio non può più permetterselo. È forse il tempo di esporsi nuovamente in prima persona, di riprenderci ciò che ci appartiene. Una volta c’era un Sindaco che, pur tra errori, ha lottato per rendere la comunità indipendente e autonoma. Oggi occorre ritrovare quello stesso coraggio: perché un territorio senza voce propria non sceglie il proprio destino, lo subisce.

Articolo scritto e pubblicato da Giuseppe Pea in data 24.09.2025

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