Dal sogno di riqualificazione allo scontro istituzionale: Balsorano contro l’ATER

Di 26 Settembre, 2025 0 0
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La determinazione comunale sull’IMU 2019 e la vecchia deliberazione del CdA ATER del 24 luglio 2019 si guardano oggi come due facce di una stessa medaglia: da un lato, l’ente locale che pretende il pagamento di quasi ventimila euro per tributi arretrati (per il solo 2019), dall’altro l’Azienda territoriale che, pochi anni fa, siglava un protocollo con il Comune e la Regione per la riqualificazione urbanistica del “Quartiere Via Roma”, quell’insieme di baracche nate dopo il terremoto del 1915 e da tempo in stato di degrado.

Nella delibera ATER n. 12/2019 si metteva nero su bianco la volontà di un intervento radicale. Si ricordava come il Comune fosse proprietario dell’area e degli immobili, che occupavano circa 11.500 mq nel cuore di Balsorano, a ridosso della piazza principale e della parrocchia. La descrizione era impietosa: 560 vani distribuiti in 127 matricole, molti abbandonati, fatiscenti, esito del naturale deterioramento di quelle “baracche” che, nate provvisorie, erano sopravvissute oltre un secolo. L’ATER riconosceva il valore strategico di quell’area per un progetto di rigenerazione urbana e avviava una convenzione tripartita con Regione e Comune, definita “innovativa e sperimentale”. Sembrava l’inizio di una stagione di collaborazione virtuosa. Da allora sono trascorsi 6 anni e non si è saputo più nulla in proposito (come era logico tra l’altro visto quando valgono le promesse dei politici).

Ora a distanza di pochi anni, però, il quadro è radicalmente mutato. Il Comune non solo pretende dall’ATER il pagamento di imposte arretrate, ma lo fa attraverso una determinazione, per il sottoscritto, viziata da più ambiguità: l’oggetto confonde accertamento e ruolo, il regolamento richiamato è del 2020 e non del 2019, la “definitività” dell’avviso è solo dichiarata e non dimostrata, mentre sanzioni e interessi vengono proclamati ma non conteggiati. Persino la modalità di pagamento – “in un’unica rata” – è imposta con una disinvoltura che non compete all’ente. In altre parole, si assiste a un atto che, pur animato dalla volontà di recuperare gettito, si presta facilmente a contestazioni e contenziosi.

Per l’ATER, destinataria della pretesa, la risposta non si limiterà probabilmente a un ricorso tributario. La stessa Azienda, nel 2019, aveva assunto un impegno di riqualificazione che implicava la presa in carico di un patrimonio edilizio particolare, in gran parte ERP. Ora, dinanzi a un Comune che esige tributi perché evidentemente lei stessa dichiara che quegli alloggi non siano più effettivamente “popolari”, e l’ATER potrebbe reagire con verifiche sullo status degli immobili. Potrebbe attestare la permanenza o meno dei requisiti ERP, aprire un’istruttoria su eventuali alienazioni o trasformazioni, fino ad arrivare – in casi estremi – a richiedere la restituzione degli alloggi. Sarebbe un conflitto aperto, con conseguenze dirette sugli assegnatari e ripercussioni sociali di grande portata.

Infatti è bene ricordare che gli alloggi gestiti dall’ATER non sono automaticamente soggetti a IMU: la legge, infatti, prevede specifiche ipotesi di esenzione. In particolare, l’art. 1, comma 741, lett. c), della legge n. 160/2019 (legge di bilancio 2020, che ha riordinato la disciplina dell’imposta) stabilisce che sono esenti dall’IMU gli immobili destinati ad edilizia residenziale pubblica regolarmente assegnati.

Ne consegue che, laddove l’ATER dimostri che gli immobili oggetto della pretesa rientrano nell’edilizia residenziale pubblica e siano regolarmente abitati dagli assegnatari come abitazione principale, l’imposta non è dovuta. Viceversa, restano imponibili gli alloggi non assegnati, quelli locati a canone di mercato, gli immobili sfitti o utilizzati per usi diversi. Proprio qui si apre il terreno di conflitto: il Comune rivendica l’IMU ritenendo che una parte del patrimonio non sia coperta dall’esenzione, mentre l’ATER potrebbe eccepire che le condizioni per l’imponibilità non ricorrono, chiedendo quindi l’annullamento della pretesa.

Un ulteriore elemento di incertezza è rappresentato dal fatto che la determinazione comunale non indica con precisione su quali immobili si fondi la pretesa tributaria. Non vengono elencati i fabbricati, le particelle catastali, le rendite imponibili né se si tratti di alloggi assegnati, sfitti o destinati ad altri usi. Sicuramente sarà negli atti principali, ma io penso che gli inquilini dovrebbero essere al corrente se il loro alloggio è nell’elenco comunale dei non aventi diritti.

Facendo un’ipotesi di calcolo, con un’aliquota ordinaria comunale dell’9,6 per mille, una pretesa di circa 20.000 euro corrisponde a una base imponibile di circa 2,1 milioni di euro. Se si considera, a titolo esemplificativo, un alloggio popolare medio di 80/100 m² con rendita catastale rivalutata e moltiplicata ai fini IMU attorno ai 50.000/55.000 euro, la somma richiesta equivarrebbe a circa 35-45 alloggi. È una stima, ma rende l’idea della dimensione del contenzioso: non si tratta di pochi appartamenti isolati, bensì una rilevante porzione del patrimonio abitativo ATER.

Il contenzioso, in realtà, non si limiterebbe alla somma di € 19.788,64 per l’anno 2019, ma riguarderebbe importi equivalenti anche per gli anni 2020, 2021, 2022, 2023 e 2024. Se così fosse, il totale salirebbe a circa € 118.731,84.

Il comune non ha indicato quali sono gli alloggi coinvolti, ma il rischio è che l’ATER possa reagire avviando una verifica sostanziale su tutte le assegnazioni, con le conseguenze che ciò comporterebbe per gli inquilini e per la stabilità dell’intero patrimonio ERP. Si tratterebbe di un conflitto non solo tributario ma anche sociale e istituzionale, una vera e propria guerra che rischia di produrre effetti che oggi è difficile persino immaginare.

Ma qui che si legge il paradosso politico: qualche anno fa, il sindaco aveva presentato alla cittadinanza il grande progetto dell’ATER come la soluzione definitiva per cancellare la “baraccopoli” e restituire dignità a un quartiere degradato. Quella promessa si è rovesciata: il Comune, invece di accompagnare la trasformazione, si trova oggi a rivendicare tributi arretrati, mentre l’ATER, anziché essere partner di sviluppo, rischia di diventare controparte in giudizio. A complicare il quadro, resta l’amarezza per le scelte urbanistiche già compiute: le baracche più caratteristiche dell’Abbatello, con i loro antichi canali di scolo ben progettati dai nostri avi, sono state demolite da tempo, proprio quelle che avrebbero meritato di essere conservate come testimonianza storica.

Il risultato è chiaro: tra Comune e ATER non scorre più buon sangue. Dove si annunciava collaborazione e sinergia, ora si apre uno scontro istituzionale che rischia di scaricarsi sulla popolazione più fragile. La “baraccopoli” che si voleva eliminare continua a proiettare la sua ombra, non più come problema edilizio, ma come simbolo di un conflitto tra enti incapaci di fare squadra, dove ognuno fa quello che vuole: ristrutturazioni senza autorizzazioni, interventi che hanno arrecato danni ad altri alloggi, situazioni che il Comune ha spesso preferito tenere nascoste arrivando addirittura a risarcire con denaro pubblico i danni causati da terzi.

Articolo scritto e pubblicato da Giuseppe Pea in data 26.09.2025

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