In house fuori legge: l’ennesimo affidamento a SEGEN che calpesta le regole (e i numeri lo smascherano)

Di 18 Agosto, 2025 0 0
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Castellafiume, Canistro, Sante Marie, ora è il turno di Civita d’Antino e lo schema si ripete: affidamento diretto “in house” a SEGEN, motivazione che scivola sulle parole giuste ma senza la sostanza richiesta dalla legge, comparazioni di comodo e conti raccontati a metà.

Il risultato?

Un atto che, alla prova di norme e giurisprudenza, appare illegittimo: mancherebbe la motivazione rafforzata sul perché non si ricorre al mercato, mancano indicatori e confronto serio con alternative reali, e i numeri messi in campo sono parziali o fuorvianti.

Non è un caso isolato: da mesi denuncio su questo blog affidamenti analoghi nell’area, sempre alla stessa società, sempre senza un’istruttoria comparativa degna di questo nome.

Partiamo dalla cornice. Dal d.lgs. 201/2022 l’in house è praticabile solo se l’amministrazione dimostra in modo qualificato i benefici per la collettività e le ragioni del mancato ricorso al mercato, pubblicando atti e indicatori; è un onere rafforzato richiamato anche da ANAC. Non è facoltativo, è legge. E i giudici amministrativi lo ripetono da anni: Consiglio di Stato V, 681/2020 — l’in house è illegittimo quando non c’è convenienza economica rispetto al mercato; è eccezione, non regola. Consiglio di Stato IV, 7023/2021 — non bastano formule di stile: serve un onere motivazionale concreto e la verifica della fallibilità del mercato; la scelta è discrezionale, ma vincolata da ragioni specifiche e verificabili. Consiglio di Stato V, 843/2024 — ribaditi i presupposti stringenti: convenienza/congruità dimostrata e motivazione non generica. Anche la prassi applicativa per gli appalti conferma: in caso di in house “è necessario valutare la convenienza dell’affidamento rispetto all’alternativa del mercato”. Punto.

Interessante l’ennesima conferma che le regole per alcuni non valgono mai. I documenti sono prodotti dalla Segen e fatti propri dal responsabile compiacente. Infatti la Relazione ex art. 14 comma 3 del D.Lgs 23.12.2022 n.201, dopo aver riportato gli “strabilianti” successi della Segen, riporta quella che dovrebbe essere la motivazione alla base della scelta di “regalare” alla Segen un servizio, privandolo al mercato.

Nella stessa scrivono Per quanto attiene ai costi, dalle tabelle ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) rapporto 2023 risulta che il costo medio nazionale annuo pro capite dei servizi di igiene urbana è pari  a € 192,02, (al NORD è a € 173,28, al CENTRO è pari a € 233,57 e al SUD è a € 211,43) mentre il costo medio annuo pro capite dei servizi di igiene urbana della Regione Abruzzo è pari a € 177,96.”

Secondo i dati forniti dall’AGIR nel corso dell’incontro avuto con i Gestori dei servizi pubblici dei rifiuti lo scorso 7 febbraio 2024  sui dati PEF 2023, il costo medio della gestione dei rifiuti  dell’ABRUZZO è pari a 189,1 euro/anno/abitante, però con differenze notevoli tra le varie zone della Regione).

Per quanto attiene ai costi di SEGEN S.p.A., il costo medio della gestione dei rifiuti è nell’anno 2024  intorno ai 160,00 € euro/abitante (dati SEGEN SpA), mentre nel 2023 secondo i dati AGIR (in base ai dati PEF 2023) erano pari ad € 183,00, calcolando sia il costo del servizio che le attività, quali a titolo non esaustivo, le attività di bonifica del territorio, di supporto a manifestazioni e giornate ecologiche effettuate dai Comuni, l’educazione ambientale nelle scuole e nei vari Comuni, la fornitura di attrezzature sia nei CDR che agli Utenti ecc.).

..

Il Comune di Civita d’Antino, a fronte dei servizi proposti, presenta costo pro-capite intorno a € 150,00,  coerente ed inferiore ai dati di comuni simili per numero di residenti e morfologia territoriale (si veda ultimo campione fotografato da ISPRA relative al costo pro/capite anno 2023): Cagnano Amiterno  costo pro-capite euro 177,00, Campo di Giove euro 219,00, Lucoli euro 315,00, Massa D’Albe  euro 219,00, Oricola  euro 300,00, Rocca di Botte euro 220,00.

I dati del costo pro/capite del comune di Civita d’Antino non sono presenti nel campione esaminato da ISPRA.

Prima “furbata”

Nella stessa infatti si dichiara che i dati “non sono presenti nel campione esaminato da ISPRA“. Peccato che si guarda il dito ma non la luna. L’assenza dipende esclusivamente dalla Segen e dal Comune. Non è un fatto casuale, ma è fortemente voluto perché sarebbe la dimostrazione che il costo del servizio è nettamente oltre la media regionale. Anche se mi rendo conto, sinceramente, che nessuno li può fermare anche se indicassero costi doppi.

Seconda “furbata”

Per dimostrare la convenienza del costo, la Segen ha cercato quei pochi comuni che hanno un costo pro/capite maggiore, paragonandolo con comuni del calibro di Rocca di Botte o Lucoli, comune che hanno nei costi del servizio l’adeguamento del centro di raccolta dal costo di quasi 600 mila euro, oppure il Comune di Oricola che ha 1.227 abitanti invece di 947, ma ha la bellezza di 229 utenze non domestiche contro le sole 37 di Civita D’Antino, attività che generano una quantità abnorme di rifiuti (852,3 tonnellate di rifiuti contro le 444,5 di Civita D’Antino), o Campo di Giove, ovvero il centro abitato più in quota dell’intero parco Nazionale della Majella, comune turistico di montagna, con moltissime utenze non domestiche a vocazione turistica e una distanza dei centri di raccolta che svolge anche servizio di spazzamento, oppure Massa d’Albe, un comune con vocazione turistica forte, con tante utenze non domestiche per la dimensione del paese e notevole distanza dai centri di raccolta.

Quindi perchè non paragonarlo con Prezza (847 abitanti, 118,20 €/ab), Corfinio (948 abitanti, 137,54 €/ab), Poggio Picenze (1.116 abitanti, 155,97 €/ab), Bugnara (1.117 abitanti, 146,56 €/ab), Pacentro (1.064 abitanti, 163,32 €/ab), Collelongo (1.064 abitanti, 164,58 €/ab), Ocre (1.082 abitanti, 94,80 €/ab), Cagnano Amiterno (1.085 abitanti, 177,87 €/ab)?

Perché sarebbe stato difficile poi giustificare l’affidamento. Almeno una parvenza di legalità andava data così ché coloro  che non capivano, potavano accettarla senza discussioni, mentre coloro che l’avrebbero capita, avrebbero comunque assecondato la Segen, ormai ente sopralegge.

Terza “furbata”

Non è corretto paragonare un comune piccolo, con la media regionale e/o nazionale. Infatti storicamente si dimostra che al crescere del numero di abitanti aumenta il costo pro/capite. Per la Regione Abruzzo il costo passa da 158,00 €/ab per i comuni con meno di 5.000 abitanti a 192.169 €/ab per i Comuni con più di 50.000 abitanti. A livello nazionale la situazione è simile.

Chiaro che essendo Civita d’Antino un comune di gran lunga inferiore ai 5.000 abitanti, il parametro di riferimento dovrebbe essere 158,00 €/ab.

Nella relazione la Segen dichiara che nell’anno 2024 un costo “intorno ai 160,00 € euro/abitante” e in particolare per Civita D’Antino un costo “intorno a € 150,00”.

Questo dato però si scontra la realtà dei fatti.

Il costo dichiarato dalla Segen è infatti pari a 154.935,00 oltre iva che corrisponde ad una media pro/capite di 163,60 €/ab, valore comunque superiore alla media Regionale.

Ma quello indicato è convenientemente solo il costo del gestore. A questo andrebbero aggiunti anche i costi del Comune perché i valori ISPRA riportano i valori dei PEF. Orbene il Comune di Civita D’Antino dichiara un costo 28.844,00 € oltre iva, che sommate ai 154.935,00 danno un totale di 183.779,00 € oltre iva, ovvero un costo pro/capite di 194,07 €, valore nettamente superiore sia alla media regionale di 158,00 €/ab, già citata, sia alla media nazionale (163,40), dimostrazione lapadaria che qualcuno ha voluto “giocare” con i numeri e chi doveva certificarli si è dimostrato complice o quanto meno incompetente.

Tuttavia il confronto non sarebbe equo se non si valutasse il servizio offerto dalla Segen per un importo così elevato. Infatti è bene evidenziare che i costi ISPRA contengono al loro interno anche una percentuale di costi relativi al servizio di spazzamento.

Infatti sempre dalla stessa relazione si evince che i costi di spazzamento incidono per 12,4 % (24,5 € su un totale di 197,00).

Orbene un confronto più equo quindi andrebbe fatto anche considerando che per Civita D’Antino non è previsto alcun servizio di spazzamento, di talché il riferimetno corretto con la media regionale non sarebbero i 158,00 € ma 138,35 €/ab (158,00 – 12,44%) , valore pari a circa il 30% in meno dei costi reali sopportati dai cittadini vessati di Civita D’Antino.

Ciò a parità di condizioni il costo del servizio doveva essere non di 154.935,00 €, ma di 110.667,85 €. Tale differenza rappresenta il guadagno della Segen e se vogliamo vederla al contrario, i costi che i cittadini di Civita sono chiamati a pagare per tenersi la Segen.

Questi numeri dimostrano la manipolazione dei dati da parte della Segen, autrice della relazione ex art. 14, che ha indicato solo i propri costi, mentre i dati ISPRA contengono i costi complessimi (Segen+Comune), ma sopratutto ha “limato” convenientemente questo valore.

Quarta “furbata”

L’omissione del confronto con i costi standard. Quando si parla di TARI/PEF non basta dire “spendiamo X €/abitante”. Serve guardare quanto costa davvero ogni chilo di rifiuti gestito e confrontarlo con un benchmark standard per comuni omogenei (altimetria, dispersione abitativa, densità, turismo, ecc.). È quello che, in sintesi, chiamiamo costo standard: un riferimento tecnico – derivato da fabbisogni/costi medi di settore per cluster omogenei – usato per misurare l’efficienza (e per capire se la tariffa è in linea con il mercato/settore).

Per il servizio “de quo” il costo effettivamente applicato dalla Segen è pari a 50,02 c€/kg CUEFF (0,5002 €/kg) mentre il benchmark di riferiemnto è pari a 36,31 c€/kg (0,3631 €/kg). La differenza è +13,71 c€/kg (0,1371 €/kg). Parliamo di un incremento dei costi di circa il 40% (37,76%)

Tradotta in soldoni:

  • Extra-costo annuo = 0,1371 €/kg × 444.540 kg (le 444,54 t di Civita d’Antino) ≈ € 60.946 in più ogni anno rispetto allo standard di settore equivalente.
  • Effetto pro capite: 444.540 kg / 947 ab ≈ 469,4 kg/ab; 0,1371 €/kg × 469,4 ≈ € 64,36 a persona/anno di sovracosto “puro” rispetto al benchmark.

Ma meglio ignorare i costi standard. Nei rifiuti la metrica corretta è il CUEFF (€/kg) confrontato col benchmark del cluster omogeneo. Qui: CUEFF 50,02 c€/kg vs benchmark 36,31 c€/kg+13,71 c€/kg. Su 444,54 t fa ~€60.946/anno di extra-costo; anche usando il totale PEF (€183.779) il CUEFF implicito è 41,35 c€/kg, scarto ~5,04 c€/kg = ~€22.367/anno. Per abitante: €194,07/ab contro riferimento omogeneo ~€138,35/ab (senza spazzamento) ⇒ ~€55,7/ab, cioè ~€52.767/anno.

Perché il confronto con lo standard è obbligatorio “di fatto”?

Perché è l’unico modo neutro e ripetibile per dimostrare che non stai pagando più del dovuto rispetto a comuni con le stesse realtà. Nel lessico della giurisprudenza: congruità, motivazione non generica, fallibilità del mercato da dimostrare prima dell’affidamento diretto (Cons. Stato 681/2020, 7023/2021, 843/2024).

Conclusioni a un’ultima amara verità

Il punto giuridico, allora, è limpido. In mancanza di una analisi comparativa che mostri perché il mercato non garantisca condizioni almeno equivalenti, e in assenza di un PEF asseverato con indicatori e livelli minimi agganciati al contratto (con penali), la scelta in house resta una scorciatoia non consentita. Lo dicono numerosissime sentente, la 681/2020 (convenienza economica come baricentro), la 7023/2021 (motivazione non generica, fallimento del mercato da dimostrare), la 843/2024 (presupposti stringenti e oneri informativi): tre pietre miliari, in fila. E lo ribadisce la dottrina e la prassi applicativa: “in caso di in house è necessario valutare la convenienza dell’affidamento rispetto al mercato. Non c’è spazio per autocelebrazioni.

Chiudo con i numeri che contano, perché le carte — quando si leggono per intero — parlano chiaro. La Relazione comunale usa 160 €/ab (gestore) e ~150 €/ab per Civita d’Antino senza i costi comunali; omette i benchmark ISPRA corretti (<5.000 ab ~€ 158/ab); elenca i pochi comuni con costi maggiori come paragone senza entrare nel merito; e lascia indietro PEF, indicatori e contratto. È l’opposto della motivazione qualificata. Alla luce di leggi, sentenze e dati, questo affidamento “in house” appare illegittimo: non dimostra la convenienza, non prova la fallibilità del mercato, non assicura controlli sui risultati. Quel che serve non è un’altra narrazione, ma riaprire l’istruttoria, pubblicare numeri completi, e — se il mercato offre di meglio — andare a gara, come la legge impone.

PS. Ho finalmente ricevuto tutti i PEFA e posso finalmente quantificare gli utili stratosferici che produce la Segen S.p.A. per il servizio raccolta rifiuti per i suoi comuni.

Nel 2022 ha guadagnato la bellezza di 329.770,00 € netti (pari al 5,95% del fatturato) grazie ai seguenti comuni:

Nel 2023 ha migliorato la propria performance ed ha raggiunto un utile netto mostre 390.441,oo netti (pari al 6,93% del fatturato) grazie ai seguenti comuni:

Siamo sostanzialmente il comune dalle “uova d’oro” per la Segen, per il sottoscritto non è una novità.

Eppure molti ancora credono alle favole che la Segen è quella partecipata che non fa utili e lavora “al costo”.

Erano proprio gli stessi che, quando finalmente è stato chiesto loro – come la legge impone – di restituire una parte dei guadagni incassati senza un contratto regolare, hanno improvvisamente cambiato registro: via i sorrisi, e giù a piangere lacrime di coccodrillo, giurando di non guadagnare un centesimo. Peccato che i conti, ancora una volta, raccontino una favola molto diversa dalle loro.

Poveri fessi i cittadini, traditi dalle manie di grandezza di un sindaco più preoccupata di costruirsi un futuro politico, che di difendere i diritti della propria gente: usati come scalino per la carriera, anziché come comunità da tutelare.

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