Autovelox e querela di falso: la Cassazione complica i ricorsi

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La Corte di Cassazione continua a ribadire un principio fondamentale: gli autovelox devono essere debitamente omologati per garantire la validità delle multe elevate tramite questi dispositivi. Tuttavia, la recente sentenza n. 13997/2025 introduce un ulteriore ostacolo per gli automobilisti che intendono contestare le sanzioni: la necessità di una querela di falso quando il verbale attesta l’omologazione dell’apparecchio.

“Il verbale di accertamento che attesta l’esistenza dell’omologazione del dispositivo ‘autovelox’ ha fede privilegiata, controvertibile unicamente con il rimedio della querela di falso.”

Da anni, la giurisprudenza ha chiarito che l’omologazione degli autovelox è un requisito imprescindibile per la validità delle multe. Tuttavia, in Italia nessun autovelox è realmente omologato, ma solo approvato. Questo significa che le multe elevate con questi dispositivi dovrebbero essere annullate, come confermato da numerose sentenze precedenti.

La Cassazione, con la sentenza 13997/2025, ha però introdotto un nuovo elemento: se nel verbale è riportato che l’autovelox è omologato, il cittadino non può limitarsi a contestare la multa con un semplice ricorso, ma deve proporre una querela di falso. Questo procedimento, più lungo e costoso, rappresenta un ulteriore ostacolo per chi vuole far valere i propri diritti.

Attenzione: il problema sorge solo quando l’unico motivo di ricorso sia l’omologazione e sul verbale sia attestata espressamente la presenza dell’omologazione. Non sussiste tale ostacolo se il verbale riporta correttamente solo l’approvazione, oppure quando sussistono altri validi motivi di opposizione, che possono essere oggetto di normale ricorso davanti al giudice di pace.

La Cassazione ha stabilito che se il verbale attesta l’omologazione dell’autovelox, la sua validità può essere contestata solo attraverso una querela di falso. Questo significa che un semplice ricorso al Giudice di Pace non basta più.

  • Cos’è la querela di falso? È un’azione legale con cui si mette in discussione la validità formale di un documento ufficiale, sostenendo che contenga dichiarazioni false. Se accolta, il documento perde valore probatorio.
  • Quando serve? Solo quando l’unico motivo di contestazione della multa riguarda l’omologazione dell’autovelox e il verbale afferma esplicitamente che l’apparecchiatura è omologata.
  • Cosa significa in pratica? Un cittadino che riceve una multa deve prima affrontare un procedimento per querela di falso, con costi e tempi lunghi, e solo dopo può contestare la sanzione.

Se un pubblico ufficiale attesta falsamente che un autovelox è omologato quando non lo è, questo potrebbe configurarsi come falso ideologico. La differenza con la querela di falso è cruciale.

  • Cos’è il falso ideologico? È un reato penale disciplinato dall’articolo 479 del Codice Penale, che si verifica quando un pubblico ufficiale dichiara falsamente un fatto in un atto pubblico, pur senza alterarne materialmente la forma.
  • Perché è importante? Diversamente dalla querela di falso, il falso ideologico è perseguibile d’ufficio, quindi la Procura dovrebbe avviare un’indagine autonomamente, senza bisogno di denuncia.
  • Cosa succede nella realtà? La Procura non indaga sui verbali con effermazioni false, ignorando le dichiarazioni mendaci degli agenti, ma si concentra su altri aspetti, come verificare improbabili diffamazioni sui social.

La distinzione è importante perché la querela di falso serve a contestare un atto pubblico nel contesto di un procedimento amministrativo, mentre il falso ideologico è un reato che, in teoria, dovrebbe portare a conseguenze penali per il pubblico ufficiale responsabile.

Ma il vero nodo resta questo:
va bene che il cittadino debba ricorrere alla querela di falso per difendersi, ma dall’altra parte è la Procura che, per giustizia sociale e per obbligo giuridico, dovrebbe attivarsi autonomamente per perseguire i reati di falso ideologico quando emergano con chiarezza nei procedimenti, specie se reiterati e sistematici.

E invece accade esattamente il contrario.
È sotto gli occhi di tutti: mentre la Procura si interessa con solerzia ai miei post su Facebook, magari per verificare se contengono diffamazioni o offese ignorandone totalmente i contenuti anche se potenzialmente veritieri (se non totalmente veritieri), ignora completamente le dichiarazioni mendaci contenute nei verbali e nei provvedimenti delle prefetture, anche quando queste emergono in modo palese e documentato nei fascicoli giudiziari.

Facciamo qualche esempio:

  • un famoso e vendicativo viceprefetto attestava che l’auto utilizzata dai vigili era istituzionale “con i colori di isituto”, quando in realtà si trattava da anni di un’auto priva di qualsiasi insegna ufficiale.

  • lo stesso soggetto dichiarava che la strada era una extraurbana principale, quando si trattava in realtà di una extraurbana secondaria, pur di applicare una normativa più favorevole all’amministrazione.

  • o ancora, quando dichiarava che “prima della postazione è stata posizionata la segnaletica al margine della carreggiata”, presupponendo la presenza di una segnaletica aggiuntiva che non è mai esistita, come ammesso dagli stessi vigili (“perché cadevano”).

Queste non sono interpretazioni. Sono falsità documentate, pronunciate da pubblici ufficiali su atti pubblici.

Eppure, nessuno procede. Nessuna indagine. Nessuna apertura di fascicolo. Nessuna iscrizione nel registro degli indagati.

Il paradosso è evidente: quando il cittadino contesta queste falsità, viene spesso derubricato come “ricorrente seriale”. Ma quando la magistratura si trova di fronte a verbali evidentemente mendaci, volta lo sguardo altrove.

E allora, sì, possiamo anche comprendere il senso della Cassazione quando afferma che serve la querela di falso per contestare ciò che è attestato nei verbali.
Ma il punto è un altro: perché si arriva a doverla fare?
Perché non interviene direttamente chi ha l’obbligo di tutelare la legalità?

A questo si aggiunge l’ennesimo atto di rivalsa istituzionale, rappresentato dal ricorso del famoso vice Prefetto contro una sentenza del Giudice di Pace che – ancora una volta – mi ha dato ragione.
Un ricorso fuori termine, viziato nella forma e nella sostanza, ma comunque portato avanti, nonostante la mia richiesta di rinuncia in autotutela. Perché tanto, le spese non le pagano loro. Le paga lo Stato. Le paga il cittadino.

Non quella del cittadino, che subisce una sanzione per aver violato un articolo del codice della strada, attraverso un dispositivo che a sua volta non rispetta il codice della strada, tramite un verbale contenente falsità, per poi vedersi respingere il ricorso (non è il mio caso perché il verbale riportava l’approvazione e tanti altri motivi).

E allora la domanda finale è questa: fino a quando dovremo fingere che tutto ciò sia normale?

Articolo scritto e pubblicato da Giuseppe Pea in data 07.06.2025.

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