Sequestrati gli autovelox approvati ma non omologati: la Cassazione conferma le accuse di frode e falso

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La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 10365 del 14 marzo 2025, torna nuovamente a trattare degli autovelox confermando il sequestro preventivo degli apparecchi utilizzati da alcuni Comuni e una Provincia, evidenziando gravi irregolarità nella loro fornitura. Il provvedimento colpisce direttamente i produttori dei dispositivi, poiché nei contratti di noleggio gli autovelox venivano dichiarati “omologati”, mentre in realtà risultavano solo “approvati”. Questa differenza, sottolineata anche da precedenti pronunce giurisprudenziali, è fondamentale: l’approvazione e l’omologazione sono due procedure distinte, e solo la seconda garantisce la piena affidabilità dei dispositivi di rilevazione della velocità.

Il cuore della questione sta nella distinzione tra approvazione e omologazione degli autovelox, due concetti che spesso vengono confusi ma che hanno implicazioni legali molto diverse:

  • l’approvazione è un processo tecnico che verifica alcune caratteristiche del dispositivo, ma non ne certifica la piena affidabilità per l’uso sanzionatorio;
  • l’omologazione, invece, è una procedura più rigorosa che prevede test approfonditi per garantire precisione e funzionalità, e solo gli strumenti omologati possono essere utilizzati per elevare multe valide.

Secondo l’art. 142, comma 6, del Codice della Strada, solo le apparecchiature debitamente omologate possono essere considerate fonti di prova per l’accertamento dei limiti di velocità. Il regolamento di esecuzione (art. 192) distingue chiaramente tra l’approvazione, che è un passaggio propedeutico, e l’omologazione, che invece è indispensabile per l’utilizzo sanzionatorio.

Il sequestro degli autovelox è stato disposto sulla base dell’accusa di frode nelle forniture pubbliche (art. 356 c.p.) e falso per induzione (art. 48 c.p.), in quanto i dispositivi forniti ai Comuni erano diversi da quelli previsti nei contratti.

Nello specifico:

  • gli autovelox sono stati noleggiati con la dicitura “omologati” nei contratti, ma in realtà erano solo approvati, violando così le specifiche richieste dalla legge;
  • la Cassazione ha confermato che la frode sussiste ogni volta che la fornitura è diversa per natura o qualità rispetto a quanto pattuito;
  • l’imprenditore che ha fornito questi dispositivi a due Comuni e una Provincia ha visto respinto il proprio ricorso: per i giudici, non poteva ignorare che l’omologazione fosse un requisito imprescindibile.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che le incertezze giurisprudenziali sul tema non giustificano l’ignoranza della legge penale, ribadendo quanto già espresso dalla sentenza n. 10505/2024 della Cassazione civile.

Il caso apre scenari preoccupanti per le amministrazioni che hanno utilizzato questi strumenti:

  1. le multe elevate con questi autovelox potrebbero essere impugnate e annullate, con la possibilità per i cittadini di richiedere il rimborso di quanto già pagato;
  2. le Prefetture potrebbero aver convalidato sanzioni illegittime, dimostrando un atteggiamento tutt’altro che super partes nella gestione dei ricorsi (potrei fare un esempio calzante ma attenderò il 14 aprile prossimo);
  3. i Comuni e le Province coinvolte potrebbero essere chiamate a rispondere legalmente per aver utilizzato dispositivi non conformi, con possibili richieste di risarcimento da parte dei cittadini multati ingiustamente.

Questa sentenza evidenzia una volta di più come il sistema delle multe da autovelox sia spesso caratterizzato da pratiche poco trasparenti e irregolarità che penalizzano i cittadini. Se da un lato la sicurezza stradale è un obiettivo fondamentale, dall’altro è inaccettabile che venga perseguito con strumenti non conformi alla legge, sfruttando le ambiguità normative a vantaggio delle amministrazioni e delle aziende fornitrici.

Il caso dei sequestri conferma una realtà ben nota agli automobilisti italiani: troppo spesso, chi dovrebbe garantire il rispetto delle norme – come Prefetture e Comuni – finisce per essere il primo a violarle, difendendo pratiche discutibili invece di tutelare la legalità.

Infatti nonostante queste evidenze, molte Prefetture continuano a respingere i ricorsi in modo sistematico, adottando una posizione a favore degli autovelox utilizzati dai Comuni. Tuttavia, chi prosegue la contestazione in tribunale spesso ottiene ragione, come dimostrano le numerose pronunce che hanno dichiarato illegittime le sanzioni elevate con dispositivi privi di omologazione.

Questa situazione conferma ancora una volta il paradosso della giustizia amministrativa: da un lato lo Stato incassa le multe, dall’altro i giudici confermano che sono illegittime. Il cittadino, per vedere riconosciuti i propri diritti, è costretto a intraprendere un percorso lungo e costoso, mentre le istituzioni continuano a ignorare le sentenze della Cassazione.

La sentenza della Cassazione potrebbe essere un punto di svolta, ma solo se le istituzioni accetteranno di fare chiarezza sulle proprie responsabilità e di adottare misure concrete per evitare il ripetersi di situazioni simili in futuro. Fino ad allora, il rischio è che la legge resti un optional per chi la deve far rispettare, mentre i cittadini continuano a subire le conseguenze di un sistema spesso più orientato alla raccolta di denaro che alla reale sicurezza stradale.

Articolo scritto e pubblicato da Giuseppe Pea il 15.03.2025

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