Tra opportunità e opacità: il progetto fotovoltaico di Balsorano (ultima parte)

Di 9 Aprile, 2025 0 0
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  Continua dalla prima parte …

Cosa aveva fatto tramutare un debito vantato di 112.859,00 euro oltre interessi, in un indennizzo di 60 mila euro?

Diciamo che in parte ha contribuito uno studio legale di Roma, il quale aveva ricevuto sul finire del 2019, dopo un lungo pressing, l’incarico di valutare il caso “Balsorano Energia”, purtroppo quando io ero ormai “lontano” dall’amministrazione, poco prima dell’aperta ostilità nei loro confronti. Nessuno era più informato del sottoscritto, e l’accordo non farà che seguire questa “ignoranza” di fondo, con l’unico ad opporsi, il tecnico comunale, anche se non aveva comunque il quadro completo della situazione.

Il primo problema era l’introito del Comune di Balsorano. Infatti negli anni, nonostante quando contrattualizzato, il comune aveva incassato 86 mila euro iva inclusa a fronte di un importo di gara più altro.

Infatti la gara si concludeva con un impianto da realizzare sulla sola particella 224 pari a 2,2 MW, poi ridotti a seguito della sostituzione dei pannelli con modelli meno efficienti, a 2 MW. Il tutto comportava un importo da versare al Comune non di 86.000 euro iva inclusa ma di 94.820 euro oltre iva (2,2 x 43.100).

Se si sommano le entrate in bilancio dal 2013 al 2019, si arriva ad una cifra complessiva di 695.462,60 euro. Tuttavia il concessionario doveva versare al Comune la somma di 94.820 euro oltre iva che per il periodo dal 2013 al 2019 corrisponde a 809.762,80 euro.

Quindi il Comune non era debitore di 112.859,00 oltre interessi, ma era creditore di 114.300,20 (809.762,80-695.462,60) oltre interessi.

Ma questo non giustifica l’indennizzo ulteriore. Perché riconoscere 60 mila euro al Comune di Balsorano se per anni lo hai minacciato di ricorrere in tribunale per i crediti vantati?

Il parere infatti, rimettendosi alle conclusioni del tecnico, che aveva fatto sue quelle del sottoscritto, aveva ignorato uno degli aspetti cruciali del contratto, le penali.

Basta valutare le tempistiche imposte nel capitolato d’appalto “30 giorni dopo l’aggiudicazione dell’appalto doveva essere redatto il progetto definitivo/esecutivo. 30 giorni dopo il progetto definitivo/esecutivo doveva essere redatto il contratto. L’ultimazione dei lavori era prevista entro 18 mesi dalla stipula del contratto.

Tutto parte quindi dall’aggiudicazione dell’appalto avvenuta in data 11.05.2010. Il progetto definitivo/esecutivo doveva essere approvato entro i successivi 30 giorni (10.06.2010). Entro i successivi 30 giorni doveva essere redatto il contratto (10.07.2010). Entro i successivi 18 mesi dovevano essere ultimati i lavori (10.01.2012). Ora pur concedendo i 10 giorni previsti dal contratto per applicare le penali, considerando che l’ultimazione dei lavori è stata registrata in data 22.11.2012, il Comune avrebbe dovuto contestare 44 settimane di ritardo, pari ad una penale di 220.000 euro.

Non si capisce il motivo per cui questa penale sia mai stata mai richiesta.

Ora anche se vorremmo ignorare completamente il capitolato d’appalto, anche partendo dalla data dell’inizio dei lavori, il 29.05.2012, le 19 settimane per completare i lavori (escluso il collaudo) e togliendo i 10 giorni lavorativi di franchigia, portano ad una data massima per l’ultimazione dei lavori al 23.10.2012. Considerando che il lavori saranno completati il 22 novembre, le penali da applicare sarebbero dovute essere di almeno 20.000 euro di penali.

Tuttavia il crono-programma si concludeva con l’ultima settimana, la 20a con il collaudo.

Nel capitolato, all’art. 19 era previsto “Il collaudo ha il fine di constatare che gli impianti siano in grado di svolgere le funzioni richieste e che presentino le caratteristiche tecniche dichiarate dal Concessionario sulla base della documentazione tecnica fornita … I risultati del collaudo devono essere rilevabili da specifico verbale redatto da tecnico abilitato nominato dal Comune. Le competenze tecniche del suddetto professionista sono a carico del Concessionario.”

Tuttavia il contratto modifica questo articolo e si riporta “Il concessionario comunicherà al Concedente per iscritto l’avvenuta ultimazione dell’impianto entro 20 (venti) giorni dalla data di ultimazione di ciascuno di essiA seguito del ricevimento di detta comunicazione, il Concedente – d’intesa con il tecnico abilitato dallo stesso designato per l’effettuazione del collaudo – concorderà con il concessionario la data in cui verrà eseguito il collaudo dell’Impianto che dovrà in ogni caso essere effettuato nel termine di 15 (quindici) giorni dalla data di ricevimento della comunicazione di avvenuta ultimazione dell’Impianto, salve cause di forza maggiori o eventi fortuiti”.

Ora non si capirà il motivo per il quale le prime prove di collaudo inizieranno solo “nei primi giorni di marzo 2016, e verrà completato solo nell’aprile del 2017 quando verrà “assolto l’incarico conferito”, ovvero collaudato l’impianto, tra l’altro chiuso con due criticità non risolte, il che avrebbe comportato una ulteriore penale almeno relativa alla durata del collaudo stesso, visto che per crono-programma doveva durare 1 settimana e invece è durato più di un anno.

Orbene 1 anno di ritardo avrebbero generato penali per oltre 250 mila euro alle quali aggiungere i 20 mila dei lavori. Penali che il Comune si è ben guardato dal chiedere, senza considerare il consistente ritardo nella progettazione, passata da 30 giorni a 631 giorni, della realizzazione, passata da 19 settimane a 23 settimane, del tempo per la nomina del collaudatore, da 15 giorni a oltre 1900 giorni, dal collaudo di 1 settimana diventate poi 52.

Non si capisce il motivo per cui neanche questa penale sia mai stata mai richiesta.

Ma la cosa curiosa di tutta questa vicenda, è che questa delibera di Consiglio Comunale, la 51 del 2019, sarà l’unica ad avere un parere negativo del tecnico comunale secondo cui “la Società Concessionaria deve versare al Comune la ulteriore somma relativa all’occupazione con l’impianto fotovoltaico della ulteriore particella catastale n. 357 del Fg. 8, inizialmente non inclusa nel contratto rep. 933/2010, così come previsto dalla gara di appalto a seguito della quale è stato stipulato il citato contratto Rep. 933/2010”.

E non a torto, direi.

Infatti il contratto 933/2010 non citava da nessuna parte la particella 357 ma riportava unicamente le particelle 224, 225, 420, 421 e 422 del foglio 8 e non era un elemento da sottovalutare.

Tale parere però venne annullato dal “grandissimo” segretario comunale Dott. Falcone Cesidio, che tutti hanno avuto modo di conoscere in questi 5 anni, il quale scriveva “il parere espresso dal tecnico … si ritiene ormai superato non solo dagli eventi, ma soprattutto dalle diverse necessità delle parti, ovvero nell’accordo contenuto nella proposta transattiva allegata alla presente, il quale si ritiene senz’altro conveniente per l’amministrazione e quindi meritevole dell’approvazione”.

E qui arriviamo al vero danno erariale visto che il capitolato d’appalto prevedeva, nel caso di richiesta anche della particella 357, una realizzazione di un impianto da 3,2 MWp per un importo pari a 43.100 x 3,2.

Ora considerando che la stessa Ansaldo dichiarava la propria disponibilità “Si consideri inoltre che Ansaldo Trasmissione e Distribuzione S.p.A. ritiene di interesse l’eventuale espansione del sopraddetto campo fotovoltaico, con ulteriore 1 MWp circa, sulla particella Fg. 8 mappale 357, S=18.470 mq, se tale area venisse in futuro resa disponibile a tale scopo”, e che tale area era stata resa disponibile e che pertanto l’impresa si era impegnata a realizzare un impianto di 3,2MWp (senza garantire ovviamente la resa in quanto l’Amministrazione ha ceduto l’area dietro un compenso agganciato alla potenza istallata, ovvero al numeri di pannelli, non la potenza generata, che doveva comunque essere almeno di 3GWh/anno), l’introito per il Comune doveva essere, fatte salve le penali, pari a 137.920 euro (oltre iva) a fronte dei 94.820 euro (oltre iva) per l’impianto da 2,2 MWp, o se vogliamo fare tutto con le cifre messe a gara nel 2011 dal Comune di Celano, a 474.851,20 euro (oltre iva). Poca roba rispetto ai milioni di euro che l’impianto genera, la maggior parte grazie alla presenza del Comune di Balsorano, presenza che ha portato ad ottenere gli incentivi del 2° conto energia, invece del 5°, per di più riservati agli impianti totalmente integrati.

Si capisce del perché il tecnico avesse dato parere contrario, tra l’altro con un contratto che in nessuna parte citava la particella 357 e che se quindi ceduta era la dimostrazione del fatto che l’impianto doveva essere di 3,2 MWp offerto dall’azienda per aggiudicarsi l’affidamento.

Parliamo di un danno erariale pari ad almeno 862.000 euro (oltre iva), che l’accordo transattivo degli amministratori e del segretario comunale non hanno nascosto o comunque non considerato, senza dimenticare che il debito che l’azienda vantava era in realtà un credito a favore del Comune.

L’ultimo elemento da considerare è che quell’impianto sarebbe anche soggetto ad IMU. Infatti gli impianti fotovoltaici non integrati, con autonomia funzionale rispetto all’edificio, devono essere accatastati e sono soggetti all’IMU. Lo ha confermato la Corte di giustizia tributaria di Sondrio (Sent. 22/2025) e già chiarito dalla Cassazione (13790/2019) e dalla Corte costituzionale (67/2006). La stima diretta si applica solo agli impianti già accatastati e per quell’impianto è pari a 6.314,40 euro che corrispondono ad un imposta IMU pari a 3.706 euro l’anno, ovvero 29.648 euro al 2020 (oggi 4.137 euro/anno).

Ora, che non sussisteva alcun credito vantato dal Balsorano Energia era chiaro, non era chiaro se le penali dovevano essere di 220 mila euro o di 270 mila euro, che la società doveva al Comune quasi 30 mila euro di IMU, ma era chiaro che il mancato introito da parte del Comune ammontava a 1,05 milioni di euro per la mancata realizzazione dell’impianto aggiuntivo.

Ora direte, saranno troppi?

Forse ignorate quando denaro genera quell’impianto. E credetemi le cifre non le sto buttando a caso.

Al momento del completamento della connessione all’ENEL (2013), era in vigore il V° conto energia. In base alla potenza installata gli incentivi sarebbero ammontati a 301.152,52 euro/anno.

Tuttavia in quel periodo ci fu una “manina” che riuscì a retrodatare la richiesta di incentivi al 2° conto energia, ma tale facoltà era riservata solo per gli impianti intestati ai comuni che avevano presentato la domanda durante il 2° conto energia, portando gli incentivi pari a circa un milione di euro annuale.

Ora in un tratto si sarebbe aperto un mondo davanti.

Il comune avrebbe potuto tranquillamente rescindere il contratto, in qualsiasi momento (come contestato nel parere legale), vista la continua violazione delle disposizioni ivi contenute e realizzare per proprio conto essendo questo tipo di realizzazione una spesa di investimento, quindi sarebbe stato possibile attingere ad un mutuo che coprisse l’intera realizzazione dell’opera che era costata tra i 3,5 ai 4 milioni di euro, oppure rimettere tutto in gioco alzando il compenso per MWp, almeno pareggiandolo con quello di Celano, ovvero pretendere un introito non di 43.000 euro ma di 148.000 euro.

Orbene il comune rimane inerme e l’azienda incasserà incentivi pari a 1.035.778,02 euro per i successivi anni che genereranno introiti di vendita di 1,3 milioni di euro ogni anno, andando a creare un ritorno dell’investimento mostruoso e pari a circa 22 milioni di euro (considerando un costo di realizzazione tra i 3,5 e i 4 milioni di euro).

E per fortuna che la transizione “rappresenta un grande successo di questa amministrazione”, come affermava l’assessore.

Quale sia stato l’interesse pubblico dietro queste scelleratezze è tutto da motivare, quale sia stato quello privato, è ampiamente dimostrato.

E per fortuna

Articolo scritto e pubblicato da Giuseppe Pea in data 09.04.2025

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