Tre cose non possono essere nascoste a lungo: il sole, la luna e la verità.

Di 25 Novembre, 2023 0 0
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Ho fatto diversi accessi agli atti verso i Comuni soci della Segen.

Su 10 comuni coinvolti, 3 hanno inoltrato risposte fotocopia, evidentemente mal comune mezzo gaudio, negando l’accesso perché “non risultano adeguatamente motivate e specificate le esigenze difensive asserite“, nonostante avessi richiesto documenti non riservati e/o tutelati, ma soggetti a pubblicazione sia per fini difensivi (241/1990), sia come accesso civico (33/2013). Ma attenzione, non è che hanno eventualmente inviato quelli che potevano essere inviati, si sono limitati a negarli tutti.

Dagli altri 7, che si sono limitati a registrare le richieste al protocollo, nessun riscontro, nonostante la Legge fissi in 30 giorni il tempo massimo per rispondere. Vediamo se con una diffida questo silenzio è un diniego completo o è stata una semplice dimenticanza. Resta inteso che il sottoscritto aspetta dal 29 maggio (6 mesi fa), un riscontro che ha portato l’ufficio tecnico del Comune di Balsorano a chiederne l’autorizzazione direttamente alla Procura della Repubblica lo scorso 28 settembre (2 mesi fa).

Questo dimostra che probabilmente c’è chi vuole rispondere o vuole prendere tempo (l’ufficio tecnico) e chi probabilmente no (il segretario comunale) e a redimere la questione è stata chiamata in causa addirittura la Procura della Repubblica con i suoi tempi biblici.

Quando si dice “trasparenza amministrativa“.

Ovviamente le richieste inviate alla Segen seguono lo stesso percorso, ma a rispondere è la stessa persona che ha presentato querela in pieno conflitto di interessi, e come poteva rispondere?

Ovviamente negando l’accesso a meno che il sottoscritto non fornica il nesso logico, e quindi la mia strategia difensiva, con il procedimento penale nonostante abbia ignorato che l’accesso civico non prevede alcuna motivazione. Una risposta pretestuosa e illecita che riprende quella degli altri comuni evidentemente ben d’accordo nello spalleggiarsi a vicenda visto che tutti convenientemente hanno ignorato che la richiesta è sorretta anche da accesso civico (art. 5 D.Lgs. 33/2013) che si applica sulla maggior parte dei documenti richiesti e solo ad alcuni si può applicare il 241/90.

Evidentemente, chi ha qualcosa da nascondere, ha qualcosa da temere come è altrettanto evidente che forse ho colpito nel segno, e non è niente ancora.

Ma qui non ci troviamo di fronte a un cittadino contro una società, ma un cittadino contro una società e 10 comuni, non di Davide contro Golia come inizialmente pensavo, ma Davide contro 11 Golia in una situazione dove la disuguaglianza è lapalissiana e vede chi chiede il rispetto della Legge contrapposto a chi evidentemente abusa della sua posizione di forza.

L’abuso viene dal fatto che quasi tutto quello che ho chiesto sono documenti che nella maggior parte dei casi dovevano essere pubblicati, ma che fa comodo tenere nel cassetto e a controprova nell’esposizione della richiesta ho citato l’art. 5 del D.Lgs 33/2013, il c.d. accesso civico, che non necessità di motivazioni, mentre per le restanti parti (fatturazione e interessi) si ripiegava sull’accesso agli atti L. 241/1990. Sarebbe stato assurdo fare due richieste allo stesso soggetto.

Ma curiosamente tutti voglio sapere il motivo della richiesta, come se temessero qualcosa, anche quando questo non è dovuto, nonostante sanno a cosa punto tanto da aver programmato un incontro per discutere di come affrontare il problema uniti, condividendo inizialmente le risposte praticamente fotocopia.

Comunque i motivi li quantifica bene la Segen: 10 mila euro, il risarcimento danni per essere stata, a quanto pare, diffamata nell’uso di alcuni termini, mentre il Comune, a ruota, li quantifica in ulteriori 5 mila euro richiesti per lo stesso motivo. Ovviamente verso quei cittadini ai quali si dovrebbero tutelarne gli interessi, silenzio di tomba.

La cosa curiosa è che tra i termini che la Segen ha valutato come “offensivi” della propria dignità, c’è l’uso della parola “illegittimo” quando il sottoscritto ha fatto riferimento all’affidamento che è perdurato dal 2008 al 2018.

Le date non sono casuali, il 2008 è il primo anno valido visto che i precedenti sono prescritti e il 2018 è l’anno che ha visto la stipula del primo contratto in assoluto da il Comune di Balsorano e la Segen.

Costante giurisprudenza di Cassazione, cosi come la Corte dei Conti, hanno stabilito che in assenza di valido titolo negoziale, il contratto per intenderci, scatta il c.d. “arricchimento senza causa”, di cui all’art. 2041 c.c.,  che prevede un indennizzo a favore dell’amministrazione comunale, in questo caso a favore dei cittadini che coprono il 100% della tariffa rifiuti, pari all’utile d’impresa che, anche nella versione più favorevole alla Segen, è pari al 5% del fatturato degli ultimi 10 anni.

La Cassazione Civile ha sancito che in tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della P.A., nell’ipotesi di nullità del contratto di appalto di un’opera pubblica, l’indennità prevista dell’art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’appaltatore, corrispondente, in concreto, ai costi effettivamente affrontati per la sua costruzione, non potendovi rientrare l’utile d’impresa né ogni altra posta volta a garantire quanto l’appaltatore stesso si riprometteva di ricavare dall’esecuzione di un valido contratto di appalto (Cfr Cass. 11446/2017), per la quantificazione del quale può farsi riferimento alla giurisprudenza amministrativa e della Corte dei Conti, consolidatasi in tema di danno alla concorrenza. La percentuale equitativamente utilizzabile è quella del 10% o del 5% a seconda che si tratti di appalti di lavori o fornitura di servizi (Cfr C. Conti Abruzzo 23/2011), percentuale che prende spunto dalla disposizione dell’art. 134 del d.l.vo 163/2006.

Il 5% del fatturato degli ultimi 10 anni è pari a oltre 170 mila euro, che anche nella versione ridotta come da richiesta della Segen (che chiedeva l’esclusione di quel fatturato che deriva da spese dirette come i costi di smaltimento dell’indifferenziato etc) ammonta a 147.262,82 euro.

Tuttavia la mancanza di un valido contratto comporta anche la mancata maturazione degli interessi moratori (Cfr Cass. 5263/2017) che la Segen ha calcolato in sede di accordo, ovvero 45.855,77 euro.

Se la matematica non è un’opinione, il rimborso, comunque ridotto dietro richiesta della Segen, doveva essere non meno di 193.118,59 euro.

Giusto per rendersi conto della mole di denaro che la Segen ha incassato più del legittimato, la quota che annualmente il comune versava alla Segen nel 2018 era pari a 414.469,00 euro e, calcolatrice alla mano, questa somma corrispondeva ad una riduzione della tariffa del 46,6%. Circa il 50%. Sarebbe stato un successo clamoroso, ancora di più visto che gli altri comuni che versavano nella stessa situazione, pur conoscendo bene la situazione e ciò che la legge prevede, hanno deciso di non fare nulla.

E ricordo bene, le male parole dei cittadini, che, giustamente, tra il 2017 e il 2018 si sono visti aumentare la tariffa di ben 40 mila euro. Come ricordo bene le parole del sottoscritto sulla felicità dei cittadini qualora avessero riavuto indietro un rimborso capace di ridurre la tariffa di quasi 200 mila euro anche se per un solo anno.

E invece il comune, con il sindaco in prima persona che entrava per tutelare la Segen prima ancora dei cittadini di Balsorano, messo di fronte ad una situazione da sanare che prevedeva un ben quantificato danno arrecato alle tasche dei cittadini di Balsorano, non solo non ha accolto la richiesta di riduzione del monte da restituire, ma ha deciso di escludere gli anni che vanno dal 2008 al 2014 e ha quindi accolto l’ulteriore richiesta di riduzione da parte della Segen e il rimborso è stato pari a soli 65.258,63 €, che coprono poco più degli interessi versati dai cittadini di Balsorano che per legge non dovevano maturarsi.

E ora qualche piccolo accenno sulla mia difesa, che sembra tanto bramata dagli 11 soggetti chiamati in causa, Segen e Comuni soci, con una breve distinzione tra aggiudicazione o affidamento e contratto:

  • l’aggiudicazione o l’affidamento è revocabile o annullabile, cioè soggetta ad autotutela;
  • l’aggiudicazione o l’affidamento è un provvedimento amministrativo e, dunque, non un contratto;
  • l’aggiudicazione o l’affidamento chiude la fase di individuazione del contraente, ma non apre ancora quella esecutiva;
  • la costituzione delle obbligazioni tra le parti è rimessa esclusivamente alla stipulazione del contratto, cui consegue la fase esecutiva, che attiene al diritto civile e non più amministrativo;
  • è solo col contratto che si verifica quanto previsto dall’articolo 183, comma 1, del d.lgs 267/2000, cioè si determina la obbligazione “giuridicamente perfezionata” nella quale “è determinata la somma da pagare, determinato il soggetto creditore, indicata la ragione e la relativa scadenza”.

Anche la precedente versione del codice dei contratti pubblici, il D. Lgs. 50/2016, all’art. 33 comma 2 si riporta “L’eventuale approvazione del contratto stipulato avviene nel rispetto dei termini e secondo procedure analoghe a quelle di cui al comma 1. L’approvazione del contratto è sottoposta ai controlli previsti dai rispettivi ordinamenti delle stazioni appaltante”.

Facendo un altro passetto indietro e citando il D.Lgs 118/2011 ovvero il principio contabile applicato alla contabilità economico-patrimoniale, ai sensi del punto 5.1, “L’impegno si perfeziona mediante l’atto gestionale, che verifica ed attesta gli elementi anzidetti e la copertura finanziaria, e con il quale si dà atto, altresì, degli effetti di spesa in relazione a ciascun esercizio finanziario contemplato dal bilancio di previsione”. Ma, il principio prosegue evidenziando che “Pur se il provvedimento di impegno deve annotare l’intero importo della spesa, la registrazione dell’impegno che ne consegue, a valere sulla competenza avviene nel momento in cui l’impegno è giuridicamente perfezionato, con imputazione agli esercizi finanziari in cui le singole obbligazioni passive risultano esigibili”. Il perfezionamento giuridico, lo si ribadisce, dipende sempre e solo dalla sottoscrizione del contratto.

La conclusione da trarre, dunque, è che forme di presunta “semplificazione” operativa, come la sottoscrizione del provvedimento di affidamento o di aggiudicazione da parte dell’operatore economico, sono modalità illegittime per violazione di legge di sottoscrizione del contratto, anche perché le uniche forme possibili di sottoscrizione sono quelle stabilite dalla Legge, la quale non contempla tale possibilità.

Articolo scritto e pubblicato da Giuseppe Pea il 25.11.2023 alle 06:45.

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