E di nuovo una nuova sentenza che dimostra l’anomalia di quella emanata dal TAR dell’Aquila

Di 18 Novembre, 2022 0 0
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Ogni giorno che passa, ogni sentenza pubblicata, alimenta lo sdegno nella sentenza del TAR, la 427 del 2021, emessa dall’allora Presidente Realfonzo (ne ho già parlato in questo articolo), ovvero di quella persona che nell’inaugurare l’anno giudiziario del TAR affermava che “la classe politica, anche ai massimi livelli e senza distinzioni d’appartenenza, assume posizioni di aperta ostilità fondate sulla convinzione che il giudice amministrativo tenda ad erodere indebitamente la sfera della discrezionalità della pubblica amministrazione”, parole frivole visto che, almeno nel mio caso, sono state particolarmente accondiscendenti con l’Amministrazione di Balsorano e la sua punta di diamante, il segretario Falcone, e in particolare con l’avvocato “Roberto”.

Ancora oggi, infatti, nonostante il tempo trascorso, non riesco a togliermi dalla testa l’espressione con la quale l’ex Presidente del TAR, persona che dovrebbe essere sopra le parti, introduceva l’avvocato che difendeva gli interessi (io direi i soprusi) del Comune di Balsorano, chiamato non per cognome ma per nome, “Roberto”, come se fosse un collega. Avvocato che non si era nemmeno presentato davanti al TAR, ma che comunque era stato lautamente pagato, anche se in violazione delle norme contabili (e se ne contano a centinaia), evidentemente sicuri che mi sarebbero state addebitate le sue spese. E con quel Presidente, c’era anche una certa possibilità.

Eppure avrei dovuto capire come sarebbe finita anche se tutto lasciava presagire un esito diverso, non per altro per le frasi dello stesso Presidente “posso capire che Lei abbia necessità di accedere al programma di contabilità per vedere le varie disponibilità dei capitoli di spesa, ma a cosa le serve il registro del protocollo?”, che così come pronunciate significavano una sola cosa, che l’accesso al programma di contabilità era “giustificato”, mentre l’accesso al protocollo doveva essere meglio chiarito.

Poi la sentenza “boccia” l’accesso al protocollo, ritenendolo una mera riproposizione di una richiesta già inoltrata e a supporto citava una singola parola presente nella domanda, confondendo incredibilmente la stampa del registro del protocollo limitato ad un preciso periodo di tempo (un documento analogico come lo definisce il TAR lombardo), con la consegna delle credenziali, user e password, per accedere al registro del protocollo senza limitazione temporale (un dato digitale).

Bocciatura ulteriormente rinforzata, avvalorando le tesi difensive dell’avvocato “Roberto“, dopo aver avuto l’accortezza di cestinare tutte le mie memorie non perché sbagliate ma evidentemente non gradite visto che nemmeno una riga è stata ripresa in sentenza. Infatti la mia richiesta di accesso al registro del protocollo (che contiene pochi dati come l’oggetto di una comunicazione, la data, il mezzo, il mittente e il destinatario) è stata giudicata “un accesso ingiustificato ad una serie indeterminata di documenti”, il che dimostra l’incapacità di comprendere cosa sia in realtà il registro del protocollo e il perché quasi tutti i TAR e i Consigli di Stato acconsentano tale accesso. Tutti tranne uno mi verrebbe da dire, il TAR dell’Aquila, tant’è che non ha potuto citare alcuna sentenza che avvalori la loro posizione, mentre io ne avevo citate molte anche del Consiglio di Stato che esprimevano il consenso a tale richiesta.

Evidentemente il Presidente non lo aveva capito, tanto da chiedermi il motivo di tale richiesta. Eppure ero sicuro di essere stato abbastanza chiaro, ma evidentemente meno di “Roberto“, “il registro del protocollo è paragonabile ad un indice di un libro che ti dà i titoli di ogni capitolo/documento senza darti una sola riga del contenuto di quel capitolo/documento, che va eventualmente richiesto a parte con apposita e specifica richiesta”. Niente di più complicato, ma si sa a volte le cose semplici non lo sono per tutti.

La cosa più assurda è il dar credito alle menzogne scritte in quelle memorie difensive e dettate dal segretario comunale definito successivamente dall’Anac, “persona non integerrima”, ovvero persona non onesta se vogliamo trovare un sinonimo più chiaro (dal dizionario Treccani), e in quanto tale non idoneo a ricoprire il ruolo di Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza in nessuno dei comuni nei quali svolge il suo incarico di segretario.

Come non mi capacito del fatto che il TAR dell’Aquila abbia accolto la tesi secondo cui il sottoscritto non riceveva risposte perché “il comune era troppo piccolo e non aveva personale per inoltrare i documenti”. Tesi già negata da altri TAR.

Come non mi capacito ancora del fatto che abbiano accettato senza fare alcuna verifica, la tesi difensiva di “Roberto“, evidentemente reputato più affidabile del sottoscritto, la quale riprendeva fedelmente la dichiarazione fatta dal segretario secondo il quale il sottoscritto, in 2 anni, “ha inoltrato 100 richieste di accesso agli atti che hanno portato alla paralisi dell’ufficio di segreteria. Peccato che nelle 100 richieste ci abbia messo di tutto, sia documenti prodotti quando ero responsabile del servizio finanziario sia le mie dimissioni da assessore, quando invece, numeri alla mano, sono state 22 in due anni (più 9 solleciti, 2 rinnovi e 11 diffide) e buona parte erano documenti che andrebbero, per legge, pubblicati. Poco importa se in due anni il Segretario aveva comunque deciso di rispondere solo in 2 occasioni, una delle quali era una negazione. Poco importa se la Prefettura ha spalleggiato e continua a spalleggiare il suo onorato dipendente capace di rappresentare degnamente la categoria dei segretari con un curriculum che vanta due pesanti e screditanti condanne erariali per aver coscientemente incassato rimborsi illegittimi.

Come non mi capacito del fatto che un TAR decida di propria iniziativa di nascondere uno dei miei motivi di ricorso, forse primo caso in Italia dove un tribunale non si esprime su uno dei punti contestati nella segnalazione e non perché assorbiti da altri, semplicemente perché ha deciso di ignorarlo.

Evidentemente quel “Roberto” significava altro.

 

Ma veniamo alla recente sentenza, la 2317 del 24.10.2022 del TAR per la Lombardia (Sezione Prima) (che trovate qui).

Con le istanze del 27 dicembre 2021 e del 25 gennaio 2022 il ricorrente, consigliere comunale, chiedeva al Comune di acquisire le informazioni contenute nel protocollo dell’ente, per gli atti in entrata e in uscita, relative al numero di protocollo e all’oggetto, poiché tali informazioni sono necessarie all’espletamento del proprio mandato.

Il TAR Lombardia ritiene che le informazioni e i dati richiesti dal ricorrente rientrino tra quelli accessibili ai consiglieri comunali, in quanto utili all’espletamento del mandato consiliare.

È infatti evidente che la conoscenza della cronologia degli atti registrati in entrata e in uscita e del loro oggetto è idonea ad agevolare la valutazione dell’efficacia dell’azione amministrativa del Comune ed a stimolare la promozione di ulteriori attività in favore della collettività rappresentata.

Il Comune che per un certo periodo aveva tra l’altro inoltrato il registro del protocollo con sequenza settimanale, interrompeva improvvisamente l’invio per la necessità di predisporre specifiche cautele nella condivisione degli atti che contengono dati sensibili e giudiziari.

Tuttavia il TAR ritiene che le motivazioni del diniego di accesso siano inconferenti.

Il consigliere comunale è infatti tenuto al rispetto del segreto anche quando trattasi di procedimenti penali, di cui all’articolo 329 del codice di procedura penale e di qualunque altro vincolo di riservatezza, incluso quello che grava sui dati sensibili e giudiziari.

L’unica raccomandazione posta dal TAR è che l’accesso ai dati contenuti nel protocollo informatico deve avvenire in modo da arrecare il minor aggravio possibile agli uffici dell’ente territoriale per cui, ove l’ente non sia in grado di garantire un elevato livello di sicurezza nella trasmissione dei dati di sintesi del protocollo informatico, è tenuto ad individuare modalità alternative di trasmissione, quali, ad esempio, l’utilizzo di postazioni informatiche sicure presso i locali dell’ente o la consegna dei dati di sintesi su supporto analogico (su un foglio di carta per intenderci).

Pertanto la necessità di adeguare il proprio protocollo informatico ai principi ed alle regole eurounitarie per il trattamento dei dati personali non è da sola sufficiente a giustificare la privazione del diritto di informazione del ricorrente, il quale deve essere comunque assicurato in forma integrale con l’individuazione, da parte del Comune, delle modalità che assicurino la trasmissione dei dati in tutta sicurezza (accesso al protocollo informatico mediante predisposizione di postazioni informatiche protette all’interno degli uffici comunali o mediante consegna dei documenti su supporto analogico).

Il ricorso veniva quindi accolto, riconoscendo al ricorrente consigliere comunale, il diritto di accedere ai dati ed alle informazioni richieste (numero di protocollo ed oggetto degli atti in entrata e in uscita) contenuti nel protocollo informatico del Comune, quest’ultimo obbligato a consentire al ricorrente, mediante la formula organizzativa che riterrà più idonea, l’accesso ai dati del protocollo informatico con cadenza settimanale, a far data dal 22 febbraio 2022.

Una sconfitta su tutta la linea da parte del Comune visto che anche le spese di lite sono state liquidate in favore del ricorrente.

Insomma è spiccicato quello che ho chiesto io nel 2021 ottenendo in cambio tutto il contrario di quanto sentenziato dal TAR lombardo.

Ovviamente questa sentenza è seconda per assurdità solo a quella Tekneko/Segen, che resterà negli annali essendo l’unica sentenza che ha dichiarato legittimo un affidamento di un servizio in violazione della normativa degli appalti che vede l’affidamento in-house SEMPRE subalterno alla gara pubblica, basando la propria decisione su una legge regionale illegittima, non accettando la richiesta di verifica della convenienza economica ma avendo avuto però la decenza di chiedere, in sordina, alla Regione Abruzzo di riscriverla, nonostante questa avesse già prodotto effetti anche se limitati al nostro Comune.

Dimenticavo. C’è un elemento comune in queste due assurde sentenze del TAR dell’Aquila, “Roberto“.

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