L’IMU 2020, un altro grande successo di questa amministrazione

Di 22 Giugno, 2020 0 0
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Nonostante in Consiglio Comunale si lodava il bilancio di previsione, tra l’altro approvato a dicembre 2019 e non modificato nonostante la pandemia, l’amministrazione non ha voluto rinunciare, nemmeno in misura ridotta, a un’entrata immediata neanche utilizzando i risparmi previsti per il 2020 derivanti dalla sospensione dei mutui, che hanno deciso di non richiedere. Per chi non lo avesse letto, consiglio l’articolo precedente e di riflesso le proposte del sottoscritto inviate all’amministrazione che prevedevano una riduzione dell’IMU dello 0,1% (ovvero l’eliminazione totale della TASI portando la tassa esattamente al livello di quella approvata dal Comune di San Vincenzo V.R. anche se limitata al 2020).

Ad aggravare la situazione vi è il silenzio assordante di un’amministrazione evidentemente allo sbando più totale, più preoccupata ad aggredire i propri cittadini che non ad amministrare un ente pubblico che, evidentemente, si dichiara sano ma nonostante ciò non lo si dimostra (basta pensare che molti comuni sono riusciti a sbloccare l’avanzo per elargire agevolazioni ai cittadini e alle imprese coinvolte nella crisi mentre il nostro è restato al palo anche in considerazione di un avanzo di amministrazione di appena 102€, tra l’altro, dopo aver analizzato la documentazione postuma all’approvazione, estremamente dubbio).

La nuova imu, imposta comunale sugli immobili, puntava alla semplificazione incorporando la Tasi sotto il cappello della «nuova Imu» e cancellando così il paradosso della doppia imposta sullo stesso patrimonio. Ma l’emergenza sanitaria e le sue ricadute economiche hanno di fatto cancellato questo obiettivo. Le decisioni sul da farsi sono state lasciate agli enti. Quella prodotta dal Covid-19 è sicuramente una situazione particolare che indubbiamente l’amministrazione comunale ha palesemente ignorato nonostante i continui richiami.

Ad esempio con la nuova Imu le amministrazioni locali hanno (avevano) il potere di prorogare il temine per il pagamento, visto che non è stato concesso alcun rinvio con legge statale. Il comma 777 della legge 160/2019 dà all’ente la facoltà di differire i termini di versamento del tributo, per situazioni particolari.

L’amministrazione invece è rimasta inerme e ha lasciato allo sbando i propri cittadini senza rilasciare alcuna informazione, cittadini che hanno dovuto, lo scorso 16 giugno, districarsi anche con una nuova Imu senza conoscere l’aliquota attribuita per il 2020 e molto probabilmente qualcuno, nell’incertezza, avrà pagato anche la Tasi che per quest’anno è stata assorbita dall’IMU, generando di fatti un caos in termini di tributi che si ripercuoterà anche nel saldo di dicembre visto che nel caso descritto inevitabilmente dovrà chiederne il rimborso o una compensazione.

Quindi dopo aver assistito ad un silenzio sulle imposte Tosap, Cosap, pubblicità etc, nonostante il sottoscritto continuava ad informarli, si aggiunge il silenzio sull’IMU.

Evidentemente stanno facendo un ottimo lavoro guidati da un segretario che dimostra giorno dopo giorno il valore dei propri titoli accademici, esattamente identico a quello degli amministratori che tengono le redini.

Basta pensare che il Governo ha esentato dal pagamento i titolari di concessioni e autorizzazione per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, Tosap e Cosap, effettuate dai gestori di bar, ristoranti e attività commerciali etc ma solo a partire dal 1° maggio e fino al prossimo 31 ottobre.

Questa data comporta che i titolari di concessioni o autorizzazioni per l’utilizzo di suolo pubblico sono tenuti a pagare la tassa o il canone nei mesi di marzo e aprile, nonostante alle attività commerciali sia stata imposta la loro chiusura e, quindi, non ci sia stata occupazione del suolo con pedane, tavolini etc.

I comuni possono (o meglio potevano) infatti regolamentare sin da subito i tributi di propria competenza avendo infatti la possibilità di:

  • stabilire differenti termini per i versamenti, per situazioni particolari;
  • prevedere riduzioni tariffarie per gli esercenti per situazioni particolari;
  • ….

Anche in termini di sanzioni e di interessi l’amministrazione si è confermata inconsistente.

L’Ifel, la fondazione dell’Anci sulla finanza locale, aveva consigliato alle amministrazioni la via della moratoria di sanzioni e interessi, suggerendo di stabilire regole di favore soprattutto per le categorie più colpite dalla crisi.

Infatti i contribuenti in difficoltà economica a causa dell’emergenza da Covid-19 possono pagare l’Imu in ritardo senza applicazione di sanzioni e interessi ma occorre la delibera consigliare che ovviamente non c’è stata.

Non si tratta di un differimento generalizzato dei termini di pagamento dell’acconto che scade il 16 giugno, ma di una moratoria riferita a quei soggetti che hanno risentito degli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da virus Covid-19.

Per il calcolo dell’acconto in scadenza il 16 giugno si ricorda, infatti, che la nuova Imu accorpa in un unico prelievo sia la vecchia Imu che la Tasi, e per questo motivo il comma 762 della legge di Bilancio 2020 prevede che «in sede di prima applicazione dell’imposta», la rata di acconto è pari alla metà di quanto versato a titolo di Imu e Tasi per l’anno 2019. A saldo poi si effettuerà il conguaglio dell’imposta dovuta per l’intero anno, tenendo conto delle aliquote deliberate.

Ed è questo quello che bisognava pagare nei casi più comuni.

Codici tributi versamento modello F24
Tipo ImmobileCodice IMUCodice SanzioniCodice Interessi
Ab. principale e relative pertinenze391239243923
Fabbricati rurali ad uso strumentale391339243923
Terreni391439243923
Aree fabbricabili391639243923
Altri fabbricati391839243923
Imm. ad uso produttivo gruppo D – Stato392539243923
Imm. ad uso produttivo gruppo D – Comune393039243923
Fabb. costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita3939

Ma entriamo in quella che è la nuova IMU.

Con la nuova Imu continuano a essere esenti dall’imposta le abitazioni principali purché non accatastate nelle categorie A/1­, A/8 e A/9 (abitazioni signorili, ville e castelli).

L’unica eccezione è costituita dall’unione di fatto ai fini fiscali, quando la fusione è impedita dalla distinta titolarità delle due case: si pensi all’ipotesi in cui le due unità contigue siano una di proprietà del marito, l’altra di proprietà della moglie. In questo caso l’esonero scatta comunque se si procede all’accatastamento unitario ai soli fini fiscali, a condizione però che le due unità immobiliari contigue non abbiano autonomia funzionale e reddituale.

Sono esenti dall’Imu anche le pertinenze dell’abitazione principale, ma solo se classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo. Le pertinenze “eccedenti” pagano invece l’Imu applicando l’aliquota ordinaria.

Scompaiono invece dai casi di assimilazione alle abitazioni principali gli immobili dei pensionati Aire, agevolazione non più riproposta anche perché soggetta ad una procedura di infrazione comunitaria.

È rimasta comunque irrisolta, almeno dal punto di vista normativo, la questione delle doppie abitazioni dei coniugi situate in comuni diversi. La disciplina della nuova Imu riproduce la norma della vecchia Imu che prevede solo il caso in cui il nucleo familiare sia residente in immobili diversi nello stesso comune, esonerando solo una delle due abitazioni, ma nulla dice in ordine alle doppie case situate in comuni diversi.

L’elemento della convivenza dell’intero nucleo familiare non può essere comunque sottovalutato, per cui la questione andrebbe risolta applicando la giurisprudenza della Cassazione che esclude l’applicabilità della condizione di favore (tra le più recenti, le sentenze ­18397/2020, 4166/2020 e 417/2020) stabilendo che il presupposto ha fondamento soltanto se i requisiti della dimora e della residenza stanno in capo all’intero nucleo familiare, ponendo in risalto che i coniugi (non separati) non possono ottenere la doppia esenzione, legate troppo spesso alla fittizia separazione delle residenze tra marito e moglie. Le ordinanze, depositate successivamente all’approvazione della nuova Imu stabiliscono che l’esenzione per abitazione principale, deve intendersi tale solo quella che, usando le parole del legislatore vede dimorare e risiedere in forma contestuale il proprietario ed il suo nucleo familiare.

Per il calcolo dell’acconto in scadenza il 16 giugno è sufficiente considerare l’intero importo versato nel 2019 a titolo di Imu e Tasi e dividerlo a metà.

Si ricorda, infatti, che la nuova Imu accorpa in un unico prelievo sia la vecchia Imu che la Tasi, e per questo motivo il comma 762 della legge di Bilancio 2020 prevede che «in sede di prima applicazione dell’imposta», la rata di acconto è pari alla metà di quanto versato a titolo di Imu e Tasi per l’anno 2019. A saldo poi si effettuerà il conguaglio dell’imposta dovuta per l’intero anno, tenendo conto delle aliquote deliberate.

La formulazione crea dei problemi perché chi ha venduto parte dei suoi immobili a dicembre, dovrà corrispondere un acconto più elevato, mentre chi ha acquistato nel corso del primo semestre 2020 non dovrà versare nulla. Ovviamente, nulla dovrà essere versato da chi ha venduto tutto nel corso del 2019.

La normativa consente anche di versare l’intero importo dovuto nell’anno con la rata di acconto, opzione questa che può essere utile se il Comune ha già deliberato le aliquote 2020.

L’Imu è dovuta per anni solari proporzionalmente alla quota e ai mesi dell’anno nei quali si è protratto il possesso. La nuova disciplina cambia le regole di calcolo del mese.

Mentre in passato il mese si considerava per intero se il possesso si era protratto per almeno ­15 giorni, dal 2020 il mese durante il quale il possesso si è protratto per più della metà dei giorni di cui il mese stesso è composto è computato per intero.

Inoltre, è precisato che il giorno di trasferimento del possesso si computa in capo all’acquirente e l’imposta del mese del trasferimento resta interamente a suo carico nel caso in cui i giorni di possesso risultino uguali a quelli del cedente.

Per il pagamento si ricorda che deve essere arrotondato all’euro per difetto, se la frazione è inferiore a 49 centesimi, ovvero per eccesso nel caso di importo superiore; l’arrotondamento all’unità deve essere effettuato per ogni singolo codice tributo utilizzato.

L’importo minimo di versamento è pari a ­12 euro, ma il Comune può fissare importi minimi diversi.

Le ultime importanti novità riguardano il ravvedimento operoso sono contenute nel testo della Legge di Stabilità all’articolo 44 commi da 11 a 17, e riguardano le nuove sanzioni ridotte per i contribuenti che decidono di rimediare spontaneamente alle violazioni concernenti omessi, insufficienti o ritardati pagamenti e/o dichiarazione e comunicazioni obbligatorie non presentate entro i termini.

Il ravvedimento operoso 2020, è uno strumento atto a favorire il contribuente nel mettersi in regola autonomamente prima che la violazione venga accertata e notificata a seguito di controlli formali da parte dell’Amministrazione Finanziaria, consentendo di rimediare ad eventuali dimenticanze o errori di calcolo commessi dal contribuente in sede di pagamento dei tributi. In caso quindi di omissioni, ritardi o insufficienti versamenti o di tardiva, omessa o sbagliata dichiarazione, il cittadino può sanare la sua situazione ricorrendo spontaneamente al ravvedimento operoso (gli interessi di mora 2020 da applicare al calcolo del ravvedimento operoso devono ancora essere fissati dal MEF).

Il Decreto Fiscale 16/10/2019 n. 124, convertito con modificazione dalla L. 19/12/2019, n. 157, estende dal 01/01/2020 anche ai tributi locali il ravvedimento operoso lunghissimo.

Prima c’erano infatti solo 3 tipi di ravvedimento sprint, breve e lungo, il primo prevedeva una sanzione ridotta dello 0,2% se si rimediava alla violazione entro il 14° giorno, il secondo 0,3% se il pagamento avveniva dal 15° al 30° giorno di ritardo rispetto alla data di scadenza originaria e 3,75% per i versamenti dal 31° giorno in poi ma entro l’anno.

Il ravvedimento operoso lunghissimo, invece, non pone limiti temporali, nel senso che fino a quando l’Amministrazione non notifica la violazione, il contribuente può rimediare quindi anche dopo 2 anni dalla data di scadenza originaria, calcolando una nuova sanzione ridotta pari al 5% contro il 30% previsto in caso di accertamento fiscale da parte dell’Amministrazione.

FATTISPECIE
Omesso/parziale versamento
MODALITÀ RAVVEDIMENTOSANZIONE RIDOTTA
RAVVEDIMENTO SPRINTEntro 14 giorni dalla scadenza fissata per il versamento0,1% per ogni giorno fino al quattordicesimo
RAVVEDIMENTO BREVEDal 15° al 30° giorno di ritardo rispetto alla scadenza fissata per il versamento1/10 del 15% = 1,50%
RAVVEDIMENTO INTERMEDIODal 31° al 90° giorno di ritardo rispetto alla scadenza fissata per il versamento1/9 del 15% = 1,67%
RAVVEDIMENTO ORDINARIODal 91° al 365° giorno di ritardo rispetto alla scadenza fissata per il versamento1/8 del 30% = 3,75%
RAVVEDIMENTO ULTRANNUALEOltre l’anno ed entro due anni dalla data di scadenza fissata per il versamento1/7 del 30% = 4,28%
RAVVEDIMENTO LUNGOOltre i due anni dalla data di scadenza fissata per il versamento1/6 del 30% = 5,00%
Riepilogo dei tassi di interesse legale annuo per il calcolo degli interessi moratori
Dal 01/01/2015 al 31/12/20150,50%D.M. Economica 11/12/2014
Dal 01/01/2016 al 31/12/20150,20%D.M. Economica 11/12/2015
Dal 01/01/2017 al 31/12/20150,10%D.M. Economica 07/12/2016
Dal 01/01/2018 al 31/12/20150,30%D.M. Economica 13/12/2017
Dal 01/01/2019 al 31/12/20150,80%D.M. Economica 12/12/2018
Dal 01/01/20200,05%D.M. Economica 12/12/2019

Il versamento deve essere effettuato tramite il modello F24 barrando la casella relativa a “ravvedimento operoso”, indicando l’importo totale comprensivo dell’imposta dovuta, delle sanzioni e degli interessi ed utilizzando il codice tributo per i versamenti ordinari.

Riassunto delle novità principali:

  • quanto pagare: per quest’anno basta pagare la metà esatta di quanto si è pagato l’anno scorso, con buona pace di chi dovrebbe pagare di meno: il metodo previsionale è stato sospeso. Dal 2021, invece, le regole sono fisse ma si cambia ancora
  • separati con figli: da quest’anno viene assimilata all’abitazione principale solo quella che è stata assegnata dal giudice al coniuge che risulti affidatario dei figli della coppia. L’assimilazione, però, non opera quando i figli sono ormai maggiorenni
  • pensionati all’estero: scompaiono dai casi di assimilazione all’abitazione principale le case appartenenti ai pensionati che risultano iscritti all’Aire, cioè che non risiedono in Italia ma vi possiedono ancora un’abitazione sulla quale, da quest’anno, pagheranno l’Imu
  • senza sconti: quest’anno è al debutto la nuova Imu, che vede l’assorbimento della Tasi, a ragione considerata un’inutile duplicazione dell’imposta principale. L’assorbimento, però, non significa che la spesa diminuisca poiché l’aliquota Imu sarà “integrata”.

Fino all’anno scorso la rata di acconto era pari alla metà dell’imposta dovuta nell’anno, sicché se un contribuente acquistava un immobile il 30 aprile, in acconto doveva versare l’Imu per quattro mesi, quindi in eccedenza rispetto a quanto dovuto per il primo semestre, con il rischio anche di dover richiedere il rimborso in caso di vendita effettuata a luglio. Dal 2021, invece, il versamento della rata di acconto è pari all’imposta dovuta per il primo semestre applicando l’aliquota e la detrazione dei 12 mesi dell’anno precedente. Per il primo anno di applicazione della nuova Imu (2020), l’acconto è pari alla metà dell’imposta versata nel 2019 a titolo di Imu e Tasi, formulazione questa palesemente errata, perché non considera che il contribuente potrebbe aver venduto nel corso del 2019 (potrà utilizzare il metodo previsionale pagando solo la quota Imu prevedendo quindi nel saldo la differenza con quella stabilita dal Comune), oppure può aver acquistato nel corso del primo semestre 2020 (in quest’ultimo caso, l’acconto non è dovuto e l’intero importo sarà versato con il saldo, sulla base delle aliquote deliberate per l’anno dal Comune).

I presupposti che fanno sorgere l’obbligo di pagare l’Imu sono i seguenti:

  1. proprietà piena di beni immobili (fabbricati, terreni agricoli, aree fabbricabili);
  2. titolarità di diritti reali su tali beni, ossia abitazione, usufrutto, uso, enfiteusi e diritto di superficie;
  3. conduzione di immobili in locazione finanziaria (leasing);
  4. concessione immobili demaniali (ad esempio stabilimenti balneari).

Tra i più frequenti diritti reali si segnala il diritto di abitazione per la casa familiare del coniuge superstite, diritto che scatta automaticamente alla morte dell’altro coniuge a prescindere dall’accettazione dell’eredità e anche nel caso di rinuncia a quest’ultima.

A tali categorie di soggetti si aggiunge il genitore assegnatario della casa familiare a seguito di provvedimento del giudice che costituisce altresì il diritto di abitazione in capo al genitore affidatario dei figli. Si tratta di una novità prevista dalla disciplina della nuova Imu, considerato che solo in caso di affidamento dei figli minori opera la soggettività passiva dell’assegnatario, equiparato al titolare del diritto di abitazione, per cui se non ci sono figli si applicano le regole ordinarie.

Di seguito tutte le informazioni reperite in rete sulla nuova IMU.

Articolo pubblicato da Giuseppe Pea in data 22.06.2020 alle 07:45, Versione 1.

Chiarimenti generali sulla nuova IMU

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Alcuni quesiti risolti dal Ministero delle Finanze.

  1. Immobile ceduto nel corso del 2019
    • Il versamento d’acconto non è dovuto per l’assenza del presupposto impositivo.
  2. Immobile acquistato nel corso del primo semestre 2020
    • Il criterio stabilito dal comma 762 ai fini dell’acconto 2020 comporta che il contribuente non versi alcunché in occasione della prima rata, dal momento che nel 2019 l’IMU non è stata versata perché non sussisteva il presupposto impositivo. Tuttavia, sembra percorribile anche la possibilità per il contribuente di versare l’acconto sulla base dei mesi di possesso realizzatisi nel primo semestre del 2020, tenendo conto dell’aliquota dell’IMU stabilita per l’anno precedente. Se al momento del versamento dell’acconto risulta che il comune già abbia pubblicato sul sito www.finanze.gov.it, le aliquote IMU applicabili nel 2020, il contribuente può determinare l’imposta applicando le nuove aliquote pubblicate.
  3. Immobili ceduti e acquistati nelle annualità 2019 e 2020
    • Nell’ipotesi in cui il contribuente abbia al contempo venduto un immobile nel 2019 – ipotesi di cui alla lett. a) – e acquistato un altro immobile situato nel territorio dello stesso comune nel primo semestre del 2020 – ipotesi di cui alla lett. b) – egli dovrà comunque versare l’acconto 2020 scegliendo tra il metodo individuato dal comma 762 per l’acconto 2020 e quello previsto dalla stessa norma a regime. Nel primo caso il contribuente verserà l’acconto 2020 per l’immobile venduto nel 2019, calcolato in misura pari al 50% della somma corrisposta nel 2019 a titolo di IMU e di TASI, mentre non verserà nulla per quello acquistato nel 2020. Nel secondo caso il contribuente verserà l’acconto 2020 per l’immobile acquistato nel primo semestre 2020, calcolato sulla base dei mesi di possesso nel primo semestre del 2020 e tenendo conto dell’aliquota dell’IMU vigente per l’anno 2019, mentre non corrisponderà l’IMU per l’immobile venduto nel 2019.
      Il contribuente dovrà adottare il medesimo criterio per entrambi gli immobili, non potrà invece combinare i due criteri e ciò soprattutto quando tale operazione conduca a non versare alcun acconto.
      Tutto ciò non vale nel caso in cui gli immobili in questione si trovino in comuni diversi, potendo il contribuente in tale eventualità scegliere un diverso criterio per ciascun immobile.
  4. Immobile tenuto a disposizione o locato nell’anno 2019 che viene destinato ad abitazione principale nell’anno 2020.
    • In tal caso valgono le stesse osservazioni fornite alla lett. a), in quanto nel 2020 è venuto meno il presupposto impositivo dell’IMU.
  5. Immobile destinato ad abitazione principale nel 2019 che viene tenuto a disposizione o locato nell’anno 2020.
    • Valgono le considerazioni svolte alla lett. b), atteso che nell’anno 2019 il tributo non era stato versato per effetto dell’esclusione dell’abitazione principale dall’IMU mentre nell’anno 2020 a seguito del mutamento di destinazione è sorto il presupposto impositivo.
  6. Immobili che nel 2020 subiscono un cambio di destinazione rispetto al 2019
    • Nell’ipotesi in cui il contribuente possiede due immobili, uno adibito ad abitazione principale e l’altro tenuto a disposizione, e nel 2020 ne inverta la destinazione, valgono le stesse considerazioni svolte alla lett. c).
  7. Fabbricati rurali strumentali e fabbricati merce
    • Gli immobili in questione nel 2019 erano esenti dall’IMU ma assoggettati alla TASI. In seguito all’abolizione di quest’ultimo tributo, si ritengono applicabili le considerazioni di cui alla lett. b), con la specificazione che qualora si opti per la soluzione di versare l’acconto, occorrere applicare l’aliquota di base pari allo 0,1 per cento prevista dai commi 750 e 751, stante la non imponibilità delle fattispecie in esame nella previgente disciplina IMU.
  8. Immobile per il quale nel 2020 è mutata la quota di possesso
    • In questa ipotesi è preferibile seguire il criterio stabilito per l’anno di prima applicazione dell’IMU dal comma 762 ai fini dell’acconto 2020.
  9. Enti non commerciali: versamenti a saldo e in acconto
    • Per quanto riguarda il versamento a saldo relativo all’anno 2019, nulla è mutato rispetto al regime impositivo relativo a detto anno in cui era vigente la TASI. Per quanto riguarda invece l’acconto per il 2020, occorre avere riguardo al comma 763 in base al quale, in sede di prima applicazione dell’IMU, le due rate di acconto sono di importo pari ciascuna al 50 per cento dell’imposta complessivamente corrisposta a titolo di IMU e TASI per l’anno 2019, esclusa ovviamente la TASI relativa all’occupante utilizzando il codice tributo IMU.
  10. Fabbricati rurali strumentali e fabbricati merce: riserva
    • Per questi immobili, laddove siano classificati nel gruppo catastale D, non opera la riserva statale di cui al comma 753, dal momento che i comuni possono azzerare la relativa aliquota, facoltà inibita nel caso di riserva statale.
  11. Fabbricati rurali: annotazione
    • Vale la pena di accennare che per i fabbricati rurali che non sono classificati nella categoria catastale D/10 (fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole) continua ad applicarsi la disciplina particolare che li riguarda, la quale prescinde dalle disposizioni di carattere fiscale, che è stata attuata con il decreto del MEF 26 luglio 2012, il quale prevede una specifica annotazione ai fini dell’iscrizione negli atti del catasto della sussistenza del requisito di ruralità per i fabbricati diversi da quelli censibili nella categoria D/10.
  12. Casa coniugale/casa familiare
    • Il Dipartimento chiarisce che la differente formulazione della norma introdotta dal comma 741, lett. c), n. 4, che fa riferimento alla casa familiare e al genitore, e non più alla casa coniugale e al coniuge, è volta soltanto a chiarire che nell’ambito dell’assimilazione all’abitazione principale sono ricomprese anche le ipotesi di provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare in assenza di un precedente rapporto coniugale. Nulla quindi è mutato rispetto alla precedente disciplina. Pertanto, continua a permanere l’esclusione dall’IMU della casa familiare assegnata con provvedimento del Giudice già assimilata all’abitazione principale nella previgente disciplina.
  13. Imposizione per gli immobili posseduti dagli IACP e alloggi sociali
    • Il Dipartimento chiarisce che con la legge di bilancio 2020 è stato mantenuto sostanzialmente inalterato il regime fiscale già previsto in materia di IMU per questi immobili.
      Per gli alloggi regolarmente assegnati dagli istituti autonomi per le case popolari (IACP) o dagli enti di edilizia residenziale pubblica (ERP) costituisce una novità rispetto al precedente regime IMU la possibilità (comma 754 del medesimo art. 1) di azzerare l’aliquota relativa agli immobili in questione che non erano, e continuano a non essere, assimilati all’abitazione principale, come affermato anche dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 20135 del 25 luglio 2019 che ha escluso l’applicazione dell’aliquota ridotta (poi trasformata in esenzione) prevista per l’abitazione principale in quanto “legittimato passivo dell’imposta è l’Ente possessore dell’immobile diverso dalla persona fisica locataria”.
      Il dipartimento chiarisce che la facoltà di azzeramento dell’aliquota è suscettibile di essere esercitata per tutti gli immobili di proprietà di tali istituti e, quindi, non solo per gli alloggi regolarmente assegnati ma anche, ad esempio, per quelli sfitti.
      Per i fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali, adibiti ad abitazione principale è prevista dall’art. 1, comma 741, lett. c), n. 3) l’assimilazione ad abitazione principale con conseguente esenzione dall’IMU.
      Viene precisato che le assimilazioni di cui alla lett. c) del comma 741 hanno carattere peculiare e prendono in considerazione proprio quelle fattispecie che altrimenti non potrebbero rientrare nell’ipotesi tipica di abitazione principale già vista per gli alloggi IACP/ERP In particolare, nel caso degli alloggi sociali assume rilievo determinante per l’assimilazione la corrispondenza dell’alloggio alle caratteristiche individuate dal D. M. 22 aprile 2008 e il fatto che lo stesso sia adibito ad abitazione principale.
      Pertanto, gli alloggi regolarmente assegnati dall’IACP/ERPF rientrano in siffatta ipotesi di assimilazione e quindi di esenzione solo nel caso in cui anche tali alloggi siano riconducibili nella definizione di alloggio sociale di cui al decreto ministeriale appena citato.
      In tutti gli altri casi, quindi, in cui non si può ricollegare all’ambito dell’alloggio sociale l’immobile posseduto dagli Istituti in questione si applica la detrazione di 200 euro.

Nuova Imu – Mancata pubblicazione delle aliquote e dei regolamenti

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In caso di mancata pubblicazione delle delibere sul sito www.finanze.gov.it entro il 28 ottobre 2020, ai sensi del comma 767, si applicano le aliquote e le detrazioni IMU vigenti nel comune per l’anno 2019. Tale principio vale anche nel caso in cui il comune non abbia mai deliberato in materia di aliquote IMU, il che comporta che trovino applicazione l’aliquota dello 0,76 per cento per gli immobili diversi dall’abitazione principale e quella dello 0,4 per cento per le abitazioni principali di lusso. Come già chiarito alla lett. g) relativamente all’acconto 2020, per le fattispecie impositive non assoggettate all’IMU nell’anno 2019, quali i fabbricati rurali strumentali e i fabbricati merce, occorre applicare l’aliquota di base pari allo 0,1 per cento prevista dai commi 750 e 751.

La continuità della disciplina dell’IMU vale anche nell’ipotesi di mancata pubblicazione del regolamento per l’anno 2020, con conseguente applicabilità delle disposizioni contenute nel regolamento vigente nell’anno 2019, tra le quali in particolare quelle concernenti:

  • l’assimilazione dell’immobile posseduto da anziano ricoverato in casa di cura;
  • l’importo minimo di versamento; ovviamente nel caso in cui il comune non abbia mai deliberato in materia di importo minimo IMU, tale importo è pari a 12 euro.

Nuova Imu – Per i comuni mani libere sui regolamenti

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L’obbligo di approvare le delibere in conformità al prospetto da adottarsi a cura del Mef opererà solo a partire dal 2021. In particolare, nel comma 756 è stabilito che i comuni, a decorrere dal 2021, possono diversificare le aliquote della nuova Imu solo con riferimento alle fattispecie tipizzate in un decreto delle Finanze che deve essere adottato entro la fine di giugno. Solo dall’inizio del 2021 si attiverà l’obbligo di approvare le delibere, conformandosi al prospetto curato dal Mef, quindi per il 2020 ci sarà ancora libertà sulle aliquote Imu. Quindi, per quanto riguarda le aliquote del 2020, i comuni potranno liberamente scegliere la selezione della casistica, e non dovranno attendere alcuna emanazione del decreto da parte del Mef.

Nuova Imu – I comuni possono rinviare l’Imu per chi ha subito perdite a causa dell’emergenza Covid

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Le amministrazioni comunali possono (potevano) prorogare il pagamento della prima rata Imu che scadrà il prossimo 16 giugno.

Il differimento del termine poteva essere disposto, con delibera consiliare, per i contribuenti che hanno subito pesanti perdite economiche a causa dell’emergenza sanitaria. I soggetti legittimati a pagare in ritardo non saranno tenuti a pagare sanzioni e interessi. Lo ha chiarito l’Ifel, con una nota del 21 maggio scorso, nella quale ha indicato il 30 settembre come possibile data di scadenza dell’acconto Imu e il 31 ottobre come termine ultimo per consentire ai contribuenti beneficiari della proroga di autocertificare il loro status.

In particolare, secondo l’Ifel, viene concessa agli interessati «la possibilità di eseguire il versamento entro una certa data, ad esempio il 30 settembre, senza applicazione di sanzioni ed interessi». Tuttavia, i contribuenti che si avvaloreranno del rinvio della scadenza dovranno attestare che hanno effettivamente avuto danni economici, «mediante presentazione di specifica comunicazione da presentare a pena di decadenza entro una determinata data, ad esempio il 31 ottobre p.v.».

Per l’Istituto la proroga non generalizzata, ma «selettiva del termine costituisce un tangibile, seppur provvisorio sostegno a chi, persona fisica o esercente di attività economica, sta registrando difficoltà economiche a causa dell’attuale situazione». Peraltro, in questo modo vengono «salvaguardate le esigenze di cassa del comune».

I comuni che intendano differire il pagamento della prima rata IMU 2020 secondo le indicazioni di IFEL dovranno (dovevano) mettere a disposizione dei contribuenti un modello per l’attestazione delle difficoltà economiche conseguite all’emergenza Coronavirus

Alcune delle ipotesi che il comune potrebbe, al riguardo, prevedere possono essere:

  • cessazione del rapporto di lavoro subordinato, con attualità dello stato di disoccupazione;
  • cessazione del rapporto di lavoro di cui all’articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile, con attualità dello stato di disoccupazione;
  • sospensione dal lavoro per almeno 30 giorni lavorativi consecutivi, con attualità dello stato di sospensione;
  • riduzione dell’orario di lavoro per un periodo di almeno 30 giorni lavorativi consecutivi,
  • corrispondente ad una riduzione almeno pari al 20% dell’orario complessivo con attualità della riduzione di orario;
  • in caso di lavoratore autonomo o libero professionista: riduzione media giornaliera del proprio fatturato rispetto al periodo di riferimento, registrato in un trimestre successivo al 21 febbraio 2020 ovvero nel minor lasso di tempo intercorrente tra la data della domanda e la predetta data, superiore al 33% del fatturato medio giornaliero dell’ultimo trimestre 2019, in conseguenza della chiusura o della restrizione della propria attività operata in attuazione delle disposizioni adottate dall’autorità competente per l’emergenza coronavirus.

Nuova Imu – I Comuni possono fermare interessi e sanzioni

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I contribuenti in difficoltà economica a causa dell’emergenza da Covid-19 possono pagare l’Imu in ritardo senza applicazione di sanzioni e interessi ma occorre la delibera consigliare.

Non si tratta di un differimento generalizzato dei termini di pagamento dell’acconto che scade il 16 giugno, ma di una moratoria riferita a quei soggetti che hanno risentito degli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da virus Covid-19. É infatti prevista la presentazione al Comune di una specifica comunicazione, entro un termine stabilito che attesti lo stato di difficoltà economica tale da non aver consentito al contribuente di pagare entro il 16 giugno.

In sostanza le persone fisiche o le attività economiche in comprovata difficoltà economica potranno saltare la rata di giugno ed effettuare il versamento entro una certa data, ad esempio il 30 settembre 2020, senza applicazione di sanzioni e interessi.

In questa maniera vengono salvaguardate le esigenze di cassa dei Comuni, trattandosi di un differimento selettivo e non generalizzato, dando al contempo una boccata di ossigeno ai contribuenti investiti dagli effetti negativi dell’emergenza da Covid-19.

Qui nasce però una diversa interpretazione tra l’Ifel e il MEF, la prima ricorda che l’Imu è un’imposta unitaria a integrale gestione comunale di cui una parte è riservata allo Stato (il 7,6 per mille dei fabbricati ad uso produttivo di categoria D), per cui non ha fondamento l’idea che il Comune debba limitare la potestà di differire i termini di pagamento, motivata da «situazioni particolari» (come previsto dal comma 777 della legge di bilancio 2020), ma solo per la quota di propria spettante, la seconda contraria al differimento dei termini anche per la quota riservata allo Stato.

Tuttavia la Corte costituzionale ha più volte sostenuto che l’Imu, in quanto istituita e disciplinata con legge dello Stato, è un tributo “erariale” seppure derivato in ragione della devoluzione del gettito. Pertanto la sua disciplina ricade nella materia dell’ordinamento tributario dello Stato che l’articolo 117 della Costituzione riserva alla competenza legislativa statale (da ultimo si veda la sentenza della Corte costituzionale n. 280/2016). Questo vorrebbe dire che l’autonomia dei Comuni può essere esercitata entro i limiti previsti dalla normativa statale. Che in realtà demanda ai Comuni l’attività di controllo sugli immobili di categoria D e la spettanza del tributo, sanzioni e interessi da accertamenti (comma 744 della legge 160/2019).

In ogni caso l’Ifel preferisce seguire una linea morbida, senza prevedere un differimento generalizzato dei termini di pagamento dell’acconto ma una moratoria solo per i contribuenti in difficoltà economica. Soluzione che peraltro trova la sua base normativa nel comma 775 della legge 160/2019 il quale consente ai Comuni di «deliberare con il regolamento circostanze attenuanti o esimenti nel rispetto dei principi stabiliti dalla normativa statale».

Nuova Imu – Il caos delle regole evita sanzioni e interessi

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Sul differimento dell’Imu, deciso da molti Comuni per venire incontro alle comprensibili esigenze di chi a fatica cerca di riemergere dalla crisi generata dalla pandemia, l’incertezza creata dalla Risoluzione 5/2020 delle Finanze, anche per la sua intempestività, ben potrà giustificare, Statuto del contribuente alla mano, la disapplicazione di sanzioni e interessi per chi pagherà in ritardo. Il che vuol dire non emettere alcun atto di accertamento, perché nell’avviso per tardivo versamento ci sono solo sanzioni e interessi.

Inoltre lo stato di forza maggiore esclude l’applicazione delle sanzioni in caso di mancato pagamento dei tributi alle scadenze fissate dalla legge. Ha sicuramente determinato uno stato di forza maggiore anche la pandemia, che ha comportato la chiusura delle attività commerciali e industriali per un lungo periodo e una crisi economica per i contribuenti interessati. Quindi, anche in caso di ritardato pagamento dell’acconto Imu i contribuenti non devono essere assoggettati al pagamento delle sanzioni, qualora dimostrino che l’omesso versamento dell’imposta nei termini di legge sia dovuto alle difficoltà economiche provocate dall’emergenza sanitaria. La forza maggiore è una causa esterna che costringe il contribuente a commettere la violazione.

I contribuenti non devono essere sanzionati se si è in presenza di situazioni che ostacolano il corretto adempimento degli obblighi tributari. Questa regola va applicata anche in presenza di violazioni commesse per ritardato pagamento della prima rata Imu. Del resto l’articolo 6 del decreto legislativo 472/1997, che disciplina le cause di non punibilità, esonera dal pagamento della sanzione se la violazione viene commessa per forza maggiore. La norma però non chiarisce quando ricorre questa circostanza.

In passato, i giudici di merito hanno sostenuto che costituiscono cause di esclusione delle sanzioni, per forza maggiore, le difficoltà economiche momentanee, che possono dipendere da vari fattori: ritardi nei pagamenti dei crediti delle imprese da parte dell’amministrazione pubblica, mancanza momentanea di liquidità dovuta alla crisi economica, stato di malattia che impedisce il normale svolgimento dell’attività professionale o imprenditoriale. In questi casi è stata ammessa una difesa a ampio raggio per i contribuenti destinatari di accertamenti o cartelle di pagamento con le quali il fisco ha richiesto le sanzioni per il ritardato versamento di imposte e tasse. Rientra nella casistica sopra citata anche l’emergenza sanitaria legata al virus, che ha impedito il normale esercizio delle attività commerciali e industriali.

Le chiusure delle attività e l’abbassamento delle saracinesche sono state imposte con provvedimenti governativi. Per la Cassazione (sentenza 22153/2017) le cause di esonero da responsabilità per le violazioni riguardanti gli omessi pagamenti delle imposte scaturiscono dalla particolarità dell’evento, che può dar luogo alla causa di forza maggiore.

La forza maggiore va vista come una causa esterna che obbliga il contribuente a comportarsi in modo difforme da quanto voluto e che lo costringe a commettere la violazione tributaria a causa di un evento imprevisto, imprevedibile e irresistibile. In questo senso si è espressa la Cassazione con l’ordinanza 3049/2018.

I giudici di legittimità hanno richiamato nella pronuncia la sentenza della Corte di Giustizia Ce C/314/06, secondo cui la nozione di forza maggiore, in materia fiscale, «comporta la sussistenza di un elemento oggettivo, relativo alle circostanze anormali ed estranee all’operatore, e di un elemento soggettivo, costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi». Pertanto, secondo la Cassazione, la forza maggiore è un’esimente poiché il soggetto passivo è costretto a commettere la violazione a causa di un evento imprevisto, allo stesso non imputabile, «nonostante tutte le cautele adottate». Non a caso il legislatore ha richiesto come requisito minimo «la colpa» per assoggettare i contribuenti al pagamento della sanzione. Qualora vengano contestate le sanzioni irrogate, spetta al giudice tributario svolgere le indagini in ordine all’esistenza degli elementi soggettivi e oggettivi che avrebbero impedito il pagamento di imposte e tasse.

Nuova Imu – Acconto

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A meno che i comuni non prevedano, con regolamento, il differimento del termine per il versamento, tenuto conto della situazione emergenziale che si è determinata a causa della pandemia, la scadenza per il pagamento dell’acconto dell’imposta municipale è fissato al 16 giugno.

Da quest’anno i titolari e detentori di immobili non sono più tenuti a pagare la Tasi, che è stata abolita dalla legge di Bilancio 2020. Obbligati a versare l’Imu sono tutti i contribuenti titolari di fabbricati, aree edificabili e terreni agricoli. Sono invece esonerati dal prelievo gli immobili adibiti a abitazione principale, tranne quelli di lusso, ville e castelli. L’acconto va calcolato sulla base delle aliquote e delle detrazioni deliberate dai comuni per l’anno precedente. La prima rata è pari alla metà di quanto versato a titolo di Imu e Tasi per il 2019. Quindi va versato il 50% di quanto pagato per i due tributi nel 2019.

Anche la regola ordinaria di determinazione dell’acconto, nella sua semplicità (la metà di quanto versato nel 2019), potrebbe creare dei problemi per i soggetti che si trovano a pagare più di quanto effettivamente dovuto per il 2020.

Non è stata deliberata nessuna proroga generalizzata del termine del 16 giugno. I Comuni, tuttavia, hanno il potere di differire i termini di pagamento, in “situazioni particolari”. Quindi, prima di pagare va verificato se il proprio Comune ha prorogato i termini. L’emergenza da Covid 19 rientra senz’altro nella fattispecie delle “situazioni particolari” che sono state citate in precedenza.

Trattandosi del primo anno di applicazione della nuova Imu, il criterio ordinario di quantificazione dell’acconto consiste nel pagare la metà di quanto complessivamente versato nel 2019 a titolo di Imu e Tasi. Questo significa, in concreto, che se l’anno scorso non si è versato nulla, perché ad esempio titolari della sola abitazione principale, l’acconto non è dovuto e sarà pagato tutto in sede di saldo, a dicembre. Un altro effetto di tale disciplina è che le innovazioni introdotte con la riforma del 2020, di regola, troveranno applicazione solo in sede di saldo. È il caso, tra l’altro, del genitore assegnatario della dimora familiare senza affidamento dei figli. Fino al 2019, l’immobile assegnato era esente, da quest’anno diventa imponibile, poiché l’esonero è strettamente correlato all’affidamento dei figli.

In alcuni casi, l’applicazione letterale del metodo “storico” di liquidazione dell’acconto determina evidenti incongruenze. Si pensi all’eventualità in cui il contribuente aveva un immobile posseduto tutto il 2019, venduto a gennaio 2020. O ancora all’ipotesi della seconda casa che nell’anno in corso è diventata abitazione principale. Adottando il criterio legale si giunge a versare una somma che poi dovrà essere restituita. Per questo motivo, la circolare n. 1/2020 del Mef ammette che, in tutti i casi in cui la situazione immobiliare sia variata rispetto all’anno scorso, il soggetto passivo può scegliere tra il metodo “storico” e il metodo “previsionale”.

Quest’ultimo, destinato peraltro a essere applicato dal 2021, consiste nel calcolare l’imposta sulla base della situazione immobiliare verificatasi nel primo semestre dell’anno. Così, nel caso dell’immobile ceduto a gennaio 2020, si pagherà solo un mese di imposta, mentre se l’ex seconda casa è diventata abitazione principale al 2 gennaio, non si versa nulla. Il Mef ha inoltre precisato che tutte le volte che si applica il metodo previsionale l’aliquota da utilizzare è quella dell’Imu 2019, senza aggiungere la Tasi. Qualora l’interessato conosca l’aliquota deliberata per l’anno in corso e questa sia stata anche pubblicata, egli potrà utilizzarla già in sede di acconto.

Naturalmente, i contribuenti possono pagare in un’unica soluzione se conoscono le deliberazioni adottate dalle amministrazioni comunali, che hanno comunque tempo per effettuare le scelte su aliquote e detrazioni fino al 31 luglio.

Le regole dell’imposta. Sono soggetti all’Imu fabbricati, aree edificabili e terreni agricoli. Non devono, invece, versare l’imposta i titolari di immobili destinati a prima casa ed equiparati, con relative pertinenze, per i quali è prevista l’esenzione. Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente. Per pertinenze dell’abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle suddette categorie catastali, anche se iscritte in catasto unitamente all’immobile adibito ad abitazione.

Non fruiscono dell’esenzione i fabbricati iscritti nelle categorie catastali A1, A8 e A9, vale a dire immobili di lusso, ville e castelli, per i quali il trattamento agevolato è limitato all’aliquota e alla detrazione. Per queste unità immobiliari è prevista l’applicazione di una aliquota ridotta del 5 per mille, che i comuni possono aumentare o diminuire di 1 punto percentuale, e una detrazione di 200 euro. La suddetta aliquota può essere ridotta senza limiti e perfino azzerata.

Mentre l’aliquota di base per tutti gli altri immobili, a partire dalle seconde case, è fissata nella misura dell’8,6 per mille, che gli enti locali possono aumentare fino al 10,6 per mille. L’aliquota, poi, può essere ulteriormente aumentata fino all’11,4 per mille, ma solo dagli enti locali che intendono confermare la ex maggiorazione Tasi, già deliberata dai consigli comunali negli anni precedenti nella misura massima dello 0,8 per mille. I soggetti obbligati al pagamento devono mettere mano al portafoglio e versare il 50% dell’imposta versata nel 2019 per Imu e Tasi.

Il resto dovrà essere pagato entro il 16 dicembre, a conguaglio di quanto dovuto per l’intero anno, facendo riferimento a aliquote e detrazioni deliberate per il 2020. I comuni hanno tempo fino al prossimo 31 luglio per deliberare aliquote, tariffe, detrazioni, riduzioni, per adottare i regolamenti sulle entrate e per approvare il bilancio di previsione. Va ricordato che dal 2016 è stata estesa l’esenzione Imu ai terreni agricoli. L’articolo 1, comma 13, della legge di Stabilità 2016 (208/2015) stabilisce che non sono tenuti al pagamento dell’imposta, oltre ai titolari di terreni montani o di collina ubicati nei comuni elencati nella circolare del Ministero dell’economia e delle finanze 9/1993, quelli posseduti e condotti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, a prescindere dalla loro ubicazione, quelli ubicati nelle isole minori, nonché quelli a immutabile destinazione agro-silvo-pastorale a proprietà collettiva indivisibile.

I terreni agricoli che non rientrano nei confini dell’esenzione sono ovviamente soggetti al pagamento del tributo. Per terreni agricoli s’intendono quello iscritti in catasto, a qualsiasi uso destinati. Rientrano in questa nozione anche i terreni che non sono coltivati. L’aliquota di base per i terreni agricoli è pari al 7,6 per mille, che i comuni possono aumentare sino al 10,6 per mille o diminuire fino all’azzeramento. Va posto in rilievo che, essendo stata abolita la Tasi, sia i proprietari degli immobili che gli inquilini dal 2020 non sono più tenuti a versare l’imposta sui servizi indivisibili. I versamenti. Per la nuova Imu le amministrazioni locali hanno il potere di prorogare il temine per il pagamento, visto che non è stato concesso alcun rinvio con legge statale. In effetti, il comma 777 della legge 160/2019 dà all’ente la facoltà di differire i termini di versamento del tributo, per situazioni particolari.

Nuova Imu – Niente acconto per tutte le attività ricettive di proprietà

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I titolari degli immobili destinati alle attività ricettive sono esentati dal pagamento dell’acconto Imu. L’esonero dal pagamento non è limitato a alberghi, pensioni e lidi, come previsto nella versione dello schema del decreto legge Rilancio, prima dell’approvazione definitiva, ma si estende a tutte le attività ricettive, purché il gestore sia anche proprietario dell’immobile. È stato ampliato l’elenco dei beneficiari dell’esenzione dal versamento della prima rata Imu. Dell’abolizione dell’acconto fruiscono, infatti, anche gli agriturismi, i villaggi turistici, gli ostelli della gioventù, i campeggi, gli stabilimenti termali, i residence, i bed e breakfast, le case e gli appartamenti per vacanze, gli affittacamere e, in generale, tutti gli immobili destinati a attività ricettive.

Esenzione a largo spettro per gli immobili del comparto del turismo, per effetto del decreto Rilancio.

L’articolo ­177 del Dl 34/2020 ha previsto l’esenzione dall’acconto Imu per una pluralità di fattispecie accomunate dal fatto di rientrare in settori di attività particolarmente colpiti dalla crisi epidemiologica.

Si stabilisce in particolare che sono esenti le seguenti tipologie:

  1. immobili adibiti a stabilimenti balneari marittimi, lacuali e fluviali nonché immobili degli stabilimenti termali;
  2. gli immobili della categoria catastale D/2 (alberghi e pensioni), immobili degli agriturismo, dei villaggi turistici, degli ostelli della gioventù, dei rifugi di montagna, delle colonie marine e montane, degli affittacamere per brevi soggiorni, delle case ed appartamenti per vacanze, dei bed & breakfast, dei residence e dei campeggi, a condizione che i proprietari coincidano con i gestori.

Come si vede, per la generalità dei casi sopra elencati, con la sola esclusione degli immobili D/2, l’agevolazione non è condizionata alla categoria catastale di appartenenza dell’unità, ma alla sua destinazione d’uso.

Ne deriva che, in caso di controllo, la verifica si svolgerà in termini di corretto assolvimento dell’onere della prova, in capo al contribuente. In taluni casi, la prova potrebbe non essere semplice da dare. Si tratta delle ipotesi in cui l’attività si svolge con modalità non necessariamente imprenditoriali, come accade per le case vacanza e per i bed & breafast. In questa eventualità, si potrebbe far riferimento alla pubblicizzazione dell’attività attraverso Internet oppure per mezzo dell’inserimento in portali gestiti da intermediari professionali, quali Airbnb.

Un altro ostacolo di non poco conto riguarda la prescrizione secondo cui il gestore deve coincidere con il proprietario. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi del fabbricato in proprietà del coniuge del gestore. O ancora, all’immobile in proprietà del socio titolare della quota quasi totalitaria della società esercente l’attività alberghiera. In queste situazioni e altre analoghe, l’esenzione, a stretto rigore, non compete, per difetto di identità soggettiva tra soggetto passivo Imu ed esercente l’impresa, malgrado gli effetti della crisi si riversino senz’altro anche sul primo.

L’esenzione inoltre riguarda il versamento dell’acconto di giugno. Va tuttavia ricordato che, per effetto della regola speciale della legge di bilancio 2020, il primo acconto della nuova imposta non è commisurato, di norma, al possesso del primo semestre, ma è pari alla metà di quanto complessivamente versato nel 2019. Ne consegue che, in molti casi, il contribuente potrebbe trovarsi nella condizione di dover pagare a saldo tutto o parte delle somme teoricamente esenti.

L’ipotesi più eclatante riguarda le attività iniziate nei primi mesi del 2020.

Per queste, che pure sono particolarmente colpite dalla crisi, se l’immobile è stato acquistato nell’anno in corso, in teoria non è dovuto acconto e quindi esse dovrebbero pagare l’intero importo a saldo. Ma si pensi anche all’immobile acquistato alla fine del 2019, per il quale l’importo dell’acconto teorico risulta molto basso. Occorrerebbe stabilire meglio, in sede di conversione del decreto, che l’esenzione riguarda, in effetti, l’intero periodo di possesso maturato nel primo semestre.

La formulazione crea dei problemi perché chi ha venduto parte dei suoi immobili a dicembre, dovrà corrispondere un acconto più elevato, mentre chi ha acquistato nel corso del primo semestre 2020 non dovrà versare nulla.

Ovviamente, nulla dovrà essere versato da chi ha venduto tutto nel corso del 2019. La normativa consente anche di versare l’intero importo dovuto nell’anno con la rata di acconto, opzione questa che può essere utile se il Comune ha già deliberato le aliquote 2020. Ma occorre ricordare che il termine per l’approvazione delle aliquote è oggi fissato al 31 luglio 2020. L’Imu è dovuta per anni solari proporzionalmente alla quota e ai mesi dell’anno nei quali si è protratto il possesso. La nuova disciplina cambia le regole di calcolo del mese. Mentre in passato il mese si considerava per intero se il possesso si era protratto per almeno 15 giorni, dal 2020 il mese durante il quale il possesso si è protratto per più della metà dei giorni di cui il mese stesso è composto è computato per intero. Inoltre, è precisato che il giorno di trasferimento del possesso si computa in capo all’acquirente e l’imposta del mese del trasferimento resta interamente a suo carico nel caso in cui i giorni di possesso risultino uguali a quelli del cedente.

D’altro canto, a regime, il primo acconto è pari, per l’appunto, all’imposta dovuta nel primo semestre, calcolata sulla base delle aliquote dell’anno precedente.

Nuova Imu – L’obbligo dichiarativo

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Nella nuova Imu l’obbligo dichiarativo non è mai, di regola, elemento costitutivo del diritto a un’agevolazione. Anche nella parte in cui il comma 769 della legge n. 160/2019 stabilisce l’obbligo della presentazione della denuncia ai fini dell’applicazione di determinato benefici si è di fronte ad un mero obbligo informativo e non ad una condizione di decadenza degli stessi. Il Mef conferma dunque la configurazione di un ulteriore elemento di discontinuità rispetto alla vecchia Imu.

In realtà, anche in vigenza della precedente versione del tributo, la regola era che la dichiarazione non potesse mai condizionare il diritto a un’agevolazione. Tuttavia, ai sensi dell’articolo 2, comma 5 bis, Dl 102/2013, per alcune esenzioni (ad esempio immobili merce e alloggi sociali), era espressamente stabilito che l’applicazione delle stesse fosse subordinata alla presentazione della denuncia nei termini di legge, a pena di decadenza.

Nella nuova Imu, invece, è stato riproposto l’obbligo dichiarativo, limitatamente agli alloggi sociali, all’unità appartenente alle forze di Polizia, assimilata all’abitazione principale, e, a decorrere dal primo gennaio 2022, agli immobili merce, senza però disporre la sanzione della decadenza. È stato chiesto pertanto di sapere se il contribuente, pur non presentando la denuncia, avesse comunque diritto agli esoneri in questione. La risposta è stata positiva, proprio in ragione del fatto che nella formulazione vigente non si parla di decadenza. Ne consegue che, in caso di inadempimento del contribuente, troverà applicazione la sanzione minima di 50 euro, ma l’esenzione, in presenza dei requisiti di legge, competerà comunque.

Questo è comunque il criterio generale vigente anche nell’ambito del nuovo tributo. Così per esempio la riduzione a metà in caso di comodato gratuito ai parenti in linea retta e lo sconto del 25% dell’imposta valevole per gli immobili locati a canone concordato si applicano anche in assenza di dichiarazione del contribuente. In tali casi, qualora le informazioni non fossero già a disposizione del comune, l’onere della prova è in capo al contribuente, ben potendo l’ente locale limitarsi a contestare l’esistenza di una violazione dell’obbligo di pagamento.

L’unica eccezione dovrebbe essere rappresentata dalla riduzione a metà prevista per gli immobili inagibili o inabitabili. Per tale fattispecie, infatti, la norma di riferimento (art. 1, c 747, legge n. 160/2019) continua a utilizzare la formulazione di fabbricati “dichiarati” inagibili o inabitabili. Ne consegue che non è sufficiente che, di fatto, l’unità immobiliare lo sia ma occorre che lo stato di degrado del bene sia previamente comunicato al comune. Tanto, sempre che il comune non ne sia già a conoscenza in altro modo (ad esempio ordinanza di sgombero). In tema di fabbricati inagibili, si segnala infine l’espressa previsione secondo cui, qualora il contribuente non intenda avvalersi dell’ufficio tecnico comunale per accertare la situazione di legge, lo stesso deve produrre una perizia di parte.

Limitatamente, invece, ai casi in cui il possesso dell’immobile ha avuto inizio o sono intervenute variazioni nel corso del 2019, si ricorda che, ai sensi dell’art. 3-ter, D.L. n. 34 del 2019, il termine per la presentazione della dichiarazione è fissato al 31 dicembre 2020. Tale regime vale anche per quanto disposto dal successivo art. 3-quater che ha esonerato dall’obbligo dichiarativo nonché da qualsiasi altro onere di dichiarazione o comunicazione il possessore dell’immobile locato a canone concordato di cui alla L. 9 dicembre 1998, n. 431 o concesso in comodato gratuito alle condizioni prescritte dalla legge.

Nuova Imu – Tutte le agevolazioni concesse

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La normativa Imu prevede diverse tipologie di agevolazioni che comportano un pagamento ridotto o l’esonero dal versamento dell’imposta. Per esempio, per gli immobili concessi in uso gratuito a parenti in linea retta, entro il primo grado, e per quelli locati a canone concordato. Per i primi è prevista una riduzione del 50% della base imponibile. I beneficiari possono fruirne purché sussistano le condizioni richieste dalla norma.

Nello specifico l’articolo 1, comma 747, della legge di Bilancio 2020 (160/2019), dispone il comodante debba avere la residenza anagrafica e la dimora nel comune in cui è ubicato l’immobile concesso in comodato. Oltre all’immobile concesso in comodato, può essere titolare di un altro immobile nello stesso comune, che deve essere utilizzato come propria abitazione principale, purché non si tratti di un fabbricato di pregio (immobile di lusso, villa o castello).

Quest’ultimo requisito è imposto anche per l’unità immobiliare data in comodato. Il comodante può possedere anche altri immobili, a condizione però che non siano classificati tra quelli destinati a uso abitativo. Il beneficio si estende anche, in caso di morte del comodatario, al coniuge di quest’ultimo in presenza di figli minori. La riduzione del 50% della base imponibile si applica anche agli immobili di interesse storico e artistico, nonché ai fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili, e di fatto non utilizzati, ma solo per il periodo dell’anno durante il quale si trovano in questo stato. Hanno diritto a un trattamento agevolato anche gli immobili locati a canone concordato.

Il comma 760 della citata legge 160/2019 ha confermato lo sconto del 25%. L’imposta, infatti, è ridotta al 75% del dovuto. Il beneficio fiscale spetta a prescindere dal fatto che i comuni abbiano previsto per questi fabbricati un’aliquota agevolata. Lo sconto d’imposta, dunque, è cumulabile con l’aliquota ridotta. Con la nuova Imu trova conferma l’esenzione totale o parziale per gli immobili degli enti non profit, in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti dalla legge.

Il comma 759 stabilisce che sono esenti dall’imposta gli immobili posseduti e utilizzati dagli enti che li destinino esclusivamente allo svolgimento, con modalità non commerciali, delle attività sanitarie, ricettive, didattiche e via dicendo. Si applica, inoltre, l’esenzione parziale qualora solo una parte dell’immobile sia destinata allo svolgimento delle attività con modalità non commerciali.

Nuova Imu – Abitazioni principali: la dimora è decisiva per l’esenzione IMU

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Anche se due coniugi risiedono in comuni diversi, anziché nello stesso comune, non spetta l’esenzione Imu sull’abitazione principale a entrambi i coniugi, poiché l’agevolazione può essere riconosciuta una sola volta al nucleo familiare, a meno che i due coniugi non risultino formalmente separati o divorziati (ordinanze 4166 e 4170 del 19 febbraio 2020, la Corte di Cassazione (Civile, Sez.VI)).

Sebbene riferite alla “vecchia” IMU, le ordinanze citate assumono rilevanza anche con la “nuova” IMU in quanto la definizione di abitazione principale è rimasta invariata.

Anche l’art. 1, comma 741, lett. b), della legge di bilancio 2020, prevede infatti che “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un sol o immobile. Per pertinenze dell’abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo;”

Ciò comporta, la necessità che in riferimento alla stessa unità immobiliare tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare non solo vi dimorino stabilmente, ma vi risiedano anche anagraficamente.

In altre parole, “in caso di “spacchettamento” della famiglia non è possibile riconoscere l’abitazione principale.”

Nuova Imu – Proroga pagamenti

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L’acconto Imu può essere differito anche con delibera di giunta, purché la stessa sia poi ratificata dal consiglio comunale. Non può invece essere prorogato il termine di pagamento della quota statale sui fabbricati D, trattandosi di entrata sottratta alla disponibilità degli enti. I comuni inoltre non possono disapplicare sanzioni e interessi, in assenza di una disposizione statale di autorizzazione. La risoluzione n. 5 del Mef fornisce indicazioni in ordine alla imminente scadenza del 16 giugno.

Il documento di prassi rileva, in via del tutto generale, come la tematica dei termini di versamento dei tributi rientri senz’altro nei poteri regolamentari dei comuni, non appartenendo ad alcuna delle materie riservate al legislatore statale (articolo 52, decreto legislativo 446/1997).

Sotto il profilo della individuazione degli organi competenti, la risoluzione apre alla possibilità di adottare, almeno inizialmente, una deliberazione di giunta che può essere assunta con una tempistica molto più breve di quella consiliare. Si può così consentire ai cittadini di conoscere in anticipo, rispetto alla scadenza di legge, le determinazioni dell’ente locale. La delibera dovrà poi essere necessariamente ratificata dal consiglio comunale che dovrà pronunciarsi entro il 31 luglio, termine di approvazione dei bilanci di previsione.

Non è invece ammissibile la delega alla giunta comunale del potere di approvazione delle aliquote, seppure con deliberazione consiliare. Questo perché non è possibile delegare un potere ad un soggetto che istituzionalmente ne è privo.

Per ciò che concerne l’Imu, l’articolo 1, comma 762, legge n. 160/2019, stabilisce le scadenze di versamento in deroga ai poteri regolamentari. Di norma, quindi, le suddette scadenze non sono modificabili. Tuttavia, il successivo comma 777, lettera b), prevede la possibilità di differire i termini se vi sono “situazioni particolari” e tra queste può senz’altro rientrare l’emergenza epidemiologica in atto. Ne deriva che i comuni possono posticipare la scadenza del 16 giugno, ma non con riferimento alla quota statale sui fabbricati di categoria catastale D. Tale quota, pari allo 0,76%, non è infatti né manovrabile né disponibile ai poteri regolamentari dei comuni, essendo di pertinenza dell’Erario.

Secondo il Mef, inoltre, il comune non potrebbe lasciar ferma la scadenza del 16 giugno, deliberando l’inapplicabilità di sanzioni e interessi per pagamenti avvenuti, ad esempio, entro il 30 settembre. Ciò perché, trattandosi di materia coperta dalla riserva di legge, agli stessi non sarebbe possibile rinunciare integralmente. Sul punto, il Mef ricorda il potere di deliberare ulteriori fattispecie di ravvedimento e dunque ammette la facoltà di ridurre le sanzioni ma esclude che ciò possa spingersi sino all’azzeramento. La risoluzione trascura tuttavia che la norma richiamata (articolo 1, comma 775, legge n. 160/2019) autorizza espressamente gli enti locali a deliberare anche circostanze “esimenti” e non solo “attenuanti”. Ne consegue che la decisione di disapplicare totalmente le sanzioni, motivata per l’appunto da circostanze eccezionali, appare senz’altro legittima.

Tuttavia la tesi che non si possa differire la quota statale non trova alcun fondamento giuridico, in ragione del fatto che l’Imu è unica e si versa lo stesso giorno. Né la circostanza che una “quota” del gettito sia riservata allo Stato – da quantificarsi tramite l’applicazione dell’aliquota del 7,6 per mille sui fabbricati di categoria D – rende tale gettito come derivante da un tributo autonomo, sul quale sia precluso qualsiasi intervento regolamentare. Come detto, l’unica preclusione è nell’impossibilità di comprimere la quantificazione della riserva di gettito spettante allo Stato.

La circostanza che l’Imu è unica e che il versamento, della quota comunale e della quota riservata allo Stato, deve essere effettuato contestualmente, porta a ritenere che il Comune nel differire la quota comunale dovrebbe necessariamente differire anche la quota statale, anche per ragioni di semplificazione adempimentale, non potendosi pretendere dal titolare di fabbricati D due versamenti in date diverse. A ciò si aggiunga, che lo stesso ministero, nelle linee guida per la definizione dei regolamenti comunali relativi alla soppressa Imu, per la quale non era prevista la possibilità di differimento, ebbe a rimarcare che a differenza dell’Ici non era possibile differire il versamento, non essendo stato richiamato l’articolo 59 del Dlgs 446 del 1997, e anche in ragione del fatto che il versamento della quota riservata allo Stato «deve avvenire contestualmente al versamento della quota d’imposta spettante al comune». Accedendo alle stesse argomentazioni offerte dal ministero, e considerando che a differenza della soppressa Imu ora è prevista espressamente la facoltà di differimento, si conclude, nuovamente, per l’inevitabile differimento della quota statale in caso di intervento sulla quota comunale.

Nella risoluzione ministeriale nulla si argomenta in merito all’applicabilità del comma 775 sulle circostanze esimenti in materia di violazioni dell’Imu. In realtà, l’attribuzione al Comune di definire queste circostanze, rientra nella più generale potestà regolamentare in tema di sanzioni prevista dall’articolo 50 della legge n. 449 del 1997, il quale rinvia all’articolo 3, comma 133, della legge n. 662 del 1996, comma questo, che alla lettera l) permette l’introduzione di “esimenti, attenuanti e aggravanti strutturate in modo da incentivare gli adempimenti tardivi”, e la moratoria non è altro che un incentivo all’adempimento tardivo.

Esimente vuol dire non applicazione di sanzioni. D’altro canto, escludere la possibilità di disapplicazione delle sanzioni priverebbe lo strumento di qualsiasi utilità ed efficacia, posto che il contribuente tramite il ravvedimento operoso può già autonomamente, e legittimamente, effettuare versamenti volontari tardivi con applicazioni di sanzioni estremamente ridotte ed applicazione del tasso d’interesse legale, oggi fissato allo 0,05%. Quindi il comma 775 autorizza legittimamente la disapplicazione delle sanzioni e anche degli interessi.

Appaiono poi totalmente inconferenti le pronunce della Corte dei conti richiamate dalla risoluzione, in quanto queste riguardano ipotesi di transazioni, che ovviamente sono illegittime in quanto interessi e sanzioni sono indisponibili al pari dell’imposta. Ma il principio, come ricordano le Corte dei conti, trova parziale deroga nelle ipotesi espressamente contemplate dalla normativa, come l’accertamento con adesione o la conciliazione giudiziale, o, si deve aggiungere, il comma 775 della legge 160/2019.

Va infine rilevata la poca linearità delle esternalizzazioni ministeriali. Basti considerare che in tema di condoni comunali, che comportano l’azzeramento di sanzioni e interessi, il ministero ha costantemente ritenuto che questi possano essere deliberati dal Comune autonomamente in base alla potestà di cui all’articolo 52 del Dlgs 446/1997 (nota prot. 23873/2012).

La risoluzione evidenzia che «si ritiene percorribile la possibilità di procedere in tal senso mediante il ricorso alla delibera di giunta, sicuramente giustificato dalla situazione emergenziale in atto, con la precisazione però che tale provvedimento dovrà essere successivamente oggetto di espressa ratifica da parte del consiglio comunale. Tale impostazione del resto è ammessa pacificamente dalla giurisprudenza. Il Consiglio di stato, infatti, nelle sentenze n. 4435 e 4436 del 2018 ha considerato valida la delibera di giunta che approva le aliquote sui tributi purché ratificata, anche tardivamente, dal consiglio comunale»

Non si deve dimenticare che il dlgs 267/2000, e prima ancora la legge 142/1990, ha eliminato totalmente e per sempre l’adozione di deliberazioni di competenza consiliare da parte della giunta salvo ratifica.

Le pronunce di Palazzo Spada sono da considerare in ogni caso erronee perché in frontale contrasto con la legge che consente il meccanismo della ratifica solo ed esclusivamente per le deliberazioni di variazione del bilancio in via d’urgenza.

Il Mef, per altro, con la risoluzione equivoca tra ratifica e convalida. La ratifica vera e propria deve essere un atto di iniziativa dell’organo competente, volto a correggere il vizio di competenza derivante dall’adozione dell’atto da parte dell’organo incompetente.

Nel caso degli enti locali, però, il 267/2000 regola un particolare tipo di ratifica, quella appunto della variazione di bilancio: in questo caso, la giunta non è incompetente, ma temporaneamente competente, finché il consiglio non provveda entro i successivi 60 giorni con un atto che è sostanzialmente di controllo sull’opportunità della variazione stessa.

Data la distinzione rigorosa delle competenze tra consiglio e giunta imposta dalla normativa vigente da 30 anni, la ratifica sarebbe ammissibile solo laddove la giunta adottasse una deliberazione in realtà di competenza consiliare per mero errore. Applicare, invece, intenzionalmente lo schema di una delibera illegittima poi sanata, significa incidere in modo del tutto illegittimo sull’inviolabile ordine delle competenze disposto dalla legge.

Nuova Imu – Il tax credit

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L’uso diretto del bonus è stato sbloccato sabato 7 giugno dalla risoluzione 32/E, che ha istituito il codice tributo “6920” da indicare nel modello F24.

L’impatto del credito, comunque, può variare molto. In base al canone, innanzitutto. Ma anche alla rendita catastale, da cui dipende l’Imu.

Non è detto, poi, che il bonus sia sempre al massimo. Per avere il 60% sul canone di marzo, aprile e maggio, serve un fatturato dimezzato in ognuno dei tre mesi; e bisogna aver pagato il canone (o comunque farlo entro il 31 dicembre). Inoltre, il credito si riduce al 30% per i contratti a prestazioni complesse e l’affitto d’azienda, che è molto diffuso per i negozi nei centri commerciali, anche se spesso “nasconde” una normale locazione (si veda anche l’articolo in basso).

Le Entrate (circolare 14/E) hanno chiarito che, se l’inquilino cede il credito al locatore, può “scontarlo” dal canone dovuto. Così, su un canone – poniamo – di 1.000, si può versare 400 in denaro e per il resto trasferire il bonus. «È un’apertura positiva, che va di pari passo con quella che consente di applicare il credito a tutte le categorie catastali, comprese le abitazioni affittate come studi professionali», osserva Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia.

Il decreto Rilancio condiziona però la cessione a un’opzione telematica legata a un provvedimento delle Entrate (articolo 122). Perciò, i proprietari che vogliono acquisire il bonus potrebbero temporeggiare qualche giorno rispetto alla scadenza dell’acconto Imu di domani, 16 giugno (se non prorogata dal Comune), magari contando sulla riduzione delle sanzioni.

Nuova Imu – Più soggetti passivi

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Un’altra novità di rilievo è quella secondo cui «in presenza di più soggetti passivi con riferimento a un medesimo immobile ognuno è titolare di un’autonoma obbligazione tributaria e nell’applicazione dell’imposta si tiene conto degli elementi soggettivi ed oggettivi riferiti ad ogni singola quota di possesso, anche nei casi di applicazione delle esenzioni o agevolazioni» (comma 743).

Il comma 743 della legge 160/2019 dispone che «in presenza di più soggetti passivi con riferimento ad un medesimo immobile, ognuno è titolare di un’autonoma obbligazione tributaria e nell’applicazione dell’imposta si tiene conto degli elementi soggettivi ed oggettivi riferiti ad ogni singola quota di possesso, anche nei casi di applicazione delle esenzioni o agevolazioni».

Tra gli altri soggetti tenuti al pagamento dell’Imu si segnalano:

  • l’amministratore del bene in caso di multiproprietà;
  • l’amministratore del condominio in caso di parti comuni dell’edificio accatastate in via autonoma;
  • il curatore fallimentare o il commissario liquidatore per gli immobili compresi nel fallimento o nella procedura coatta amministrativa (in tal caso il versamento va effettuato al termine del maxi-periodo fallimentare, entro tre mesi dal decreto di trasferimento degli immobili).

La precisazione normativa è di fondamentale importanza perché supera alcune interpretazioni fatte proprie anche dalla giurisprudenza di legittimità, ma basate su una mancata lettura sistematica della disciplina – in base alle quali l’Imu deve essere corrisposta allo stesso modo da tutti i comproprietari del medesimo oggetto imponibile.

Il caso principale è quello delle aree fabbricabili in comproprietà tra coltivatori e non coltivatori, sul quale si registrano numerose pronunce di legittimità, a partire dalla sentenza n. 15566/2010, che ha poi trovato numerose conferme (da ultimo Cassazione n. 18032/2019e n. 23591/2019). Ad avviso della Corte «la qualità agricola di un terreno pur potenzialmente edificabile posseduto e condotto da uno dei comproprietari avente i requisiti soggettivi e oggettivi di cui al D.lgs. n. 504 del 1992, artt. 2, comma 1, lett b), e art. 9, comma 1, trova applicazione anche in favore degli altri comproprietari che non esercitano l’attività agricola, in quanto la destinazione agricola di un’area è incompatibile con la possibilità dello sfruttamento edilizio della stessa». Questa previsione, si ritiene, dipenda da un errore di fondo, ovvero quello di ritenere che esista una sorta di obbligazione unitaria per il medesimo oggetto imponibile. Si pensi all’ipotesi di un fabbricato posseduto da due soggetti ed utilizzato come abitazione principale solo da uno. Per il medesimo oggetto imponibile il comproprietario che lo utilizza come propria abitazione principale sarà esentato da Imu, mentre l’altro comproprietario sarà assoggettato ordinariamente.

Nel caso delle aree in comproprietà la ratio della norma è quella di agevolare solo una determinata categoria di soggetti, ovvero i coltivatori professionali che possiedono (nei limiti della loro quota di possesso) e conducono i terreni agricoli. Diversamente, occorrerebbe riconoscere le agevolazioni anche per i terreni dati in affitto ai coltivatori professionali, perché anche in questo caso vi sarebbe una destinazione ad attività agricola che (per usare le parole della Corte) determina «una situazione incompatibile con la possibilità dello sfruttamento edilizio dell’area, avente carattere oggettivo».

Nuova Imu – Assegnazione della casa familiare in sede di separazione o divorzio

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In caso di assegnazione della casa familiare in sede di separazione o divorzio, la soggettività passiva dell’assegnatario opera solo se ci sono figli minori. In caso contrario, si guarda solo alla titolarità formale del bene, anche ai fini dell’applicazione dell’esenzione da imposta. La nuova Imu modifica le regole applicabili in presenza di immobili assegnati in esito alla rottura del vincolo coniugale. Al riguardo, si ricorda che nella vecchia Imu, in forza dell’articolo 4 del decreto legge 16/12, l’attribuzione dell’immobile in esame si considerava fatta a titolo di diritto di abitazione. Inoltre, ai sensi dell’articolo 13, comma 2 del decreto legge 201/11, la casa coniugale assegnata con provvedimento del giudice era sempre esente da imposta.

Nell’ambito del nuovo tributo, è mantenuta l’esenzione dell’abitazione principale e delle fattispecie ad essa equiparate. Tra queste ultime, è menzionata per l’appunto la casa familiare assegnata «al genitore affidatario dei figli», con provvedimento del giudice che «costituisce il diritto di abitazione in capo al genitore affidatario stesso». Nel comma 743, relativo ai soggetti passivi dell’imposta, tale concetto è ribadito, rilevandosi la qualifica di contribuente «in capo al genitore affidatario dei figli».

Ne consegue, in primo luogo, che, se vi sono figli minori, l’assegnazione con affidamento determina l’esenzione da imposta. Non è chiaro tuttavia se, allo scopo, occorrano i requisiti della residenza anagrafica e della dimora abituale. Il dubbio nasce perché nelle altre fattispecie di equiparazione all’abitazione principale (vedi proprietà degli appartenenti alle forze armate), l’irrilevanza dei requisiti suddetti è espressamente disposta.

Nulla viene invece dettato per l’ipotesi in discussione. In ogni caso, soggettività e esenzione conservano validità sino a quando è efficace il provvedimento del giudice. Inoltre, in mancanza di figli minori, la soggettività segue i criteri ordinari. Ciò significa che se l’immobile è di proprietà del coniuge non assegnatario allora:

  1. il bene fa capo solo a questi e soprattutto;
  2. si perde l’esenzione, con l’effetto che l’unità sarà assoggettata a Imu.

Ipotizzando invece il caso di contitolarità dei coniugi, occorrerà guardare alle singole quote di possesso. Pertanto, la quota del non assegnatario sarà imponibile, mentre quella dell’utilizzatore, laddove questi abbia residenza anagrafica e dimora nella casa medesima, sarà esente alla stregua di abitazione principale.

Nuova Imu – Genitore affidatario

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La nuova Imu ha introdotto la figura del “genitore affidatario” in sostituzione del “coniuge assegnatario”.

La normativa considera abitazione principale «la casa familiare assegnata al genitore affidatario dei figli, a seguito di provvedimento del giudice che costituisce altresì, ai soli fini dell’applicazione dell’imposta, il diritto di abitazione in capo al genitore affidatario stesso».

Le disposizioni in merito all’assegnazione della casa familiare riguardano i figli minori (articolo 337‑-sexies Codice civile) e i figli maggiorenni portatori di handicap grave (articolo 337‑septies Codice civile).

L’assimilazione non opera, invece, in presenza di figli maggiorenni non economicamente

autosufficienti, per i quali il mantenimento della casa familiare avviene non in virtù della qualifica di “genitore affidatario”, ma in ragione degli obblighi economico patrimoniali dei genitori, a nulla rilevando che si tratti di figli fiscalmente “a carico”.

La nuova formulazione si trascina parte dei problemi registrati con la figura dell’ex coniuge assegnatario, visto che manca la precisazione che l’assegnazione della soggettività passiva opera nei limiti della quota di possesso del genitore non affidatario. Anche per il genitore affidatario non è previsto un obbligo di residenza e dimora e l’assimilazione non opera in caso di abitazioni di lusso, di cui alle categorie catastali A/1­, A/8 e A/9. Nulla è scritto per le pertinenze, ma anche queste accedono al beneficio fiscale previsto per l’abitazione cui pertengono.

Nuova Imu – I soggetti Aire

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Una prima questione riguarda la mancata riproposizione, nella nuova disciplina, dell’assimilazione all’abitazione principale della casa di proprietà dei soggetti Aire, pensionati all’estero, non locata né concessa in comodato. È l’agevolazione introdotta a partire dal 2015 dal Dl 47/2014, che ha modificato l’articolo 13 comma 2 del Dl 201/2011 convertito in L. 22 dicembre 2011, n. 214. Siffatta disposizione è stata, poi, ripresa, dall’art. 9-bis, D.L. 28 marzo 2014, n. 47, convertito in L. 23 maggio 2014, n. 80, il quale, al comma 1°, stabilisce quanto segue: “A partire dall’anno 2015 è considerata direttamente adibita ad abitazione principale una ed una sola unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato e iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE), già pensionati nei rispettivi Paesi di residenza, a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata o data in comodato d’uso”. Quindi, dal 2015, per gli AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’estero, istituita con la L. 27 ottobre 1988, n. 470), l’immobile in Italia si poteva considerare abitazione principale (e, quindi, esente da IMU) solo se si è pensionati nello Stato estero di residenza e con pensione rilasciata dallo stesso Stato estero. Se si è pensionati in Italia, ma si risiede all’estero, non è possibile considerare l’immobile come abitazione principale. Per tutti gli altri iscritti AIRE, qualunque immobile posseduto in Italia (abitativo o non abitativo) è, di fatto, un normale immobile soggetto ad aliquota ordinaria deliberata dal Comune, in cui l’immobile è ubicato.

Il ministero è già intervenuto in passato per chiarire alcuni aspetti applicativi, evidenziando tra l’altro che l’agevolazione scattava anche in presenza di doppia pensione (italiana ed estera) e che il Paese erogante l’assegno doveva coincidere con il Paese di residenza del soggetto (l’agevolazione non c’era, ad esempio, per il contribuente con pensione italo-svizzera residente in Francia), non essendo peraltro necessario che l’immobile fosse ubicato nello stesso Comune di iscrizione all’Aire (risoluzione n. 6/Df del 26/6/2015). Inoltre, il cittadino Aire non pagava l’Imu anche se possedeva più immobili, ma in tal caso doveva scegliere per quale immobile applicare l’agevolazione (risoluzione n. 10/Df del 5/11/2015). Ora il dipartimento delle Finanze chiarisce che dal 2020 questa agevolazione non è più applicabile perché è stata soppressa la norma che la prevedeva, peraltro soggetta a una procedura di infrazione comunitaria.

Ora, su tale assetto normativo, interviene l’art. 1, comma 780, della già indicata L. 27 dicembre 2019, n. 160, il quale stabilisce, fra l’altro, quanto segue: “Sono altresì abrogate le disposizioni incompatibili con l’IMU disciplinata dalla presente legge”. Si tratta di un’importante disposizione normativa, la quale dispone un’abrogazione implicita di tutte le norme di esenzione, totale o parziale, precedentemente previste e che non siano state oggetto di un’espressa conferma in sede di nuova disciplina di settore (L. 27 dicembre 2019, n. 160, art. 1, commi 739-783).

L’agevolazione prevista per i cittadini residenti all’estero e titolari di una pensione rilasciata dal medesimo Stato estero non risulta essere stata riproposta nella predetta disciplina della nuova IMU. Conseguentemente:

  • deve considerarsi abrogato il solo comma 1°, dell’art. 9-bis, D.L. 28 marzo 2014, n. 47, convertito in L. 23 maggio 2014, n. 80, in ragione del fatto che si “occupava” solo di IMU (vecchia disciplina);
  • viceversa, gli altri due commi dell’art. 9-bis sono da considerare come non abrogati;
  • gli italiani, residenti all’estero e titolari di una pensione rilasciata dal medesimo Stato estero, dovranno corrispondere la nuova IMU.

Quindi dal 2020 i pensionati Aire non sono più esenti dall’Imu ma continuano a usufruire della riduzione Tari nella misura di due terzi in quanto la disposizione che la prevede (articolo 9-bis comma 2 Dl 47/2014) non è stata espressamente abrogata.

Nuova Imu – Anziani e disabili

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Confermata l’assimilazione all’abitazione principale dell’unità immobiliare posseduta da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero permanente, a condizione che la stessa non risulti locata. È un’agevolazione facoltativa, la cui introduzione è rimessa alla decisione dei singoli Comuni, che la legge di Bilancio 2020 ha confermato in maniera più estesa rispetto al passato in quanto non più limitata alla proprietà o all’usufrutto ma riferita al generico «possesso» dell’immobile. Il quesito posto al Mef riguardava la possibilità per i Comuni di regolamentare un’applicazione più restrittiva della norma, ad esempio prevedendo che l’abitazione in questione oltre a non essere locata non dovesse essere concessa in comodato.

Il dipartimento delle Finanze esclude però questa possibilità evidenziando che il legislatore ha rimesso all’autonomia dell’ente solo la scelta sull’applicazione o meno di tale disposizione. Non è neppure possibile superare l’ostacolo avvalendosi della potestà regolamentare prevista dall’articolo 52 del Dlgs 446/97, in presenza del divieto di intervenire sull’individuazione e la definizione delle fattispecie imponibili.

Nuova Imu – Imprenditori agricoli professionali

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La nuova Imu, introdotta con la legge di Bilancio 2020, limita infatti l’equiparazione ai terreni agricoli alla sola quota di possesso dei suddetti soggetti. Ai fini sia della vecchia che della nuova imposta comunale, le aree fabbricabili possedute e condotte da soggetti aventi la qualifica di imprenditori agricoli professionali (Iap) e di coltivatori diretti, iscritti alla previdenza agricola, se adibite all’utilizzo agro-silvo-pastorale, sono tassate come terreni agricoli. Se si considera che i terreni agricoli posseduti e condotti da Iap e da coltivatori diretti sono a loro volta sempre esenti da imposta, ovunque essi siano ubicati, è del tutto evidente che la suddetta equiparazione comporta, di fatto, l’esenzione dell’area posseduta.

La Cassazione (16636/2011), in vigenza della omologa previsione relativa all’Ici, ha in più occasioni esaminato il caso dell’area posseduta da una pluralità di comproprietari, dei quali solo alcuni rivestivano le qualifiche in esame. In proposito, è stato ritenuto che la natura di un bene immobile non potrebbe mutare a seconda del soggetto che ne è titolare. Di conseguenza, l’equiparazione al terreno agricolo operava per la totalità dei comproprietari, agricoltori e non.

Tale criterio è stato recepito anche nei documenti di prassi relativi alla vecchia Imu, stante la sostanziale omogeneità di disciplina rispetto all’Ici (circolare 3/2012 del Mef).

La nuova Imu ripropone in effetti la suddetta finzione giuridica, in linea di continuità con il passato, con la novità della espressa menzione delle società agricole aventi anch’esse la qualifica di Iap. Quest’ultima integrazione ha lo scopo di superare la resistenza dei Comuni all’applicazione dell’agevolazione in oggetto ai soggetti diversi dalle persone fisiche, nel presupposto che le società, in quanto tali, non sono iscritte alla previdenza. Va peraltro rilevato in proposito che anche per le società agricole l’esenzione di specie mantiene l’obbligo del doppio requisito della titolarità dell’area e della persistente conduzione della stessa. La novità più rilevante è tuttavia rappresentata da quanto dettato nel comma 743 della legge di Bilancio 2020. Vi si precisa che, in caso di contitolarità, ogni contribuente determina l’imposta di competenza sulla base degli elementi soggettivi e oggettivi «riferiti ad ogni singola quota di possesso, anche nei casi di applicazione delle esenzioni o agevolazioni».

Si stabilisce con chiarezza che le agevolazioni di uno dei soggetti passivi non possono estendersi agli altri che non presentino i requisiti di legge.

L’effetto di tale regola è che, nella fattispecie di cui si discute, in caso di comproprietà tra più contribuenti, dei quali solo alcuni sono soggetti Iap o coltivatori diretti, per tutti gli altri il bene sarà tassato come area fabbricabile. La sfera applicativa dell’agevolazione, dunque, si riduce sensibilmente. L’obbligo di pagamento dell’imposta per i contribuenti non agricoltori dovrebbe decorrere solo dal saldo di dicembre poiché alla scadenza di giugno si verserà la metà di quanto corrisposto nel 2019.

Nuova Imu – Immobili in comodato d’uso agli enti senza scopo di lucro

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L’esenzione totale o parziale per gli immobili degli enti non profit, in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti dalla legge, anche con la nuova Imu. L’articolo 1, comma 759, lettera g) della manovra di Bilancio 2020 (legge 160/2019) riconosce agli enti non commerciali il diritto all’esenzione per le attività svolte con modalità non commerciali.

Il comma 759 della legge di Bilancio 2020, infatti, dispone che sono esenti dall’imposta, per il periodo dell’anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte, gli immobili posseduti e utilizzati «dai soggetti di cui alla lettera i) del comma 1 dell’articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali delle attività previste nella medesima lettera i)». Si applica, inoltre, l’esenzione parziale qualora solo una parte dell’immobile sia destinata allo svolgimento delle attività con modalità non commerciali.

Gli immobili degli enti non profit, in base a quanto disposto dalla manovra di bilancio 2020, che richiama l’articolo 7, comma 1, lettera i) sopra citato, sono esonerati dal pagamento dell’Imu solo se sugli stessi vengono svolte le attività sanitarie, didattiche, ricreative, sportive, assistenziali, culturali e così via con modalità non commerciali. Nell’ambito delle attività sanitarie rientrano anche quelle destinate alla difesa ambientale, in quanto finalizzate a tutelare in senso ampio la salute.

Va ricordato che in seguito alle modifiche normative che sono intervenute sulla materia già da diversi anni, è stata riconosciuta anche l’esenzione parziale per questi enti. Questo beneficio non valeva invece per l’Ici. Per quest’ultimo tributo, in effetti, era richiesta la destinazione esclusiva dell’immobile per finalità non commerciali.

La disciplina Imu, che fino allo scorso anno si applicava anche alla Tasi, dà diritto all’esenzione anche qualora l’unità immobiliare abbia un’utilizzazione mista. L’agevolazione si applica solo sulla parte nella quale si svolge l’attività non commerciale, sempre che sia identificabile. La parte dell’immobile dotata di autonomia funzionale e reddituale permanente deve essere iscritta in catasto e la rendita produce effetti a partire dal 2013. Nel caso in cui non sia possibile accatastarla autonomamente, il beneficio fiscale spetta in proporzione all’utilizzazione non commerciale dell’immobile che deve risultare da apposita dichiarazione.

Requisito essenziale per fruire dell’esenzione è il possesso qualificato da parte dell’ente non profit. Per l’esonero non è sufficiente il possesso di fatto. Altrimenti l’agevolazione si estenderebbe al soggetto titolare. L’uso indiretto da parte dell’ente che non ne sia possessore non consente al proprietario di fruire dell’esenzione. L’esenzione esige l’identità soggettiva tra il possessore, ovvero il soggetto passivo delle imposte locali, e l’utilizzatore dell’immobile.

Al riguardo, la Corte costituzionale (ordinanze 429/2006 e 19/2007) ha stabilito che per fruire dell’esenzione l’ente non commerciale deve non solo utilizzare, ma anche possedere direttamente l’immobile. È richiesta una duplice condizione: l’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente possessore e l’esclusiva loro destinazione a attività peculiari che non siano produttive di reddito. Si ritiene che l’agevolazione non possa essere riconosciuta nel caso di utilizzazione indiretta.

I presupposti per l’agevolazione. Come già rilevato, rientrano nel concetto di attività sanitarie anche quelle svolte dagli enti che si occupano di controlli di acque, alimenti, bevande e ambienti di lavoro.

Sono attività finalizzate alla tutela ambientale, ma funzionali alla tutela della salute. Quindi, hanno diritto alle agevolazioni fiscali. Secondo la Cassazione (ordinanza 13811/2019), si tratta «di attività finalizzate alla tutela ambientale non come valore in sé, ma come luogo di vita delle persone e quindi funzionale alla tutela della salute».

Tutte le attività elencate dalla norma sopra citata devono essere svolte con modalità non commerciali. Per le attività sanitarie, che hanno formato molto spesso oggetto di contenzioso, il servizio può essere svolto in convenzione con una struttura pubblica. Ciononostante non si applica l’agevolazione ai fabbricati nei quali si svolge l’attività sanitaria, solo perché accreditati o convenzionati.

Non rileva neppure la destinazione degli utili eventualmente ricavati, che costituisce un momento successivo alla loro produzione e non fa venir meno il carattere commerciale dell’attività.

In realtà, la Cassazione (ordinanza 10754/2017) ha precisato che gli enti interessati sono soggetti al pagamento se non svolgono l’attività a titolo gratuito o con la richiesta di un importo simbolico. Peraltro, l’esenzione non spetta anche se le attività svolte operano in perdita, poiché si può esercitare un’impresa con modalità commerciali a prescindere dal risultato della gestione.

La convenzione con gli enti pubblici (Stato, regioni, enti locali) non esclude la logica del profitto e non conferma che l’obbiettivo perseguito sia quello di soddisfare bisogni socialmente rilevanti, che le strutture pubbliche non sono in grado di assicurare (ordinanza 3528/2018).

Condizione essenziale per fruire dell’esenzione è che per lo svolgimento delle suddette attività vengano richieste rette di importo simbolico e comunque non superiori alla metà rispetto alla media di quelle pretese dai soggetti che svolgono l’attività con modalità commerciali.

Per esempio le attività didattiche, che sono quelle dirette all’istruzione e alla formazione, si ritengono effettuate con modalità non commerciali solo se vengono rispettate le seguenti condizioni: a) l’attività è paritaria rispetto a quella statale e la scuola adotta un regolamento che garantisce la non discriminazione in fase di accettazione degli alunni; b) viene applicata la contrattazione collettiva al personale docente e non docente. Le attività ricettive, invece, devono avere una funzione strumentale, funzionale al soddisfacimento di bisogni di natura sociale.

La legge di Bilancio 2020 da un lato conferma l’esenzione dal tributo per gli immobili destinati all’attività istituzionale di tali enti e, dall’altro, introduce una nuova facoltà per gli enti locali, che potranno scegliere di agevolare le ipotesi di comodato. La manovra finanziaria si pone in scia con le agevolazioni introdotte per gli enti del Terzo settore (Ets) dalla riforma (Dlgs 117/2017). Per operatori e professionisti, quindi, si tratterà di valutare attentamente le misure di vantaggio attualmente riservate al mondo non profit e i criteri per accedervi.

Con riguardo all’esenzione, la legge di Bilancio (articolo 1, comma 759 legge 160/2019) ripropone la medesima agevolazione prevista dall’articolo 7, comma 1, lettera i) del Dlgs 504/1992, esonerando gli enti non commerciali dal pagamento dell’Imu laddove ricorrano precisi requisiti soggettivi e oggettivi, ossia che:

  • l’immobile sia posseduto o utilizzato da enti non commerciali di cui all’articolo 73, comma 1, lettera c) del Tuir;
  • lo stesso sia destinato, in via esclusiva, allo svolgimento, con modalità non commerciali, di una o più delle attività elencate all’articolo 7, comma 1, lettera a) del Dlgs 504/1992 (assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive).

Per individuare la natura dell’ente, non è quindi previsto un raffronto puntuale tra costi/ricavi delle attività svolte, ma solo alcuni parametri “indicativi” che potrebbero essere sintomatici della veste commerciale (articolo 149 Tuir). Una volta verificata la natura non commerciale dell’ente, l’esenzione Imu spetterà solo in relazione agli immobili utilizzati per lo svolgimento dell’attività con modalità non commerciali: in questo caso, bisognerà continuare a prestare attenzione ai criteri indicati nel Dm 200/2012.

Nuova Imu – Edilizia residenziale pubblica

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Questi immobili possono usufruire del regime di esonero previsto per gli alloggi sociali se rientranti nella definizione di cui al Dm 22/4/2008. Affermazione non del tutto persuasiva, in quanto pur volendo considerare gli alloggi ex Iacp alla stregua degli alloggi sociali, la previsione di cui al comma 749 della legge di Bilancio 2020 non troverebbe mai applicazione. In sostanza la posizione ministeriale finirebbe per svuotare di contenuto la norma dei 200 euro, che non avrebbe alcun senso né alcuna concreta applicazione. E non è un dettaglio di poco conto.

Nuova Imu – Terreni agricoli

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Sono confermate le esenzioni per i terreni agricoli posseduti e condotti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali (Iap), comprese le società agricole, per i terreni ubicati nei Comuni montani di cui alla circolare 9/1993, per quelli ubicati nelle isole minori e per quelli a immutabile destinazione agro-silvopastorale a proprietà indivisa e inusucapibile. Confermata anche la agevolazione secondo cui si considerano non fabbricabili i terreni posseduti e condotti da coltivatori diretti e Iap, comprese le società agricole.

La finzione giuridica che considera non fabbricabili i terreni posseduti e condotti dai CD o IAP, iscritti nella previdenza agricola, sui quali persiste l’utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l’esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura e all’allevamento di animali, continua a trovare applicazione, anche alla luce delle nuova IMU, non solo per i soggetti che rivestono la qualifica di CD o di IAP ma anche per tutti gli altri contitolari.

Il dipartimento delle finanze con la ris. n. 2/DF del 10 marzo 2020 fa presente che l’impostazione data nel quesito “non possa essere condivisa e che la finzione giuridica di cui alla lett. d) del comma 741 – che considera non fabbricabili i terreni posseduti e condotti dai CD o IAP di cui all’art. 1, D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99, iscritti nella previdenza agricola, comprese le società agricole di cui al comma 3 del medesimo art. 1, sui quali persiste l’utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l’esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura e all’allevamento di animali – continua a trovare applicazione, anche alla luce del comma 743, non solo per i soggetti che rivestono la qualifica di CD o di IAP ma anche per tutti gli altri contitolari”.

Alla luce del combinato disposto dei commi 741 e 743 dell’art. 1, L. 27 dicembre 2019, n. 160 (legge di Bilancio 2020), nel quesito vengono sollevati alcuni dubbi interpretativi stante il tenore letterale del comma 743, dal quale potrebbe derivare che nel caso di specie la finzione giuridica di non edificabilità di cui al comma 741 varrebbe solo per il CD o lo IAP e non anche per il comproprietario che non riveste tale qualifica, per il quale l’IMU dovrebbe determinarsi in base al valore venale del terreno. In sostanza, quindi, il terreno verrebbe a considerarsi area edificabile solo per alcuni soggetti.

Il richiamo alla giurisprudenza della Corte di Cassazione. Per il Dipartimento ad “ulteriore fondamento di tale assunto, occorre evidenziare che la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 17337 del 2018 ha confutato la tesi secondo cui la finzione giuridica non può estendersi a tutti i comproprietari “non qualificati” del terreno in quanto la stessa finirebbe per avere “natura soggettiva” e non più oggettiva come affermato dalla Corte stessa”. A questo proposito, “i Giudici hanno puntualizzato che tale soluzione “in realtà confonde e sovrappone l’applicazione di due norme che, nonostante talune interferenze, disciplinano situazioni diverse”, vale a dire:

  • quella di cui all’art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 504 del 1992 (ora comma 741 dell’art. 1 della L. n. 160 del 2019) “che ha riguardo alla qualificazione dell’area ai fini del criterio del calcolo della base imponibile […] ed ha carattere oggettivo”;
  • quella che “invece introduce agevolazioni, di carattere soggettivo, ai fini del calcolo dell’imposta in concreto applicabile”, previsione attualmente disciplinata dalla lett. a), del comma 758 dell’art. 1 della richiamata L. n. 160 del 2019 che contempla l’esenzione dall’IMU a favore dei comproprietari CD o IAP e dal comma 746 del medesimo art. 1 che trova invece applicazione nei confronti degli altri comproprietari, per i quali il valore dell’immobile, già qualificato come terreno agricolo, è costituito da quello ottenuto moltiplicando l’ammontare del reddito dominicale risultante in catasto, vigente al 1° gennaio dell’anno di imposizione, rivalutato del 25 per cento, per il coefficiente pari a 135”.

Pertanto, nel caso prospettato la fictio iuris che considera come non fabbricabile il terreno opera nei confronti di tutti i comproprietari del fondo.

Nuova Imu – Terreni edificabili

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Viene conservato il riferimento allo strumento urbanistico generale, anche solo adottato dal Comune. Di conseguenza, si considerano edificabili suoli sui quali in concreto potrebbe essere impossibile costruire, in assenza dello strumento attuativo (ad esempio la concessione edilizia).

Cambiano, invece, la definizione del valore di riferimento e le agevolazioni previste per le imprese agricole.

Nella vecchia Ici/Imu la base imponibile era costituita dal valore di mercato al 1° gennaio di ciascun anno. A tale scopo, era (ed è tuttora) permesso ai Comuni approvare dei valori di orientamento per i contribuenti. Secondo la Corte di cassazione, in proposito, se il Comune ha adottato lo strumento urbanistico in corso d’anno, le aree interessate non possono avere un valore di riferimento al 1° gennaio e, dunque, saranno considerate come edificabili solo a decorrere dall’anno successivo (Cassazione 2901/2017). Una tesi, peraltro, non condivisibile dal momento che il valore di mercato di un suolo può essere desunto anche da quello attribuibile a suoli similari, ubicati ad esempio in altre zone o in altri Comuni.

Ad ogni modo, per superare tale orientamento, nella nuova disciplina Imu è stabilito che la base imponibile è costituita dal valore dell’area al 1° gennaio oppure alla data di adozione dello strumento urbanistico. Ne consegue che l’efficacia dell’attribuzione della qualifica di edificabilità è immediata e non differita all’anno successivo. Lo stesso dicasi qualora in corso d’anno vi fossero mutamenti di valore determinati, ad esempio, dal rilascio del provvedimento attuativo: l’effetto dell’incremento di valore decorrerà dal mese del rilascio e non dall’anno successivo.

L’altra novità normativa riguarda l’agevolazione prevista per gli imprenditori agricoli. Sin dall’emanazione dell’Ici era disposto che le aree edificabili possedute e condotte da soggetti Iap (comprese le società agricole) o da coltivatori diretti si considerano terreni agricoli. Con plurime pronunce, la Suprema corte ha argomentato che un bene immobile non può avere qualificazioni diverse a seconda del proprietario. Di conseguenza, è sufficiente che una piccola porzione di area fosse intestata a uno dei soggetti agevolati per considerare l’intero suolo terreno agricolo, anche in capo a soggetti privi di queste qualifiche.

Con la nuova Imu (comma 743, legge di Bilancio 2020), invece, è epressamente stabilito che, in presenza di più comproprietari, i requisiti soggettivi e oggettivi previsti ai fini dell’applicazione di agevolazioni devono riguardare autonomamente ciascuno di essi. Ciò significa che qualora vi fossero, ad esempio, tre contitolari in pari quota, dei quali un soggetto Iap e gli altri due dipendenti pubblici, solo la quota del primo sarà considerata terreno agricolo, mentre le altre due saranno tassate come aree fabbricabili. Anche in questo caso, la modifica è già operativa, anche se la maggiore imposta sarà versata al saldo del 2020.

I terreni edificabili continuano ad essere soggetti ad Imu con aliquota base dello 0,76% a meno che non siano posseduti e coltivati da coltivatori diretti o Iap iscritti nella gestione previdenziale.

Nuova Imu – Area edificabile

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Un’altra importante novità ha riguardato la nozione di area edificabile.

Nella vecchia Imu, il valore imponibile delle aree era rappresentato dal valore di mercato al ­1° gennaio di ciascun anno.

Partendo da questo dato normativo, la Cassazione ha dedotto che, in caso di strumento urbanistico generale adottato ad esempio a febbraio, poiché al ­1° gennaio dell’anno di riferimento il bene non era ancora edificabile, gli effetti dell’attribuzione della qualifica di edificabilità decorrono dall’anno successivo (sentenza 8544/2019). In base all’articolo 1­, comma 746, legge ­160/2019, l’imponibile delle aree edificabili è il valore di mercato al ­1° gennaio ovvero alla data di adozione dello strumento urbanistico.

Il riferimento temporale, dunque, non è più solo alla data del 1­° gennaio. Pertanto, è oggi indubbio che, se il Comune adotta lo strumento urbanistico generale per esempio alla fine di marzo di quest’anno, il contribuente dovrà tassare il suolo per tre mesi come terreno agricolo e per nove mesi come area edificabile.

Per le medesime ragioni, si ritiene che se nel corso dell’anno viene rilasciata una concessione edilizia con riguardo a un suolo già edificabile, la variazione di valore ad essa conseguente abbia efficacia immediata e non differita all’anno successivo.

È edificabile il bene immobile così qualificato dallo strumento urbanistico generale (per esempio Piano regolatore generale) adottato dal Comune. Questo significa che, ai fini della qualità del bene, non rilevano le concrete possibilità di sfruttamento edificatorio del suolo, che incidono invece sul valore dello stesso. Si ricorda infine che i Comuni hanno la facoltà (non l’obbligo) di approvare dei valori di riferimento per orientare il pagamento dei contribuenti. Si tratta peraltro di valori da cui i contribuenti possono discostarsi, qualora siano in grado di dimostrarne l’infondatezza.

Nuova Imu – Area fabbricabile pertinenza del fabbricato

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La nuova disposizione contenuta nel comma 741 lett. a) dell’art. 1 della L. n. 160 del 2019 stabilisce, diversamente dal precedente regime impositivo dell’IMU, che si considera “parte integrante del fabbricato l’area occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza esclusivamente ai fini urbanistici, purché accatastata unitariamente…”. Questa disposizione comporta il superamento della precedente impostazione normativa che consentiva di fare riferimento alla nozione civilistica di pertinenza di cui agli artt. 817 e seguenti del codice civile nonché all’orientamento giurisprudenziale formatosi su tali disposizioni. Pertanto, a partire dal 1° gennaio 2020 il concetto di pertinenza ai fini IMU deve essere ricondotto esclusivamente alla definizione fiscale contenuta nel predetto comma 741, lett. a).

In particolare, la parte residuale di un’area oggetto di sfruttamento edificatorio può essere considerata pertinenza ai fini IMU solo nel caso in cui la stessa risulti accatastata unitariamente al fabbricato, anche mediante la tecnica catastale della cosiddetta “graffatura”. In questo caso, il valore del fabbricato comprende anche quello della pertinenza mentre, in caso contrario, l’area continua a considerarsi edificabile e come tale sarà soggetta autonomamente a imposizione, in quanto risulta inclusa negli strumenti urbanistici.

Nuova Imu – Aree edificabili, valori applicabili in corso d’anno

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Il valore di un’area edificabile deve sempre essere calcolato con riferimento al 1° gennaio dell’anno d’imposizione. Ma questa decorrenza vale solo nei casi in cui non siano state apportate delle variazioni agli strumenti urbanistici. In caso di modifiche urbanistiche occorre calcolare il tributo sul valore delle aree a partire dalla data della loro approvazione, anche durante l’anno. Si tratta di una novità importante contenuta nell’articolo 1, comma 746, della legge 160/2019, che tende a superare l’orientamento giurisprudenziale che riteneva applicabile il valore di mercato delle aree solo a partire dal 1° gennaio dell’anno d’imposizione.

Il citato comma 746 della legge di bilancio, infatti, stabilisce che per le aree fabbricabili il valore è costituito da quello venale in comune commercio al 1° gennaio dell’anno di imposizione o, comunque, a decorrere dalla data di adozione del piano regolatore generale o del piano di attuazione. È decisivo anche il momento in cui questi strumenti urbanistici subiscono delle modifiche che assumono rilevanza per determinare il valore di mercato delle aree. Il valore delle aree, ex lege, va calcolato facendo riferimento ai seguenti criteri: zona territoriale di ubicazione; indice di edificabilità; destinazione d’uso consentita; oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione; prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi le stesse caratteristiche. Le amministrazioni comunali hanno il potere di fissare i valori dei terreni edificabili con delibera del consiglio o della giunta.

Per area fabbricabile s’intende quella utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi oppure in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti delle indennità di espropriazione per pubblica utilità. Un’area è edificabile quando è inserita nel piano regolatore generale ed è soggetta all’Imu indipendentemente dalla successiva lottizzazione del suolo. È il comune, su richiesta del contribuente, che attesta se un’area sita nel proprio territorio sia edificabile. Se lo strumento urbanistico è approvato dal consiglio comunale, l’ente può dal momento dell’approvazione richiedere il pagamento del tributo. Vanno comunicate ai contribuenti le variazioni urbanistiche e i cambi di destinazione dei terreni in aree edificabili. L’omissione non rende comunque nulli gli avvisi di accertamento, pur essendo un obbligo imposto dalla legge.

Pertanto, i titolari dei terreni divenuti edificabili sono tenuti a pagare le imposte anche se il comune non li abbia informati delle variazioni apportate allo strumento urbanistico e non abbia comunicato il cambio di destinazione. La Cassazione (ordinanza 6431/2019) ha chiarito che un terreno è edificabile, e quindi soggetto al pagamento del tributo, anche se sussiste un vincolo relativo d’inedificabilità che interrompe il procedimento di trasformazione urbanistica. Un vincolo temporaneo non può avere alcuna incidenza sull’assoggettamento a imposizione del terreno. Per i giudici di legittimità, se il terreno è inserito in zona edificabile, né il vincolo paesaggistico né la proroga del vincolo d’immodificabilità temporaneo può incidere sull’assoggettabilità a imposizione. Le aree che risultano edificabili in base al piano regolatore sono soggette al pagamento se i vincoli di destinazione non comportano l’inedificabilità assoluta.

Tuttavia, in presenza di vincoli, il contribuente è tenuto a pagare le imposte su un valore dell’immobile notevolmente ridotto.

Nuova Imu – L’area pertinenziale

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L’area pertinenziale al fabbricato non si tassa autonomamente solo se accatastata unitariamente allo stesso e se qualificata come tale ai fini urbanistici cioè in concreto ai Pgt in base ai quali quella determinata area è «pertinenziale» a un determinato fabbricato. La riforma della legge di bilancio ­‑­‑ limita i casi in cui le zone contigue a unità immobiliari possono ritenersi non tassabili. Nella vecchia Imu erano escluse le aree pertinenziali, senza altra specifica. Si riteneva di far riferimento alla nozione civilistica di pertinenza, ex articoli 817 e seguenti del Codice civile (che prevede un semplice legame di “servizio” tra l’immobile principale e la sua pertinenza, come avviene tra una casa e un garage anche se in una via adiacente, oppure un giardino e e una villetta). Il problema si poneva in caso di aree dotate di una residua potenzialità edificatoria che, se pertinenziali, non erano assoggettate a imposizione distintamente dal fabbricato. Con la legge di Bilancio, si è ristretto l’ambito normativo, prescrivendo che il suolo debba essere qualificato come pertinenza dallo strumento urbanistico di riferimento. Questo significa, che, se la zona contigua al fabbricato rientra in un lotto urbanistico distinto, non potrà essere considerata come pertinenza. La seconda condizione è poi l’iscrizione unitaria in catasto. Trattandosi di requisito costitutivo, si ritiene che l’iscrizione non possa avere un effetto retroattivo. Va detto, anche che, se si versa l’acconto con il metodo “storico” (la metà del versato nel ­2019), la modifica impatterà solo in sede di saldo.

Si segnala infine che la nuova nozione di fabbricato richiede anche l’attribuzione della rendita catastale. Questo tende a limitare l’impatto dell’esenzione delle unità collabenti (prive di rendita), la cui area di sedime sarà ritenuta edificabile in presenza dei requisiti di legge.

Le due situazioni non coincidono, infatti, quasi mai. Ed è la seconda che vale, in questo caso. Del resto la norma è stata fatta proprio per far cessare una serie di contenziosi, risolvendoli a favore del Comune. Per esempio, chi a suo tempo ha acquistato più lotti fabbricabili erigendo un fabbricato solo su uno di essi, non potrà “accorparli” a questo come pertinenze e con unica rendita catastale (smettendo quindi di pagare l’Imu sulle aree fabbricabili) perché quelle aree non sono nate né qualificate come pertinenze dal punto di vista urbanistico.

Chi invece possedeva un’unica area fabbricabile, vi ha eretto un fabbricato e poi ha frazionato la restante superficie di terreno in una o più aree fabbricabili, poi non utilizzate, può riunirle al fabbricato iniziale come pertinenze. E far perdere loro la (fiscalmente) ingombrante qualifica. Se invece si vuole unire un’area non fabbricabile, si consideri che un terreno non fabbricabile ha quasi sempre un reddito agrario e dominicale bassissimi, quindi non ne vale la pena. Le aree non fabbricabili La norma non distingue la tipologia di area, quindi si potrebbe trattare anche di un terreno agricolo.

Ma in questo caso, se si trattasse invece di un terreno ad alta redditività (colture di pregio come vini particolari o simili) questo non potrebbe diventare pertinenza senza cambiare la destinazione d’uso. Effetti collaterali al catasto Va fatta però un’ulteriore considerazione. Una volta avvenuto l’accorpamento catastale, è possibile che la rendita catastale dell’immobile (che è alla base del calcolo dell’Imu e di quasi tutte le altre imposte sugli immobili) cambi: la presenza di una pertinenza costituita da un terreno può teoricamente agire sia sulla categoria, sia sulla classe o anche sulla «consistenza». L’incidenza ovviamente dipende dalla estensione del terreno dalla sua natura (parco, giardino, piazzale asfaltato, area attrezzata con piscina, campi tennis eccetera).

Nuova Imu – Fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita

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Il comma 751 dell’art. 1 della legge di bilancio, in merito ai fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, prevede che fino all’anno 2021, l’aliquota di base, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati, è pari allo 0,1 per cento. I comuni possono aumentarla fino allo 0,25 per cento o diminuirla fino all’azzeramento. A decorrere dal 1° gennaio 2022, i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, finché permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati, sono esenti dall’IMU.

Nuova Imu – Fabbricati rurali

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È poi dovuta l’Imu sui fabbricati rurali strumentali. Fino allo scorso anno questi fabbricati erano esenti da Imu a norma del comma 708 della legge 147/2013.

La legge ­160/2019 ha invece ripristinato il pagamento dell’Imu; il comma 750 prevede, infatti, l’assoggettamento a Imu nella misura dello 0,1­%, con la possibilità da parte del comune di ridurre tale aliquota fino all’azzeramento, ma non di aumentarla.

Il cambiamento, tuttavia, è più formale che sostanziale: infatti, fino allo scorso anno, i fabbricati rurali strumentali, pur essendo esenti da Imu, erano soggetti a Tasi nella misura dello 0,1%,­ per cento. Pertanto, l’imposta da pagare a partire dal 2020 non dovrebbe discostarsi da quanto versato negli anni precedenti.

In ordine al versamento dell’acconto Imu sui terreni agricoli non c’è alcuna novità e si procede versando il 50% dell’imposta dovuta relativamente ai primi sei mesi del 2020. I terreni agricoli non erano soggetti a Tasi.

Per i fabbricati rurali strumentali l’acconto 2020 può non essere versato (dipartimento delle Finanze circolare ­1/DF/2020). Tuttavia i contribuenti possono versare l’Imu applicando al valore imponibile la percentuale dello 0,1%,­ per cento.

Invece per le abitazioni rurali la procedura è comune agli altri immobili e cioè sommando la Imu e tasi dovute per l’anno 2020 diviso due.

Nuova Imu – Fabbricati collabenti

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La nuova Imu presenta alcune precisazioni utili a risolvere questioni che hanno interessato la Corte di cassazione, tra le quali quella relativa al regime di imposizione dei fabbricati collabenti, accatastati in categoria F/2.

Il comma 741 della legge di bilancio 2020 detta la definizione di fabbricato, precisando che «per fabbricato si intende l’unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano con attribuzione di rendita catastale».

Rispetto alla definizione di fabbricato recata dalla disciplina Ici/Imu, il legislatore ha inserito la precisazione «con attribuzione di rendita catastale». Si tratta di precisazione molto importante, anche se invero già desumibile dalla vecchia disciplina, in quanto insita nella definizione di unità immobiliare. Infatti, l’articolo 2 del Dm 28/1998 qualifica come unità immobiliare il fabbricato che «presenta autonomia funzionale e reddituale». Quindi, la normativa Ici/Imu, nel riferirsi ai fabbricati, faceva necessariamente riferimento a fabbricati che hanno una propria capacità reddituale, e quindi una propria rendita. La nuova precisazione va a risolvere il problema del regime di imponibilità dei fabbricati collabenti.

La Corte di cassazione si è pronunciata per la prima volta con sentenza 17815/2017, ritenendo che gli immobili collabenti siano da assoggettare come fabbricati, ma siccome privi di rendita catastale e quindi di base imponibile, sfuggono completamente all’imposizione comunale.

La Corte rileva che il Dm 28/1998 prevede l’accatastamento in categoria F/2 dei fabbricati che si trovano in uno stato di degrado tale da comportarne «l’oggettiva incapacità di produrre ordinariamente un reddito proprio» ed è per questa ragione che questi fabbricati sono iscritti senza una rendita catastale. Secondo la Corte, lo stato di collabenza e improduttività di reddito non fa venir meno in capo all’immobile la tipologia normativa di «fabbricato». La mancata imposizione, pertanto, si giustifica non già per assenza di «presupposto» ma per assenza di «base imponibile».

Si tratta all’evidenza di conclusioni avulse da una lettura sistematica della disciplina Ici/Imu, lettura che ha però dato il via alla corsa all’accatastamento dei fabbricati in categoria F/2, anche perché le successive pronunce (n. 26392/2019, n. 19338/2019, n. 10122/2019, n. 8622/2019), si sono adagiate passivamente sulle affermazioni contenute nella prima decisione.

Con la nuova Imu i fabbricati collabenti dovranno quindi essere necessariamente assoggettati come area fabbricabile, se lo strumento urbanistico ne prevede il recupero.

Nuova Imu – Fabbricati inagibili

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Nella Sentenza n. 34597 del 30 dicembre 2019 della Corte di Cassazione, i Giudici di legittimità affermano che in tema di Ici/Imu, in ipotesi di immobile inagibile l’Imposta va ridotta al 50%, e, qualora dette condizioni di inagibilità o inabitabilità, accertabili dall’Ente Locale, o comunque autocertificabili dal contribuente, permangano per l’intero anno, il trattamento agevolato deve estendersi a tutto il relativo arco temporale, nonché per i periodi successivi, ove sussistano le medesime condizioni di fatto. Né vale a ritenere non idoneamente provato lo stato di inagibilità dell’immobile il solo fatto che il contribuente non abbia richiesto di beneficiare della riduzione, soprattutto laddove la condizione di inagibilità emerga dai documenti di diretta provenienza del Comune.

Secondo la Suprema Corte nell’ipotesi di immobile inagibile, inabitabile e comunque di fatto inutilizzato, l’Imposta va ridotta al 50%, ai sensi dell’art. 8, comma 1, del Dlgs. n. 504/1992, e, qualora dette condizioni di inagibilità o inabitabilità, accertabili dall’Ente Locale, o comunque autocertificabili dal contribuente, permangano per l’intero anno, il trattamento agevolato deve estendersi a tutto il relativo arco temporale, nonché per i periodi successivi, ove sussistano le medesime condizioni di fatto.

Nuova Imu – Gli impianti fotovoltaici

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Gli impianti fotovoltaici, immobili infissi al suolo attraverso il collegamento con l’edificio su cui insistono, sono assoggettabili all’Imu anche se non aumentano il valore del bene oltre il 15%. Lo ha stabilito la Commissione tributaria provinciale di Milano, con la sentenza n. 125/23/2020.

Con la sentenza n. 125/23/2020, la Commissione tributaria provinciale di Milano, per la prima volta dall’emanazione della circolare n. 36/E, ha affermato l’autonoma tassabilità ai fini Imu degli impianti fotovoltaici, da qualificarsi come beni immobili (articolo 812, comma 2, del codice civile): dette centrali elettriche, infatti, costituiscono manufatti stabilmente infissi al suolo, seppur mediatamente attraverso il collegamento con l’edificio su cui insistono. La loro mancata iscrizione al catasto non ha alcuna rilevanza ai fini Imu; infatti il Dlgs 504/1992 non esige che l’impianto fotovoltaico apporti un aumento di valore minimo al fabbricato cui accede. Così il collegio ha ritenuto fondato l’accertamento dell’ente, ma per l’assoluta novità e incertezza delle questioni circa la tassazione degli impianti fotovoltaici annulla le sanzioni e compensa le spese del primo grado di giudizio.

Nuova Imu – È valida la qualificazione attribuita dal PRG

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Ai fini IMU non rileva l’effettiva destinazione data al terreno quanto la qualificazione attribuita dall’ente impositore tramite lo strumento urbanistico, in conformità al combinato disposto degli artt. 2 comma 1 lett. B) d.lgs. 504/92 ed art. 5 comma 5, entrambi richiamati a fini Imu dall’art. 13 comma 3 del D.L. 201/11 convertito nella L. 214/11.

Lo ha affermato la CTR Lombardia nella sentenza 292/11 del 3 febbraio 2020, respingendo di conseguenza l’appello del contribuente e confermando il contenuto dell’avviso di accertamento IMU impugnato. In sostanza, lo strumento urbanistico vigente nel 2012 consentiva non soltanto la realizzazione di impianti per il trattamento dei rifiuti, ma anche quella di strutture a ciò funzionali (es. abitazioni custodi, depositi e magazzini). In conformità all’orientamento di legittimità “eventuali cause di esclusione o di riduzione delle potenzialità edificatorie non trasformano il terreno edificabile in terreno agricolo, bensì influiscono sulla valorizzazione dello stesso” (cfr. Cass. 13817/03).

Riassumendo, la valenza edificatoria potenziale, quale desunta dallo strumento urbanistico vigente, infatti, è perfettamente idonea a qualificare l’area a prescindere dall’adozione degli strumenti urbanistici attuativi. Nella fattispecie, infatti, la destinazione a discarica dell’area risulta del tutto priva di valenza con riferimento all’imponibilità fiscale ai fini IMU.

Nuova Imu – Rilevante l’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica

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“L’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi. L’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica è sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile”. In base a tale principio, enunciato dalle sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 25506/2016, la CTR molisana si è allineata alla decisione dei giudici di primo grado ed ha respinto l’appello dei contribuenti. Nel caso di specie questi ultimi avevano invocato la vocazione rurale dei terreni, giustificata dalla circostanza che gli stessi fossero sempre stati condotti da affittuari coltivatori. Gli stessi avevano quindi unilateralmente deciso di mantenere i livelli impositivi al valore venale dei terreni prescindendo dal valore determinato con delibera della giunta comunale della quale avevano chiesto la disapplicazione.

Nuova Imu – Beni merce delle imprese edilizie

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Le regole delle imposte locali sono state riscritte dalle novità presenti nella manovra di bilancio 2020 (legge 160/2019), che hanno introdotto anche questa novità.

I cosiddetti beni merce delle imprese edilizie si vedono attivare da quest’anno il pagamento dell’Imu, se destinati alla vendita e non locati, anche con un’aliquota all’1 per mille, aumentabile dai comuni fino a 2,5 per mille (ma che può essere anche diminuita o azzerata). Dal secondo semestre del 2013 e fino a tutto il 2019 tali bene hanno potuto usufruire di un’esenzione sull’imposta municipale, e saranno poi del tutto esonerati di nuovo ma solo a partire del 2022. Quindi i fabbricati delle imprese edilizie che hanno goduto di esenzione dall’Imu fino al 2019, si troveranno a pagare l’imposta municipale per gli anni 2020 e 2021.

Le imprese edilizie saranno quindi tenute ad attestare lo stato contabile di “bene merce” di immobili, invenduti, costruiti e non locati, assolvendo all’annuale obbligo di dichiarazione Imu. Pena il decadimento del diritto di avere un trattamento agevolato, riguardante anche la possibilità di una riduzione dell’aliquota d’imposta.

La dichiarazione Imu da parte delle imprese costruttrici, entro il termine ordinario di scadenza, era anche una condizione necessaria ad ottenere l’esenzione, riconosciuta per la prima volta con l’articolo 2, comma 5-bis, DL 102/2013. Tra le indicazioni necessarie nella dichiarazione, le imprese dovranno riportare la sussistenza dei requisiti e indicare dettagliatamente gli immobili che hanno la possibilità di usufruire dei benefici fiscali. In caso la dichiarazione non venga presentata, non si potrà quindi ottenere nessuna agevolazione, anche se gli immobili risultassero poi rientranti in quelli aventi i necessari requisiti. Questo stando anche a una decisione della Commissione tributaria provinciale di Bergamo, che si è pronunciata con la sentenza 414/2018.

Solo i fabbricati di proprietà del soggetto che li ha costruiti (l’intestatario del permesso di costruzione) possono usufruire dell’aliquota ridotta, ad esclusione dei fabbricati di nuova costruzione che sono stati ceduti ad altri soggetti, anche se questi li designino alla vendita. Un’altra condizione del beneficio risiede nella non locazione degli immobili, neppure per periodo breve, pena la perdita della condizione di “beni merce”, necessaria all’esonero.

Nuova Imu – Rendite risultanti in Catasto, vigenti al 1° gennaio

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Nella nuova Imu, come nella vecchia, la base imponibile dei fabbricati è ottenuta applicando all’ammontare delle rendite risultanti in Catasto, vigenti al 1° gennaio dell’anno di imposizione, e rivalutate del 5%, una serie di moltiplicatori che variano a seconda della categoria catastale:

  • 160 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale A e nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, con esclusione della categoria catastale A/10;
  • 140 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale B e nelle categorie catastali C/3, C/4 e C/5;
  • 80 per i fabbricati classificati nelle categorie catastali A/10 e D/5;
  • 65 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale D, ad eccezione dei fabbricati classificati nella categoria catastale D/5;
  • 55 per i fabbricati classificati nella categoria catastale C/1;
  • per le aree fabbricabili la base imponibile è costituita dal valore venale in comune commercio, alla data del 1° gennaio dell’anno d’imposta;
  • per i terreni agricoli la base imponibile è costituita dal reddito dominicale, che risulta iscritto al Catasto Terreni al 1° gennaio dell’anno d’imposizione, rivalutato del 25% e moltiplicato per 135;
  • per i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola il moltiplicatore è pari a 110.

Il riferimento alle rendite iscritte al 1° gennaio ha creato non pochi problemi interpretativi nei casi in cui il fabbricato ha ottenuto la rendita in corso d’anno, perché di nuova costruzione, perché ristrutturato o per altro motivo.

In realtà una lettura sistematica della disciplina Ici/Imu portava a ritenere che il riferimento al 1° gennaio fosse da considerarsi solo per gli immobili non oggetto di variazione edilizia, come nelle ipotesi di semplice revisione della rendita o di cambio di destinazione d’uso senza interventi edilizi. Ciò era agevolmente desumibile dalla disciplina relativa ai fabbricati di nuova costruzione per i quali era (e lo è anche oggi) previsto che questi fossero assoggettati dalla data di ultimazione dei lavori di costruzione. È evidente che se il fabbricato di nuova costruzione è accatastato il 30 giugno, il contribuente dovrà liquidare l’imposta considerando l’area fabbricabile per sei mesi e la rendita catastale per gli altri sei mesi, anche se al 1° gennaio questo fabbricato non aveva rendita perché semplicemente inesistente.

Stesso discorso per il caso di fabbricati oggetto di ristrutturazione, per i quali la base imponibile è costituita dal valore dell’area fino alla data di ultimazione dei lavori, che può verificarsi in corso d’anno.

Ciononostante una giurisprudenza minoritaria della Corte di Cassazione, come la n. 9238/2019, ha ritenuto che qualunque sia la causa che ha determinato la variazione della rendita mediante la procedura Docfa, questa esplica effetti fiscali sempre dal 1° gennaio dell’anno successivo. Si tratta di argomentazione estranea a una lettura sistematica delle norme, e anzi passibile di violazione del principio della capacità contributiva, perché applicandola ad un immobile che a seguito di demolizione e parziale ricostruzione subisce un dimezzamento della rendita, porterebbe a corrispondere l’Imu su una rendita non più rappresentativa della capacità contributiva.

Il problema interpretativo oggi deve ritenersi definitivamente risolto, posto che il comma 745 della legge di bilancio 2020 legittima l’unica lettura possibile, prevedendo che «le variazioni di rendita catastale intervenute in corso d’anno, a seguito di interventi edilizi sul fabbricato, producono effetti dalla data di ultimazione dei lavori o, se antecedente, dalla data di utilizzo».

In altri termini, è evidente che un’area fabbricabile che diventa tale al 30 di giugno, non ha un “proprio” valore di mercato al 1° gennaio, quand’era agricola, ma è altrettanto evidente che occorre far riferimento al valore al 1° gennaio di aree aventi le medesime caratteristiche.

Stesso discorso per le aree già edificabili che subiscono variazioni in corso d’anno. Se per un’area viene adottato, ad esempio il 30 giugno, un piano particolareggiato, è evidente che vi sia un incremento di valore che impone di considerare due valori: per i primi sei mesi il valore al 1° gennaio delle aree prive di piano particolareggiato, e per il secondo semestre il valore al 1° gennaio di aree con piano particolareggiato approvato.

Quanto appena sostenuto, tuttavia, non è stato fatto proprio dalla giurisprudenza di legittimità che con sentenza n. 2901/2017 ha detto che gli effetti dell’attribuzione della qualifica di edificabilità decorrono dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello di adozione dello strumento urbanistico generale. Principi confermati anche di recente con la sentenza n. 8544/2019. Si tratta all’evidenza di decisioni che non tengono conto, da un lato, che l’Imu è frazionabile per mesi, e quindi nulla osta a che per alcuni mesi si paghi come terreno agricolo e per altri come area fabbricabile e, dall’altro lato, che creano una palese violazione del principio della capacità contributiva, giacché quanto affermato dovrebbe valere anche nell’ipotesi di aree fabbricabili che tornano ad essere agricole dal 2 di gennaio. Pretendere, in questo caso, l’assoggettamento per l’intero anno come area fabbricabile è all’evidenza illogico oltre che illegittimo.

Con la nuova Imu il problema dovrebbe essere risolto visto che occorre far riferimento al valore venale al 1° gennaio «o a far data dall’adozione degli strumenti urbanistici».

Nuova Imu – Contratto di leasing

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Per quanto concerne l’individuazione del soggetto passivo in caso di locazione finanziaria, a decorrere dal 1° gennaio 2020, il comma 743, in linea di continuità con il precedente regime impositivo, ha stabilito che per “gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria, il soggetto passivo è il locatario a decorrere dalla data della stipula e per tutta la durata del contratto”.

Extra – Esenzioni Tosap e Cosap

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Per promuovere la ripresa delle attività turistiche, danneggiate dall’emergenza epidemiologica da Covid-19, le imprese di pubblico esercizio che somministrano alimenti e bevande (bar, ristoranti, trattorie e così via), le quali risultano titolari di concessioni o di autorizzazioni per l’utilizzo di suolo pubblico, sono esonerate dal 1° maggio fino al 31 ottobre 2020 dal pagamento della tassa e dal canone dovuti per l’occupazione.

Esentati quindi dal pagamento i titolari di concessioni e autorizzazione per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, Tosap e Cosap, inoltre, tutte le occupazioni di suolo pubblico effettuate dai gestori di bar, ristoranti e attività commerciali. Ma non sono soggette al pagamento della tassa o del canone solo a partire dal 1° maggio e fino al prossimo 31 ottobre. I titolari di concessioni o autorizzazione per l’utilizzo di suolo pubblico sono tenuti a pagare la tassa o il canone, invece, nei mesi di marzo e aprile, nonostante alle attività commerciali sia stata imposta la loro chiusura e, quindi, non ci sia stata occupazione del suolo con pedane, tavolini etc.

Nei mesi di marzo e aprile, com’è noto, le saracinesche sono rimaste abbassate e ai titolari degli esercizi commerciali è stata imposta la chiusura ex lege. È stato materialmente impossibile occupare gli spazi pubblici con tavoli, sedie, pedane etc. Pertanto, è mancato il presupposto per l’assoggettamento alla tassa o al canone, che è costituito dall’occupazione. Più che di esenzione, sarebbe più corretto parlare di assenza del presupposto richiesto dalla legge, vale a dire la sottrazione dello spazio pubblico all’uso della collettività, durante il periodo suddetto, che legittima la pretesa dell’ente locale a ottenere il pagamento.

In questo caso non si può parlare di riconoscimento di un beneficio. E più corretto affermare che si è in presenza di un’impossibilità oggettiva di occupare lo spazio o l’area pubblica. Questo vale non solo per le occupazioni temporanee, ma anche per le occupazioni permanenti e stabili, atteso che è stato impossibile utilizzare le relative strutture. Per rimediare all’errore contenuto nella norma sopra citata, che ha delimitato temporalmente l’esenzione, o il legislatore interviene in sede di conversione del decreto legge 34 o è demandato all’ente adottare delle disposizioni che esonerino gli interessati dal pagamento. Tuttavia, mentre è consentito all’amministrazione locale prevedere con regolamento l’esenzione per il Cosap, che è un’entrata patrimoniale, ciò non è possibile per la Tosap, che è un’entrata tributaria.

In mancanza di una norma ad hoc che attribuisca il relativo potere, per la tassa le esenzioni sono disciplinate solo dalla legge. Non a caso l’articolo 49 del decreto legislativo 507/1993 elenca tassativamente in quali casi il contribuente può fruire dell’esenzione. Giuridicamente è fattibile la scelta dell’ente, come già rilevato, di non applicare la tassa o il canone per assenza del presupposto.

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