Esistono strade “pubbliche” realizzate su terreni privati?

Di 26 Maggio, 2020 0 0
Tempo di lettura: 7 Minuti

Quello che voglio raccontare è una storia per certi versi assurda per come è gestita (assurda quasi quanto la pretesa di oneri di urbanizzazioni su muri di contenimento), ma molto importante perché riguarda moltissimi cittadini di Balsorano che a breve si vedranno cancellare un loro diritto ad ottenere un risarcimento, e visto come si sta muovendo l’amministrazione comunale credo che c’è la volontà di nascondere il problema in attesa di una data ben precisa“.

Devo dire che subito dopo l’insediamento del 2017 il problema era diventato noto anche ai nuovi amministratori o almeno a molti, a dimostrazione del fatto che i cittadini chiedono da anni una soluzione al problema, ma per l’ovvia distinzione dei ruoli, essendo un argomento prettamente urbanistico e in considerazione del fatto che c’era chi ne aveva avuto la delega (indipendentemente dall’impegno profuso dal delegato) non ho approfondito come fatto recentemente. Ricordo però che quando ne avevo discusso all’interno dell’ufficio tecnico anche con persone che hanno prestato servizio per moltissimi anni, avevo avuto l’informazione che il Comune non aveva mai proceduto all’esproprio dei terreni sui quali aveva realizzato moltissime strade (affermazione che andrebbe comunque confermata ma, considerando la fonte, non sarà difficile dimostrarne la correttezza).

Personalmente ho sollecitato una soluzione ad un problema specifico relativo ad una biforcazione, trovando però un certo menefreghismo sia nella parte prettamente tecnica, il quale nonostante inizialmente propenso ad addivenire ad una soluzione poi non ha prodotto nulla, sia nella parte prettamente politica che evidentemente preferisce tenere tutto celato fino ad “una data ben precisa.

Ovviamente non faro nomi ma i fatti sono verificabili e ho dovuto, diversi mesi fa, negare il mio aiuto diretto perché ormai fuori dalla cerchia di “comando” dell’amministrazione. Tuttavia in considerazione del fatto che il problema è recentemente riemerso prepotentemente con una presa di posizione da parte dell’amministrazione senza supporto di prove concrete, non potevo non fare nulla.

Difronte ad un simile problema, la risposta da parte dell’amministrazione non è stata la ricerca di una soluzione ma lo scontro totale, tra l’altro posizione arrogantemente assunta visto che non sembra supportata da prove documentali, posizione nella quale al privato che ha messo a disposizione il proprio terreno per realizzare una strada di cui beneficiano un numero indeterminato di cittadini, non deve essere riconosciuto alcun indennizzo ne il ripristino della situazione originaria.

Al di là del “disturbo” della condotta del privato, che non fa altro che rivendicare una sua legittima proprietà, è inammissibile il comportamento dell’amministrazione che invero avrebbe l’obbligo di vigilare sulla legittimità degli atti prodotti e non di scatenare gli uffici contro posizioni che reputa sbagliate a priori senza comprovarne le proprie ragioni.

In un comunenormale si sarebbe proceduto ad una verifica e conseguentemente, qualora avvalorata la posizione del privato, si sarebbe proceduto ad un esproprio per pubblica utilità o alla restituzione del bene dopo ripristino e indennizzo.

Nel nostro comune invece probabilmente si pensa di chiedere l’usucapione tramite il quale il privato proprietario di un terreno occupato illecitamente dall’amministrazione si vedrà sottrarre da sotto il naso un terreno, un terreno sul quale probabilmente ha pagato anche qualche tributo comunale, visto che si applica l’imposizione dell’ICI (oggi IMU) indipendentemente dal possesso reale anche in considerazione del fatto che per la maggior parte dei casi parliamo di terreni edificabili, in cambio di niente.

Tutti sanno cosa è l’usucapione. L’usucapione è la perdita del diritto di proprietà al verificarsi di due situazioni, l’uso continuativo per almeno 20 anni e il completo disinteresse del proprietario per lo stesso arco di tempo. Tutto però gioca sulla data dalla quale decorrono questi 20 anni, quella data che avevo sottolineato all’inizio del discorso quando ho fatto riferimento ad “una data ben precisa. Ai meno esperti può sembrare che i 20 anni siano decorsi.

Ma cosa succede se il bene è stato sottratto “illecitamente” inteso in violazione degli obblighi di legge?

Prima di rispondere a questa domanda è doveroso fare alcune premesse.

L’art. 834 c.c. stabilisce che “nessuno può essere privato in tutto o in parte dei beni di sua proprietà, se non per causa di pubblico interesse legalmente dichiarata, e contro il pagamento di una giusta indennità”.

L’art. 42 della Costituzione, dopo aver attribuito alla proprietà privata il carattere di diritto assoluto, prevede nel terzo comma che essa “può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interessi generale”.

Quindi dopo un insieme disorganico e disomogeneo di leggi, lo Stato è intervenuto con il d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 e s.m.i, introducendo il Testo Unico in materia di espropriazione che stabilisce la decorrenza dell’usucapione in tutti i casi in cui questa sia avvenuta illecitamente.

Da allora si sono susseguite moltissime sentenze, alcune delle quali riportate di seguito, ma la più importante di tutte è forse quella della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha dichiarato che ogni ingerenza nel diritto di proprietà deve essere conforme al principio di legalità e che l’irreversibilità della trasformazione del terreno comporta un’ulteriore violazione della Convenzione, violazione che da benefici solo alla Pubblica amministrazione che si trova in una situazione illegittima. Cioè l’amministrazione, che dovrebbe perseguire la legittimità delle proprie azioni essendo un obbligo di legge, otterrebbe un vantaggio da un atto palesemente illecito e che ovviamente non può avere valenza retroattiva (scatterebbe una seconda violazione se la trasformazione fosse anche retroattiva).

Da questa sentenza tutte le occupazioni illegittime sono considerate illeciti permanenti (art. 2043 c.c.) posizione che ne impedisce la decorrenza dei termini prescrizionali.

Questo vuol dire che per un’occupazione illecita non si applica l’usucapione se non decorsi 20 anni dall’entrata in vigore del d.P.R. 327/2001 ovvero dal 1° luglio del 2003, quindi l’usucapione può essere rivendicato solo a decorrere dal 1° luglio 2023, anche qualora l’occupazione sia iniziata prima della data di entrata in vigore del d.P.R. 371/2001.

Alla luce di ciò solo il formale atto di acquisizione da parte dell’amministrazione ai sensi dell’art. 42/bis del d.P.R. 327/2001 consente di produrre l’effettivo trasferimento della proprietà del bene e in assenza del provvedimento l’amministrazione è tenuta a restituire il bene previa riduzione in pristino dei luoghi a colui che ne è stato ingiustamente privato.

Per uscire da questa situazione di permanente illegittimità l’amministrazione può quindi ricorrere:

  • alla restituzione del fondo, qualora reputi decaduto l’interesse pubblico, previo ripristino e rimborso dell’occupazione;
  • tramite accordo transattivo tra la P.A. e il privato;
  • usucapione (che se scaturita da un’occupazione illegittima può essere richiamata solo dopo il 1° luglio 2023);
  • provvedimento ai sensi dell’art. 42/bis (che non sana la precedente occupazione illegittima ma che, valutate le ragioni dell’occupazione le rende legittime dal momento dell’emanazione del provvedimento).

Anche nel caso dell’esproprio “urgente” l’usucapione decorre dal termine di quest’ultimo sempre qualora la procedura di esproprio sia stata legittima (ovvero si siano prodotti rispettivamente la comunicazione avvio procedimento, la dichiarazione di pubblica utilità, la determinazione dell’indennità di occupazione e di esproprio, il deposito delle indennità e il decreto di esproprio).

In tutti gli altri casi, ovvero se non si è proceduto ad un regolare esproprio, l’usucapione non è attivabile prima del 1° luglio 2023, dovendosi far riferimento ai termini previsti nel d.P.R. 327/2001 ovvero 20 anni dalla sua entrata in vigore, tenendo opportunamente conto che non è permessa la rinuncia abdicativa de parte del privato in quanto non applicabile nei beni immobili oggetto di esproprio (ovvero neanche il privato può rinunciarvi).

È importante sottolineare che l’eventuale procedura di esproprio è finalizzata anche, e soprattutto, a proteggere gli interessi del proprietario del terreno, non di chi diventa il nuovo proprietario. Infatti una delle condizioni essenziali affinché un esproprio diventi legittimo è che chi viene espropriato da un immobile ha diritto a ricevere un’indennità che, quindi, può essere considerata come il prezzo del bene acquisito dall’amministrazione.

Quali cittadini sono coinvolti nella faccenda?

Il numero preciso non è difficile da ottenere. Per adesso io elenco quelle che dovrebbero essere le strade coinvolte:

  • parte di via Ignazio Silone;
  • parte di via C. Colucci;
  • parte di via Quintino Sella;
  • via G. Mazzini;
  • parte di via S. Luigi;
  • via S. Paolo;
  • via S. Emidio;
  • parte di via S. Angelo;
  • parte di via Milano;
  • parte di via Valle Verde;
  • parte di via Collegrotti;
  • parte di via Olimpica;
  • contrata Pagliare;
  • località le Fosse;
  • quasi tutta la Selva;
  • parte di Ridotti.

Questo elenco, che inevitabilmente non può essere esaustivo, può dare l’idea della dimensione del problema.

Ad oggi l’amministrazione non ha alcuna intenzione di intervenire, anzi sembra andare in direzione contraria ovvero producendo ordinanze nelle quali si dichiara proprietario di terreni senza produrre alcun documento comprovante la veridicità a differenza di chi oggi inizia una campagna di legalità che forse verrà risolta in tribunale. Ma cosa aspettarsi da chi non sembra conoscere alcun concetto di legalità, da chi confonde l’ente pubblico come un’estensione del suo ego per il soddisfacimento delle proprie ambizioni personali? Di attendere semplicemente la validità dell’usucapione con il quale “sanerà” il proprio illecito ultra-decennale senza rimborsare un euro ai cittadini ai quali era stato chiesto di cedere un terreno per un bene “superiore”.

Tuttavia considerando che il problema sembra avere un’origine comune dovrebbe essere permesso un ricorso collettivo tramite il quale una pluralità di soggetti possono adire il giudice purché vi sia identità di situazioni sostanziali e processuali e non vi sia un conflitto di interessi tra i ricorrenti che hanno subito una comune lesione di diritto.

Lascio di seguito le mie ricerche, che ovviamente potrebbero non essere integralmente corrette, ma possano essere sicuramente utili per tutelare i diritti dei cittadini che potranno richiedere all’amministrazione quel risarcimento che cerca in tutti i modi di far decadere.

Resto disponibile per intraprendere un’azione coordinata a tutela dei vostri diritti violati. Per adesso vi chiedo di girare queste informazioni a tutti coloro che sanno o sospettano di essere proprietari di parti di strade “pubbliche” visto che i termini per la restituzione o l’indennizzo stanno per scadere.

Quali sono i passi da seguire per una procedura di esproprio legittima?

Tempo di lettura: 2 Minuti

La procedura non si svolge in un giorno o in un mese. La prima fase è comunicare agli interessati, che devono essere partecipi del procedimento amministrativo, l’intenzione di avviare il procedimento (la cosiddetta “dichiarazione di pubblica utilità”), provvedimento che si fa ovviamente dietro un interesse generale e un relativo sviluppo urbanistico del territorio nel quale deve essere espressamente indicato anche il nominativo del responsabile del procedimento. In assenza di uno qualsiasi di questi elementi, comunicazione, deposito degli atti e nomina, l’espropriazione è illegittima indipendentemente dal fatto che l’interessato abbia avuto conoscenza del procedimento (Sentenza 1914 del 04.10.2016 Tar Calabria).
Una volta inoltrata la comunicazione  di esproprio è vietato ai proprietari costruire nuove opere ma entro un determinato arco di tempo visto che il vincolo dura per soli 5 anni e può essere prorogato una sola volta.
Se l’opera non è realizzata, trascorsi 5 anni, o 10 anni se si è proceduto al rinnovo della dichiarazione di pubblica utilità, il proprietario può tornare nel pieno possesso dell’area. Inoltre in assenza della dichiarazione di pubblica utilità quale presupposto di legittimità del procedimento di espropriazione porta tutta la discussione al giudice ordinario, che diventa competente rispetto al giudice amministrativo (TAR), al quale va inoltrata la domanda risarcitoria e di restituzione del bene. La presenza della dichiarazione, anche se successivamente dichiara nulla, comporta il trasferimento della competenza al giudice amministrativo (TAR).

Dopo aver proceduto alla dichiarazione di pubblica utilità deve seguire entro 30 giorni (i limiti temporali sono categorici) la notifica al proprietario o ai proprietari nella quale viene indicata lasomma offerta per l’espropriazione che ovviamente non potrebbe essere minore del valore del terreno stesso. A sua volta il proprietario o i proprietari hanno 30 giorni per controbattere e queste vanno tenute per debito conto. Infatti se l’offerta fosse ritenuta non congrua può rifiutarla, in tal caso sarà necessario procedere ad una perizia di stima che dovrà pervenire da una Commissione provinciale che stabilizzerà il prezzo definitivo. Bisogna tener presente che se il prezzo che uscisse dalla perizia sia inferiore a quello offerto dal Comune le spese per la commissione sarebbero addebitabili al privato. Saranno a carico del Comune solo se il prezzo uscito dopo la perizia sia superiore al 10% di quello originariamente offerto.

Dopo la dichiarazione di pubblica utilità e dopo l’accettazione del prezzo, c’è il decreto di esproprio vero e proprio. Solo dopo questo l’amministrazione può entrare in possesso del bene.

C’è anche un’altra procedura di esproprio, quella di urgenza che si fa producendo direttamente il decreto di esproprio, ma è attivabile solo per non causare un “danno irreparabile”. In questo caso però la procedura deve concludersi entro 5 anni e al privato ha diritto ad 1/12 della somma che gli sarebbe spettata se fosse stata eseguita la procedura ordinaria e quindi sarebbe stata determinata la complessiva indennità di esproprio. Solo in questo caso l’usucapione scatta trascorsi i 20 anni dal termine dei 5 anni di esproprio urgente, sempre che la procedura sia stata legittima.

Qualora l’amministrazione non abbia rispettato questi obblighi di legge si può ricorrere in tribunale amministrativo, entro 30 giorni qualora sia stato prodotto un decreto di esproprio o al giudice ordinario negli altri casi.

Cosa dicono le varie sentenze?

Tempo di lettura: 9 Minuti

Sostanzialmente sono tutte univoche nel condannare le amministrazioni che hanno proceduto ad espropri illegittimi.

In molte occasioni i tribunali hanno dichiarato l’obbligatorietà della P.A. di restituire al proprietario il terreno illegittimamente occupato ovvero quelli sottratti al privato senza contratto e provvedimento di esproprio (o, eventualmente, il procedimento di sanatoria) anche nel caso ci sia stata una rinuncia implicita. Infatti l’obbligo di restituzione decorre anche qualora sia intervenuta la realizzazione dell’opera pubblica tal ché la realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto e come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà (Consiglio di Stato, n. 676 del 28.01.2011 e sezione IV, n. 4833 del 29.08.2011).
Inoltre il Consiglio di Stato, nell’adunanza plenaria n.2 del 29.04.2005 aveva già sancito che la perdita della proprietà da parte del privato e l’acquisto in capo alla P.A. possono conseguire soltanto all’adozione di un provvedimento formale, nel rispetto del principio di legalità e di preminenza del diritto.
Anche la Cassazione con la sentenza 735/2015 ha dichiarato che in assenza di decreto di espropriazione l’occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte dell’amministrazione si configurano, indipendentemente dalla sussistenza o meno di una dichiarazione di pubblica utilità, come un illecito di diritto comune, illecito che comporta non il trasferimento della proprietà alla Pubblica amministrazione, ma la responsabilità della stessa per i danni intesi come danni patrimoniali subiti e danni per l’ingiusta lesione dell’interesse del privato a un’esistenza pacifica e libera da indebite aggressioni.

In tutti questi casi il proprietario del terreno illegittimamente occupato dalla P.A., dovrà richiedere al giudice amministrativo la declaratoria dell’illegittimità dell’occupazione e l’annullamento dei relativi provvedimenti e può legittimamente domandare sia la restituzione del fondo, sia il suo ripristino e qualora sia stato privato del possesso, anche il risarcimento del danno. Infatti l’operato dell’amministrazione non può che seguire principi di piena legalità e potrà comunque procedere e non potrà esimersi dall’esercitare il proprio obbligo di provvedere:

  • all’immediata restituzione del bene la cui occupazione si è protratta contra jus, previo ripristino dell’area e il pagamento dei danni da illegittima occupazione, senza che l’avvenuta realizzazione dell’opera pubblica precluda l’una o l’altra via;
  • l’emanazione di un provvedimento sanante la situazione di illegittimità determinatasi con acquisizione al patrimonio indisponibile indennizzando il proprietario per il mancato utilizzo del bene (Tar Reggio Calabria, sentenza n. 265/2014).

E ancora qualora la procedura espropriativa sia divenuta illegittima, nonostante la trasformazione del bene, l’ente locale espropriante non può acquistare la proprietà del bene neanche per effetto della presunta rinuncia abdicativa (cioè la rinuncia della posizione giuridica su un bene senza che ciò comporti il trasferimento di proprietà) che sarebbe implicita nella richiesta di risarcimento del danno (sentenza TAR Reggio Calabria n. 438/2017). Anche in questo caso il tribunale impone all’amministrazione di sanare la situazione di illecito venutasi a creare o restituendo il terreno con la corresponsione del dovuto risarcimento per il periodo di illegittima occupazione ovvero, in via subordinata, adottando il decreto di acquisizione sanante.

Così come lasentenza n. 708 del 02.05.2017 dello stesso TAR Calabriail quale stabilisce il diritto del proprietario ad ottenere un risarcimento del danno per la mancata disponibilità del bene per tutto il periodo di occupazione sine titulo, commisurato al valore del terreno prendendo come riferimento il valore medio indicato nelle banche dati delle quotazioni immobiliari dell’Agenzia delle entrate e di un ulteriore danno pari al 5% del valore del terreno per ogni anno di occupazione illegittima. Su tutte queste somme vanno corrisposti gli interessi legali e la rivalutazione monetaria.

Inoltre il mancato completamento del processo di espropriazione (comunicazione avvio procedimento, dichiarazione di pubblica utilità, determinazione dell’indennità di occupazione e di esproprio, deposito delle indennità e decreto di esproprio) da completare comunque prima della trasformazione dell’immobile (ad eccezione dell’esproprio urgente nel quale è possibile trasformare l’area prima del completamento delle procedure) configura sempre una responsabilità amministrativa e contabile (Sentenza Corte dei Conti, prima sezione centrale di appello, n. 15/2018). Nella sentenza si sottolinea come la parte politica ha il dovere di impartire direttive all’apparato amministrativo e non procedere ad impedire ai proprietari di agire giudizialmente per il ristoro dei danni subiti dall’irreversibile trasformazione dei terreni di loro proprietà, esattamente ciò che si sta verificando nel nostro comune.

L’amministrazione riconosciuta la proprietà può procedere anche l’occupazione sanante disciplinata dall’art. 42/bis del T.U. sugli espropri tramite il quale, in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, “la proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”. È una via di uscita per i casi in cui una Pubblica Amministrazione avesse occupato senza titolo un’area di proprietà privata, in assenza di un valido ed efficace decreto di esproprio. Per far scattare questa procedura d’urgenza è prevista una motivazione “rafforzata” ma deve seguire un doppio indennizzo, oltre al danno patrimoniale (che è il valore del bene) bisogna aggiungere il danno non patrimoniale che è liquidato nella misura del 10% del valore venale del bene calcolato nel momento di trasferimento del bene (previa rivalutazione). Tuttavia il passaggio non può avvenire se non si liquida il dovuto e per il periodo di occupazione senza titulo è computata una somma a titolo di risarcimento. In questo caso si assiste ad un mutamento della pretesa, da diritto di proprietà a diritto d’indennizzo.

Ovviamente l’acquisizione non può essere retroattiva ma deve avvenire nella legalità amministrativa. Questa procedura delinea uno stato ulteriore rispetto all’indennità spettante in caso di espropriazione ordinaria (l’ente in effetti paga di più) tant’è che tutta la procedura va inoltrata alla Procura della Corte dei Conti.

Con questo strumento l’amministrazione può bloccare la restituzione di un immobile occupato sine titulo e irreversibilmente trasformato corrispondendo al privato non un risarcimento ma un indennizzo ovvero non si determina alcun acquisto né alcuna estinzione di tale diritto di restituzione previo ripristino. L’indennizzo costituisce in un risarcimento del danno cagionato da fatto illecito della P.A..

E ancora più recentemente la Cga (Consiglio di giustizia amministrativa) della Regione Sicilia con la sentenza n.255/2019 ha condannato due P.A., che avevano iniziato pratiche fra il 1978 e il 1986 mai concluse ai sensi della sentenza della Cassazione n.761 del 26.01.1998 secondo la quale il decreto di esproprio per essere legittimo deve essere tempestivo, obbligando entrambe le P.A. a restituire i terreni illegittimamente occupati, previa riduzione in pristino, salva l’applicazione dell’art. 42/bis risarcendo i danni derivanti dal mancato reddito dei fondi illegittimamente occupati.

La dimostrazione della proprietà la si può dimostrare anche in relazione al pagamento dell’ICI (oggi IMU) in quanto fino all’effettivo spossessamento del bene, il proprietario è comunque tenuto al pagamento (qualora il terreno sia distinto dalla propria abitazione altrimenti è integrata nell’imposta complessiva) che dovrebbe essere comunque ridotto a seguito della mutata destinazione d’uso e della diminuzione del valore in comune commercio dato dalla mancanza di possesso.

Resta inteso che la competenza per l’adozione del provvedimento di acquisizione sanante non è un atto monocratico del dirigente ma è di esclusiva competenza del Consiglio Comunale in quanto riconducibile al novero dei provvedimenti di acquisizione ex articolo 42, comma 2, lett. 1, del Dlgs n. 267/2000 relativo all’acquisto e alienazioni immobiliari mentre per la quantificazione dell’importo dovuto la competenza resta del Giudice ordinario qualora si ricorra all’articolo 42/bis del Dpr 327/2001 relativo all’illecita o illegittima utilizzazione dell’immobile per scopi di interesse pubblico essendo l’indennizzo non di natura risarcitoria ma indennitaria.

E ancora il Consiglio di Stato con la sentenza 3195 del 17 maggio 2019 ha stabilito che la restituzione del terreno illegittimamente espropriato è valida anche dopo l’irreversibile trasformazione conseguente alla realizzazione di un’opera pubblica, giacché la P.A. non può acquisire la proprietà di un bene attraverso una condotta illecita.

E ancora la recente sentenza della Cassazione, la n.30195 del 20 novembre 2019 ha stabilito che in assenza di una procedura regolare la pubblica amministrazione non può diventare proprietaria del terreno senza corrispondere alcun indennizzo al titolare, anche nel caso di occupazione d’urgenza che per il suo carattere coattivo non priva il proprietario del bene fintantoché non interviene il decreto di esproprio o comunque l’oblazione, ragione per cui continua a riconoscersi al primo una indennità per l’occupazione. Inoltre nella stessa sentenza si evidenza che l’occupazione illegittima di un fondo da parte della P.A. e la conseguente trasformazione di un bene privato, al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di procedimento sanante, in quanto “definisce un illecito permanente non vale ad integrare il requisito del possesso utili ai fini dell’usucapione”, occupazione che si concretizzerebbe in un’espropriazione indiretta o larvata, in violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale della Cedu (Consiglio di Stato n. 3838/2017, n. 329/2016 e n. 2988/2015) che andrebbero ad esclusivo vantaggio di una sola parte. Inoltre qualora la procedura di esproprio sia stata avviata, l’amministrazione ha l’obbligo di concludere la procedura con un procedimento esplicito, indipendentemente dal potere discrezionale dell’Amministrazione che inevitabilmente viene contratto dal legittimo interesse pretensivo del proprietario di concludere il procedimento e che non può essere richiamato se si è già proceduto alla trasformazione del bene (Tar Lazio sentenza n. 2112/2018). Ogni ulteriore indugio non farà altro che ampliare il danno verso il privato.

Tra l’altro il privato non può legalmente rinunciare al diritto di proprietà di un fondo già occupato dalla P.A. ma di cui non si completa l’espropriazione se non tramite l’acquisizione sanante con cui l’ente pubblico regolarizza un iter espropriativo fondato su un atto nullo o illegittimo (Tar Piemonte sentenza n. 368/2018). Infatti il diritto del privato, sicuramente colpito dall’occupazione e dalle attività poste dall’amministrazione, non è da esse cancellato. In assenza di tale decreto la proprietà resta in capo al privato proprietario, tanto che nel caso in cui non si sani la procedura illegittima resta libero di mantenere e sfruttare le opere eventualmente realizzate dalla P.A. sul proprio fondo. Infatti la rinuncia abdicativa è prevista solo in casi tipici previsti dal Codice civile tra i quali non è inclusa la rinunzia al diritto di proprietà esclusiva su bene immobile. Anche la recente sentenza del Consiglio di Stato n. 2/2020 ha dichiarato inammissibile la rinuncia abdicativa al diritto di proprietà in materia di espropriazione in quanto non previsto dalla legge, ribadendo nuovamente che l’illecito permanente viene meno solo nei casi previsti dall’art. 42/bis del d.P.R. 387/2001 ovvero tramite acquisizione del bene (indennizzo patrimoniale e non patrimoniale) o la sua restituzione previo ripristino e pagamento dell’indennità di occupazione.

Nuovamente il TAR Calabria con la sentenza n. 321 del 20.02.2020 ha dichiarato che il mancato assolvimento degli obblighi di comunicazioni comportano l’illegittimità dell’atto dichiarativo della pubblica utilità e degli atti successivi a nulla rilevando che l’interessato fosse comunque a conoscenza del procedimento ne può essere sanato.

E ancora TAR Bari, sentenza 455 del 30.03.2020 stabilisce che resta un’opzione dell’amministrazione la decisione sulle pretese risarcitorie a seguito di una occupazione sine titulo decidendo tra la restituzione del bene (previo ripristino e pagamento dell’occupazione) ovvero procedere all’acquisizione sanante tenendo conto dell’interesse pubblico alla conservazione dell’opera ove realizzata.

E in ultima in termini di date, la Sentenza della Corte di Cassazione n. 10747 del 05.06.2020 che ha enunciato il seguente principio “in tema di espropriazione per pubblica utilità, nel caso in cui, per effetto della realizzazione o dell’ampliamento di una strada pubblica (nella specie, di una autostrada), il privato debba subire nella sua proprietà la creazione o l’avanzamento della relativa fascia di rispetto, quest’ultima si traduce in un vincolo assoluto di inedificabilità che di per sé non è indennizzabile, ma che, in applicazione estensiva della disciplina in tema di espropriazione parziale, non esclude il diritto del proprietario di essere indennizzato per il deprezzamento dell’area residua mediante il computo delle singole perdite ad essa inerenti, quando risultino alterate le possibilità di utilizzazione della stessa ed anche per la perdita della capacità edificatoria realizzabile sulle più ridotte superfici rimaste“.

Quello che l’amministrazione non può pensare di continuare a fare è restare inerte in situazioni di illecito permanente connesso con le occupazioni usurpative, non utile ai fini dell’usucapione in quanto non qualificata idonea ad integrare il requisito del possesso utile ai fini de quibus (Consiglio di Stato, sez IV, 28.01.20116 n.329).

Ma quando l’amministrazione può rivendicare l’usucapione?

Tempo di lettura: 6 Minuti

L’usucapione scatta sono in un determinato momento, indipendentemente da quanto tempo si è occupato il terreno. In questo caso si parla in particolare di usucapione pubblica che oltre ad identificare che il beneficiario sia un soggetto pubblico questo possa essere esercitato anche indirettamente dall’ente ovvero da una indifferenziata comunità di persone e che sia funzionale al soddisfacimento di un pubblico interesse.

Ma cosa ancora più importante, l’usucapione non scatta se l’occupazione da parte della Pubblica Amministrazione è illegittima.

Numerose sono le sentenze a riguardo (Consiglio di Stato 3988 del 26.08.2015) che hanno ribadito che è illegittima la proceduta espropriativa scaturita tramite il riconoscimento dell’usucapione in violazione degli obblighi di legge. Inoltre deve esserci volontà univoca di consenso scritta. Inoltre dopo l’approvazione del T.U. sugli espropri (DPR 327/2001) tutte le occupazioni realizzate prima di questa data sono considerate ai fini dell’usucapione con decorrenza dall’entrata in vigore della norma.

Infatti la protrazione dell’occupazione del bene da parte dell’Amministrazione, illegittime perché non concluse, comporta l’obbligo della restituzione (con il pagamento del danno da occupazione) o una nuova procedura di esproprio che prevede un indennizzo che deve corrisponde al valore del terreno al momento della perdita della proprietà, attualizzato per compensare gli effetti dell’inflazione e può essere incrementato dei danni morali per “il senso di impotenza e frustrazione di fronte allo spossessamento illegale del loro bene”.

Per interrompere l’usucapione è sufficiente contestate il possesso altrui o riaffermare il proprio diritto esclusivo. Non è sufficiente una lettera di diffida o messa in mora ma solo gli atti che privano materialmente il possessore del potere di fatto sulla cosa o gli atti giudiziali diretti a ottenere tale privazione.

Si ha pertanto interruzione dell’usucapione sei seguenti casi:

  • in presenza di un’iniziativa assunta dal titolare del diritto (ad esempio il caso in cui il proprietario dell’immobile eserciti l’azione giudiziale di rivendica del bene);
  • quando il possessore dell’immobile è stato privato del possesso per oltre un anno;
  • quando il possessore riconosca espressamente il diritto del proprietario;
  • in caso di notifica di atto di citazione con cui il proprietario richieda la materiale consegna di tutti i beni immobili.

Sotto un profilo pratico, dunque, per ottenere l’interruzione dell’usucapione, si può agire nel seguente modo:

  • se c’è la collaborazione del possessore e, quindi, i rapporti con il titolare sono pacifici: sarà sufficiente far firmare a questi una dichiarazione con cui egli riconosce espressamente all’effettivo proprietario tutti i diritti sul bene, ammettendo di poterne disporre solo in virtù del consenso del primo;
  • se non c’è la collaborazione del possessore: si potrà notificare a questi un atto di citazione con cui il proprietario chiede la restituzione del proprio bene. Si tratta dell’atto che serve per intraprendere la normale causa in tribunale, anche se, in questo caso, non c’è alcun bisogno, poi, di proseguire il giudizio e, quindi, di iscriverlo a ruolo. Insomma, non si dovranno pagare le tanto temute tasse (contributo unificato) relative all’avvio della domanda giudiziale: ci si potrà fermare alla semplice notifica. L’importante è che l’atto sia redatto da un avvocato e notificato dall’ufficiale giudiziario (il costo della notifica ammonta a circa 11 euro).

In tutti questi casi è necessario agire prima che l’usucapione si verifichi e, quindi, che si compiano i termini suddetti. Inoltre, è necessario sapere che l’atto interruttivo non impedisce definitivamente l’usucapione, ma fa solo sì che i termini inizino a decorrere da capo. Pertanto in prossimità della successiva scadenza degli stessi, sarà necessario porre in essere un ulteriore atto interruttivo.

L’unica forma di usucapione realizzabile nell’ambito di una procedura espropriativa non conclusa con il decreto di esproprio è quella ventennale, poiché la buona fede (soggettiva) dell’autorità espropriante deve ritenersi esclusa dall’emanazione del provvedimento autorizzatorio all’occupazione, il quale dimostra che l’autorità era ben conscia di occupare un terreno appartenente ad un terzo proprietario.

Sino all’entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 risultava inoltre radicalmente preclusa, da parte del destinatario dell’occupazione preordinata all’esproprio, l’azione di restitutio in integrum (ripristinare le condizioni originali), risultando l’occupazione acquisitiva più che un mero fatto illecito, una vera e propria “fattispecie ablatoria seppur atipica”. Conseguentemente, “a tutto concedere”, alla stregua dell’art 2935 c.c. – secondo cui la prescrizione decorre “dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere” – il dies a quo di un possibile possesso utile a fini di usucapione non potrebbe che individuarsi a partire dall’entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, il cui non più vigente art. 43, ivi contenuto, aveva sancito il superamento normativo dell’istituto dell’occupazione acquisitiva.

Pertanto è del tutto logico che il tempo decorso durante il quale l’Amministrazione ha, anche ininterrottamente ed alla luce del sole detenuto il bene prima di tale data, non si computi ai fini della maturata usucapione. Il tempo durante il quale l’Amministrazione ha esercitato un potere materiale sul bene occupato (e medio tempore trasformato, eventualmente), antecedentemente alla entrata in vigore del d.P.R. n. 327/2001 è inutiliter datum, in chiave di computo del medesimo ai fini di dedurre la usucapione dell’area; ciò in quanto sino alla data di entrata in vigore del citato decreto, costituiva approdo consolidato in giurisprudenza quello per cui la trasformazione dell’area implicasse acquisto automatico della proprietà per accessione invertita, ex art. 938 c.c. in capo all’Amministrazione. Il privato spossessato, quindi, non avrebbe potuto validamente esercitare alcuna opzione reintegratoria specifica, e non avrebbe potuto conseguire la restituzione dell’area, in quanto già passata in proprietà dell’Amministrazione.

Il termine ventennale per il perfezionamento dell’acquisto a titolo originario del terreno illecitamente occupato dall’amministrazione si interrompe in caso di notifica, da parte del proprietario, dell’atto di citazione in giudizio con il quale è chiesta la condanna al risarcimento del danno derivante dall’occupazione illecita perpetrata dall’amministrazione stessa.

Il proprietario di un’area illegittimamente occupata che agisca in giudizio (o che proponga domanda stragiudiziale nei confronti dell’Ente occupante), vanta un’unica complessa pretesa, fondata sullo ius omnes alios excludendi insito nel diritto di proprietà ai sensi dell’art. 832 c.c., che può articolarsi nel petitum reipersecutorio e risarcitorio, ovvero soltanto in quello risarcitorio, laddove il bene sia stato irreversibilmente trasformato e l’Amministrazione intenda utilizzarlo per fini pubblicistici, ai sensi dell’art. 42/bis del T.U. sulle espropriazioni. Ne consegue che qualunque richiesta (risarcitoria, restitutoria ovvero di adozione di un provvedimento di acquisizione sanante), proposta in qualità di dominus del bene e fondata su presupposto dell’illegittima protrazione della detenzione dello stesso da parte della P.A., vale ad escludere il presupposto applicativo dell’istituto dell’usucapione ventennale prevista dall’art. 1158 c.c..

In caso di mancata adozione del provvedimento di esproprio nei termini previsti, quando il fondo viene occupato in via d’urgenza e in vista dell’espropriazione ai sensi dell’articolo 22 bis d.P.R. 327/2001, non v’è dubbio che per un primo periodo l’amministrazione legittimamente occupa il fondo in qualità di detentore e conseguentemente tale rapporto di fatto con la cosa non è utile per far maturare l’usucapione trattandosi, si ripete, di detenzione e non anche di possesso. I provvedimenti di occupazione di urgenza comportano la mera detenzione della cosa altrui, vuoi perché sono per legge finalizzati ad una apprensione del bene soltanto temporanea, in vista della futura emanazione del decreto di esproprio, vuoi – soprattutto – perché implicano il riconoscimento della proprietà altrui (contemplatio domini), prevedendo la corresponsione di un’apposita indennità di occupazione ai proprietari, cosicché in tal caso l’amministrazione occupante non ha l’animus possidendi che vale ai fini dell’usucapione. Qualora il Comune abbia cominciato ad esercitare il suo potere di fatto sui terreni privati in base a provvedimenti di occupazione di urgenza, deve ritenersi che tali atti abbiano comportato la mera detenzione della cosa altrui; ne consegue che in mancanza della prova di un valido titolo di interversione del possesso, in capo ad esso non si sia compiuta l’usucapione.

Quindi il periodo ventennale utile per usucapire inizia a decorrere dalla scadenza del periodo di efficacia dell’occupazione legittima, qualora esista un’occupazione legittima (solo allo scadere di detto periodo infatti la mancata restituzione del bene può ritenersi fatto idoneo a determinare l’interversione del possesso utile ai fini dell’usucapione).

Dopo la scadenza del termine della dichiarazione di pubblica utilità senza che si sia perfezionato un atto traslativo della proprietà, l’occupazione del fondo da parte dell’Amministrazione diviene senz’altro sine titulo; predicare che l’apprensione del bene da parte dell’Amministrazione al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante (art.42 bis d.p.r. 327/2001), possa essere qualificata idonea ad integrare il requisito del possesso utile ai fini dell’acquisto per usucapione, rischierebbe di reintrodurre nell’ordinamento interno forme di espropriazione indiretta o larvata.

A quanto ammonta il prezzo di esproprio?

Tempo di lettura: 0 Minuto

La Pubblica Amministrazione ha l’obbligo (sentenza Corte costituzionale n. 90 del 22.04.2016) di fissare il “giusto prezzo” dell’indennizzo che non deve essere simbolico o irrisorio ma deve tener conto delle caratteristiche essenziali del bene riconoscendo un serio ristoro all’espropriato, anche se non coincidente al valore di mercato del bene (che va preso come punto di riferimento per l’individuazione di una congrua indennità), così da garantire il giusto equilibrio tra l’interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui, questi aumentati dagli eventuali interessi legali, più il danno per il mancato godimento dei terreni a cui si aggiungono le eventuali spese di giudizio (anche dal lato del Comune).

Cosa fare in questi casi?

Tempo di lettura: 1 Minuto

Chiedere all’amministrazione entro il periodo dopo del quale questa può far scattare l’usucapione e acquisire al proprio patrimonio indisponibile l’immobile, l’emanazione di un provvedimento di restituzione o di acquisizione ex articolo 42-bis del D.p.r. 327/2001. Pur non sussistente alcun obbligo, il mancato riscontro si configura come silenzio-inadempimento impugnabile di fronte al giudice amministrativo. Tuttavia l’occupazione sine titulo di beni immobili appartenenti a privati è una situazione di fatto del tutto contrastante con quella di diritto e l’Amministrazione deve tempestivamente adoperarsi per ripristinare una situazione di legalità. Le amministrazioni hanno infatti l’obbligo giuridico di far venir meno, in ogni caso, l’occupazione sine titulo e, quindi, di adeguare comunque la situazione di fatto a quella di diritto. La P.A. ha di fatto due sole alternative:

  • restituisce i terreni ai titolari, disponendo la completa riduzione in prinstino allo status quo ante pagandone l’effettiva occupazione;
  • oppure deve attivarsi perché vi sia un legittimo titolo di acquisto dell’area.

È tuttavia possibile, per finanziare gli acquisti, contrarre un debito tramite C.d.P. limitate alle spese per l’indennità di esproprio ad esclusione delle spese legali, per consulenze, per risarcimenti del danno o eventuali interessi maturati dalla data di assunzione del provvedimento fino al momento dell’effettivo pagamento. La possibilità di passività potenziali comporta comunque la valutazione da parte dell’organo di revisione.

Articolo scritto da Giuseppe Pea in data 25.05.2020-19.34, Versione 1.

0 Commenti

Rispondi