Come funzionano i “buoni spesa”

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L’ultimo DPCM del Governo mobilita in tutto 4,7 miliardi di cui 4,3 di FSC (erogato al 66%), quest’ultimo incrementato di 332 milioni di euro e anticipato di quasi 2 mesi rispetto alla data prevista per il trasferimento dallo Stato alla tesoreria dell’ente, e 400 milioni che serviranno come «buoni spesa» da consegnare alle famiglie in difficoltà.

Al di là dell’operazione che si traduce in un versamento aggiuntivo di 732 milioni di euro, i 400 milioni che servono anche da “palliativo” per attenuare il ritardo nella consegna dei 600 euro previsti dal decreto «Cura Italia», sono destinati per coloro che “non hanno soldi per fare la spesa” e verranno ripartiti dove c’è più bisogno e dunque erogando una somma maggiore a quelle amministrazioni dove c‘è un numero più alto di cittadini in difficoltà.

Il DPCM prevede infatti una quota pari all’80% del totale, per complessivi 320 milioni euro, ripartiti in proporzione alla popolazione residente di ciascun comune e il restante 20%, per complessivi 80 milioni di euro ripartiti in base alla distanza tra il valore del reddito pro capite di ciascun comune e il valore medio nazionale, ponderato per la rispettiva popolazione.

Ciascun comune erogherà:

  1. buoni spesa utilizzabili per l’acquisto di generi alimentari pressi gli esercizi commerciali contenuti nell’elenco pubblicato da ciascun comune nel proprio sito istituzionale;
  2. di generi alimentari o prodotti di prima necessità.

Questi elencati sono i beni/prodotti di prima necessità esclusi dalle restrizioni del Governo, per i quali si può regolarmente uscire di casa (ma sempre nel rispetto delle misure di sicurezza):

  • prodotti alimentari, quindi cibo e bevande, sia nei supermercati che nelle attività al dettaglio;
  • farmaci, articoli medicali e ortopedici;
  • giornali e biglietti dei mezzi pubblici acquistabili in edicola;
  • combustibile per uso domestico, in particolare per riscaldamento degli ambienti;
  • carburante;
  • articoli per l’igiene personale e per la casa;
  • articoli per illuminazione e manutenzione della casa;
  • negozi di telefonia e informatica.

L’ufficio dei servizi sociali (o il Sindaco) di ciascun Comune individuerà la platea di beneficiari ed il relativo contributo tra i nuclei familiari più esposti agli effetti economici derivanti dall’emergenza epidemiologica da virus Covid-19 e tra quelli in stato di bisogno, per soddisfare le necessità più urgenti ed essenziali con priorità per quelli non già assegnatari di sostegno pubblico (reddito di cittadinanza, disoccupazione, bonus 600 euro etc). Se si tratta di anziani che non hanno la possibilità di uscire saranno i volontari ad occuparsi di andare al supermercato e poi consegnare la spesa.

Il criterio generale è che si vada da un minimo di 25 euro a un massimo di 50 euro per nucleo familiare (inizialmente si era previsto un riparto dei fondi per nucleo familiare una tantum pari a 300 euro)Ma anche su questo ogni Comune potrà regolarsi a seconda delle esigenze, ci sono casi in cui il buono sarà dato alla famiglia, ma ci sono situazioni più problematiche in cui è meglio che i Comuni diano direttamente i generi alimentari, per evitare sprechi. In genere le famiglie da aiutare sono quelle già seguite dai servizi sociali, ma chi ha bisogno potrà comunque bussare alle porte dei comuni (come già accade). I soldi dovranno bastare fino al 15 aprile 2020, giorno in cui dovrebbe cominciare l’erogazione dei 600 euro per le fasce deboli previsti dal «Cura Italia».

Questa è la procedura che dovrebbe attivare il Comune:

  • entro domenica dovrà attivare un numero da chiamare per chiedere i buoni spesa (nel frattempo chi ha bisogno del contributo può chiamare il numero del Comune e chiedere di ottenere immediata assistenza);
  • il Comune dovrà rendere nota la lista dei supermercati «convenzionati» dove si potranno utilizzare i buoni.

Ancora da chiarire come verranno forniti i buoni, se sotto forma di un’unica tessera magnetica o di un “carnet” di tagliandi da usare presso i punti vendita di generi alimentari.

Sarebbe opportuno comunque regolamentare la procedura e procedere ad una verifica della platea di beneficiari (anche a campione qualora le richieste siano numerose), non per altro per non sviare l’obiettivo previsto in un momento particolarmente critico come questo.

Quello che vorrei far rilevare è quanto della quota del 20% spetta al comune, questa è tanto più alta tanto più è basso il reddito dei cittadini. Ai 19.194,97 € ripartiti per numero di abitanti, si aggiungono quindi altri 11.750,30 in relazione alla ricchezza pro-capite (direi povertà pro-capite) per un totale di 29.945,27 euro che possono essere incrementati da eventuali donazioni che dovranno transitare tramite appositi conti correnti.

L’ultimo DPCM del Governo mobilita in tutto 4,7 miliardi di cui 4,3 di FSC (erogato al 66%), quest’ultimo incrementato di 332 milioni di euro e anticipato di quasi 2 mesi rispetto alla data prevista per il trasferimento dallo Stato alla tesoreria dell’ente, e 400 milioni che serviranno come «buoni spesa» da consegnare alle famiglie in difficoltà.

Al di là dell’operazione che si traduce in un versamento aggiuntivo di 732 milioni di euro, i 400 milioni che servono anche da “palliativo” per attenuare il ritardo nella consegna dei 600 euro previsti dal decreto «Cura Italia», sono destinati per coloro che “non hanno soldi per fare la spesa” e verranno ripartiti dove c’è più bisogno e dunque erogando una somma maggiore a quelle amministrazioni dove c‘è un numero più alto di cittadini in difficoltà.

Il DPCM prevede infatti una quota pari all’80% del totale, per complessivi 320 milioni euro, ripartiti in proporzione alla popolazione residente di ciascun comune e il restante 20%, per complessivi 80 milioni di euro ripartiti in base alla distanza tra il valore del reddito pro capite di ciascun comune e il valore medio nazionale, ponderato per la rispettiva popolazione.

Ciascun comune erogherà:

  1. buoni spesa utilizzabili per l’acquisto di generi alimentari pressi gli esercizi commerciali contenuti nell’elenco pubblicato da ciascun comune nel proprio sito istituzionale;
  2. di generi alimentari o prodotti di prima necessità.

Questi elencati sono i beni/prodotti di prima necessità esclusi dalle restrizioni del Governo, per i quali si può regolarmente uscire di casa (ma sempre nel rispetto delle misure di sicurezza):

  • prodotti alimentari, quindi cibo e bevande, sia nei supermercati che nelle attività al dettaglio;
  • farmaci, articoli medicali e ortopedici;
  • giornali e biglietti dei mezzi pubblici acquistabili in edicola;
  • combustibile per uso domestico, in particolare per riscaldamento degli ambienti;
  • carburante;
  • articoli per l’igiene personale e per la casa;
  • articoli per illuminazione e manutenzione della casa;
  • negozi di telefonia e informatica.

L’ufficio dei servizi sociali (o il Sindaco) di ciascun Comune individuerà la platea di beneficiari ed il relativo contributo tra i nuclei familiari più esposti agli effetti economici derivanti dall’emergenza epidemiologica da virus Covid-19 e tra quelli in stato di bisogno, per soddisfare le necessità più urgenti ed essenziali con priorità per quelli non già assegnatari di sostegno pubblico (reddito di cittadinanza, disoccupazione, bonus 600 euro etc). Se si tratta di anziani che non hanno la possibilità di uscire saranno i volontari ad occuparsi di andare al supermercato e poi consegnare la spesa.

Il criterio generale è che si vada da un minimo di 25 euro a un massimo di 50 euro per nucleo familiare (inizialmente si era previsto un riparto dei fondi per nucleo familiare una tantum pari a 300 euro)Ma anche su questo ogni Comune potrà regolarsi a seconda delle esigenze, ci sono casi in cui il buono sarà dato alla famiglia, ma ci sono situazioni più problematiche in cui è meglio che i Comuni diano direttamente i generi alimentari, per evitare sprechi. In genere le famiglie da aiutare sono quelle già seguite dai servizi sociali, ma chi ha bisogno potrà comunque bussare alle porte dei comuni (come già accade). I soldi dovranno bastare fino al 15 aprile 2020, giorno in cui dovrebbe cominciare l’erogazione dei 600 euro per le fasce deboli previsti dal «Cura Italia».

Questa è la procedura che dovrebbe attivare il Comune:

  • entro domenica dovrà attivare un numero da chiamare per chiedere i buoni spesa (nel frattempo chi ha bisogno del contributo può chiamare il numero del Comune e chiedere di ottenere immediata assistenza);
  • il Comune dovrà rendere nota la lista dei supermercati «convenzionati» dove si potranno utilizzare i buoni.

Ancora da chiarire come verranno forniti i buoni, se sotto forma di un’unica tessera magnetica o di un “carnet” di tagliandi da usare presso i punti vendita di generi alimentari.

Sarebbe opportuno comunque regolamentare la procedura e procedere ad una verifica della platea di beneficiari (anche a campione qualora le richieste siano numerose), non per altro per non sviare l’obiettivo previsto in un momento particolarmente critico come questo.

Quello che vorrei far rilevare è quanto della quota del 20% spetta al comune, questa è tanto più alta tanto più è basso il reddito dei cittadini. Ai 19.194,97 € ripartiti per numero di abitanti, si aggiungono quindi altri 11.750,30 in relazione alla ricchezza pro-capite (direi povertà pro-capite) per un totale di 29.945,27 euro che possono essere incrementati da eventuali donazioni che dovranno transitare tramite appositi conti correnti.

Ripartendo tale cifra per i comuni della Valle Roveto (per abitanti), questo fa svettare in vetta alla classifica il nostro Comune, di gran lunga il più povero.
La crisi non farà altro che peggiorare questa situazione.
Sarebbe quindi necessario intervenire pesantemente per poter mitigare il problema, ma dubito che si faccia qualcosa di concreto visti anche gli atti che si sono prodotti per l’emergenza.

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