L’evoluzione della tassa rifiuti e l’occasione persa

Di 28 Gennaio, 2016 0 0
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Pulitura strada rifiuti 150 La tassa rifiuti negli ultimi anni ha visto continui interventi del governo. Dalla precedente tassa rifiuti (TARSU), disciplinata dal DLGS 507/1993 che in alcuni Comuni è stata affiancata dalla TIA 1 (ex art. 49 del DLGS 22/1997) o dalla TIA 2 (ex art. 238 DLGS 152/2006), si è passato alla Tares (2013) e successivamente alla Tari a decorrere dal 1° gennaio 2014.

Come abbiamo visto nell’articolo precedente, per la determinazione delle tariffe da applicare è sempre possibile adottare i coefficienti (ka, kb, kc e kd) indicati dal DPR 158/1999 ovvero in alternativa il Comune può calcolare le proprie tariffe commisurandole alle “quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia delle attività svolte nonché al costo del servizio sui rifiuti” (ma ciò richiede un monitoraggio continuo dei rifiuti prodotti dagli utenti), purché in conformità al principio comunitario “chi inquina paga” permettendo alle utenze più virtuose di pagare meno (principio che purtroppo non è ancora applicato in pieno).

Nella Legge di stabilità 2014 si era inserito l’obbligo di considerare i fabbisogni standard per la determinazione delle tariffe Tari a partire dal 1° gennaio 2016.

Con la successiva Legge di stabilità 2016 l’obbligo viene differito al 2018. A tal fine sono modificati i commi 652 e 653 della legge di stabilità per il 2014 (147/2013). In base alla proroga, al fine di semplificare l’individuazione dei coefficienti relativi alla graduazione delle tariffe, il Comune può prevedere per gli anni 2016 e 2017 l’adozione dei coefficienti del Dpr 158/1999 “metodo normalizzato”, inferiori ai minimi o superiori ai massimi ivi indicati del 50% (relativi ai coefficienti Kb, Kc e Kd) ovvero di ignorarli completamente per quel che riguarda la quota fissa destinata alle abitazioni domestiche.

Questo aumenta notevolmente la discrezionalità dell’amministrazione nello stabilire le varie quote da associare alle utenze domestiche o alle numerose utenze non domestiche (ad esempio potrebbe incrementare o diminuire notevolmente la tariffa a determinate categorie non domestiche quali ristoranti/pizzerie).

Ma cosa sarebbe cambiato se fossero stati introdotti i “fabbisogni standard”?

Secondo la definizione data dalla legge, si definisce “fabbisogno standard” l’indicatore che, coniugando efficienza ed efficacia, dovrà consentire la valutazione dell’azione pubblica al fine di assicurare un graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica e garantire il finanziamento integrale della spesa relativa alle funzioni fondamentali e ai livelli essenziali delle prestazioni.

Tramite i fabbisogni standard si individua il fabbisogno finanziario dell’Ente locale, il più possibile estranei alle scelte discrezionali degli amministratori locali, che meglio spiegano i differenziali di costo e di bisogno sul territorio nazionale permettendo di confrontare i fabbisogni standard con la spesa storica.

Tuttavia il confronto tra il fabbisogno standard e la spesa storica non è sufficiente a valutare l’efficienza di un Ente. Il fabbisogno standard, infatti, non è un indice di virtuosità, in quanto identifica la spesa che in modo efficiente consente di finanziare un livello standard dei servizi. Un Comune, ad esempio, può presentare una spesa storica più alta del fabbisogno non necessariamente perché inefficiente, ma perché, a fronte di una spesa alta, offre maggiori servizi rispetto a quelli compatibili con il fabbisogno. Allo stesso modo un comune con una spesa storica più bassa del fabbisogno non è detto che eroghi i servizi in modo efficiente, in quanto può accadere che, a fronte di una spesa bassa, offra ai suoi cittadini pochi servizi rispetto al livello compatibile con la spesa standard.

Un fabbisogno standard diverso dalla spesa storica, quindi, è il risultato sia dell’efficienza con cui i servizi locali vengono erogati sia della qualità e della quantità dei servizi offerti.

Quindi tramite i fabbisogni standard è possibile valutare se la tariffa rifiuti, oggi stabilita in maniera discrezionale dall’amministrazione comunale, rispecchia il servizio offerto permettendo allo stesso tempo di confrontare con i stessi parametri servizi che, anche se gestiti dallo stesso operatore, possono presentare differenze rilevanti da comune a comune.

Ad esempio se consideriamo due amministrazioni A e B che condividono lo stesso costo unitario della tariffa rifiuti, questa uguaglianza non sottintende lo stesso identico servizio offerto. La tariffa che all’apparenza può sembrare uguale, potrebbe in realtà nascondere  l’eventuale presenza di servizi migliori offerti ovvero in numero superiore dall’amministrazione A non forniti dall’amministrazione B, tale da far evidenziare come in realtà l’amministrazione A sia la più efficiente.

Con il fabbisogno standard queste differenze sarebbero subito visibili. Peccato che dovremmo aspettare altri 2 anni per vedere una reale comparazione delle tariffe tra le varie amministrazioni.

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