I rischi del project financing o finanza di progetto proposto dalla Segen

Di 18 Settembre, 2015 0 0
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Costi crescenti 150 E’ stato pubblicato qualche giorno fa un bando di gara con committenza Segen, la società che gestisce la raccolta e il trattamento dei rifiuti solidi urbani, di cui il nostro Comune detiene circa il 10% delle quote. L’oggetto della gara è “avviso di Project Financing per l’individuazione del promotore per l’affidamento in concessione della progettazione, costruzione e gestione di un impianto per il trattamento dei rifuti solidi urbani”.

Ma cosa è e come funziona il project financing o finanza di progetto?

La finanzia di progetto si realizza quando un ente territoriale (Comune, Regione, Stato, ASL etc) decide di aver bisogno di un’opera ma, poiché impedito da vincoli di bilancio o da eccessiva esposizione al debito o altri motivi, decide di affidare ad un privato la progettazione, la costruisce e la gestione dell’opera stessa, in cambio della concessione di utilizzo (o di un canone d’affitto) per un numero di anni sufficienti affinché il privato possa ripagare la spesa e guadagnarci il giusto. Il costo di investimento può essere così classificato “fuori bilancio”, senza impatto sui conti pubblici (e sui Patti di Stabilità) degli stessi enti locali promotori.

Sembra tutto molto interessante, ma vedremo che spesso non è proprio così.

Secondo le normative europee, i partenariati pubblico-privati sono davvero tali solo se c’è un vero trasferimento ai concessionari privati di almeno due dei tre seguenti rischi: 1) costruzione; 2) mercato (introiti da tariffe o pedaggi); 3) disponibilità (canoni variabili pagati dalla Pa in base a parametri di qualità).

In un recente studio l’Istat ha analizzato 24 opere finanziate tramite il “project financing” e il quadro che ne è uscito mostra molte più ombre che luci. Ben in 17 casi su 24 pari al 71%, ma in termini di spesa corrispondente addirittura all’87%, i progetti sono stati riclassificati nei bilanci pubblici, spostando praticamente quasi tutto il rischio dai privati agli enti pubblici. Non si è trattato quindi di un vero project financing ma di unappalto mascherato“. Questo significa che nella stragrande maggioranza dei casi il project financing è risultato un cattivo investimento per gli enti pubblici e un ottimo investimento per i privati.

Non ci credete. Ecco una dimostrazione del rischio implicito del project financing. L’ospedale di Nuoro doveva costare 45 milioni, ma l’affitto più contratti per vari servizi non sanitari per l’incredibile durata di 28 anni porteranno ai privati circa 800 milioni di incasso totale (28 milioni l’anno); la centrale tecnologica del Sant’Orsola di Bologna costava 30 milioni, ma il contratto con forniture varie per 25 anni porterà al privato che l’ha realizzata circa 400 milioni (16 milioni l’anno); la nuova sede del Comune di Bologna costava 70 milioni ma porterà ai costruttori un affitto da circa 9,5 milioni l’anno per 28 anni (circa 250 milioni in tutto); l’ospedale di Mestre è costato al privato che l’ha costruito 140 milioni, ma la regione gliene sta ridando indietro 400 più contratti di forniture esclusive per altri 1,2 miliardi in 24 anni, e se ne possono citare molti altri.

Il “project financing” può essere un buon strumento finanziario ma al contempo può essere anche estremamente rischioso (e gli esempi sopra descritti ne solo la prova). Un’opera finanziata con questo sistema può essere pagata dieci o venti volte più di quel che costa se realizzata dal soggetto pubblico.

In Italia purtroppo è diventato molto frequente. Basta pensare che se mettessimo insieme gli importi di tutti i project financing attivati in Europa (16,2 miliardi di €) questi non raggiungerebbero quelli attivati in Italia (19,5 miliardi di €). Qualcuno sicuramente ci guadagna (e non poco), ma non di certo l’ente che ha attivato la procedura, ma il privato che l’ha progettata, realizzata e gestita.

L’Europa è intervenuta recentemente sull’argomento emanando una nuova direttiva europea sulle concessioni la n. 23/2014, che dovrà essere recepita entro il il 18 aprile 2016. Tale direttiva costringerà l’Italia a una gestione più accorta del project financing impedendo di fatto questo tipo di concessioni se non ci sarà trasferimento effettivo del rischio operativo ai privati per un’entità non trascurabile dell’investimento.

Se è proprio essenziale un nuovo impianto per il trattamento dei rifiuti solidi urbani e si è convinti della fattibilità del project financing non sarebbe forse il caso aspettare che venga recepita la nuova direttiva europea, che ha vincoli più rigidi, rendendolo di fatto meno rischioso per l’ente pubblico, ossia per la stessa Segen?

Oppure, sempre nella condizione di reale fattibilità, non si potrebbe dividere la spesa su tutti i comuni che hanno quote di partecipazione della Segen, che sono ben 12. Ad esempio si potrebbe realizzare il progetto sfruttando i dipendenti dei vari comuni abilitati alla progettazione così da ridurre notevolmente il costo di progettazione (che sarà al massimo il 2% dell’importo dei lavori) e poi dividere la spesa chiedendo ad ogni comune di finanziare la propria quota attraverso l’attivazione un mutuo specifico con importi corrispondenti alle quote possedute. Sarebbe quindi un debito non a carico di un unico soggetto ma ripartito su tutti e 12 i comuni che poi trasferiranno i fondi alla stessa Segen che resterà comunque il committente dell’opera?

Difficile sperare in un passo indietro, ma sperare non costa nulla.

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